12 Gennaio 2020
Come funziona l’intelligence di Pechino. Un libro
di Giulia Pompili
Roma. Tra i vari livelli della competizione tra America e Cina l’aspetto dello spionaggio è di sicuro quello più evocativo dal punto di vista narrativo.
Ma non solo: l’accusa di spiare per una potenza straniera è anche molto scivolosa, perché è la più vaga, arbitraria, e perfino funzionale per la costruzione di un sistema “da Guerra Fredda”. Dunque bisogna maneggiarla con cautela, e avere gli strumenti giusti.
Peter Mattis, vicedirettore della Commissione sulla Cina del governo americano, e Matt Brazil, ex diplomatico e fellow alla Jamestown Foundation, hanno appena pubblicato per il Naval Institute Press “Chinese Espionage: An Intelligence Primer”, il primo ritratto quasi enciclopedico dello spionaggio cinese, fatto di nomi e cognomi e diviso per periodi storici.
L’aumento dell’attività cinese d’intelligence, soprattutto all’estero, va di pari passo con l’apertura della Cina al mondo, scrivono i due autori. Eppure di certe storie e di certi protagonisti si hanno meno dettagli rispetto all’èra pre-1989, perché “sia i funzionari dell’intelligence cinese sia quelli stranieri cercano di proteggere le proprie fonti e i propri metodi. Inoltre cercano di evitare di sconvolgere le relazioni commerciali e diplomatiche con i partner commerciali”.
Secondo Brazil e Mattis, uno degli aspetti più interessanti dell’odierna capacità di Pechino di raccogliere intelligence è quella di saper integrare le risorse umane – i tradizionali agenti operativi – con le capacità cyber. E per la Cina non è solo una questione di informazioni strategiche: “I servizi cinesi cercano opportunità che gli derivano da dettagli personali compromettenti, sessuali o meno, di soggetti che destano interesse; ma non si limitano a reclutare esclusivamente cittadini cinesi.
Esiste inoltre un interesse significativo nell’acquisizione non solo di segreti di stato, ma anche di tecnologia straniera e di proprietà intellettuale che abbia valore per l’economia e la Difesa cinese.
Quest’ultimo settore include sia la tecnologia con duplice applicazione (civile e militare, ndr) sia dati sensibili che aiutino i pianificatori cinesi a raggiungere gli obiettivi prefissati”.
Negli ultimi anni c’è stata una moltiplicazione di casi di cittadini cinesi indagati dalle autorità americane per spionaggio o furto di tecnologie militari – non un aumento in sé delle quasi consuete attività di spionaggio da parte sia dell’America sia della Cina, ma della “pubblicità” dei casi che in America riguardano il governo di Pechino e i suoi agenti “non registrati”.
L’ultimo arresto è del 28 giugno scorso, e lo ha raccontato Quartz qualche giorno fa: un cittadino cinese è arrivato negli Stati Uniti con visto turistico e avrebbe tentato di comprare alcuni componenti militari in California per conto di un ufficiale dell’Esercito popolare di Liberazione.
A fine dicembre un altro cittadino cinese era stato arrestato in Florida per aver tentato di fotografare una base navale americana. Lunedì il Secret service, l’autorità che si occupa della sicurezza del presidente Americano, ha aperto un’indagine per una “minaccia attiva” a Mar-a-Lago, il club del presidente Donald Trump a Palm Beach, in Florida.
Qui il 30 marzo dello scorso anno Yujing Zhang era riuscita a passare due checkpoint ed era entrata nell’atrio dell’edificio principale del resort. Era stata arrestata subito dopo aver tirato fuori lo smartphone per registrare.
Nove mesi dopo, il 18 dicembre scorso, è stata arrestata un’altra donna cinese, Lu Jing, che si era introdotta illegalmente e aveva scattato delle foto nel resort.
Nel capitolo dedicato allo “spionaggio durante l’ascesa cinese”, nel volume dei due studiosi ci sono dei brevi profili dei casi più recenti e legati all’America: c’è per esempio la storia di Benjamin Pierce Bishop, contractor ed ex militare americano che comunicava dettagli del suo lavoro all’amante Claudia He, a sua volta pagata dal ministero della Sicurezza di stato cinese per scrivere report sulle attività del Dipartimento di stato americano.
E poi Kevin Mallory, ex agente della Cia, che è stato condannato nel 2018 per aver venduto, per 25 mila dollari, otto documenti classificati allo Shanghai State Security Bureau, l’agenzia di spionaggio della municipalità di Shanghai. Più recentemente è arrivata la condanna anche dell’ex agente Cia Jerry Chun Shing Lee, le cui informazioni avrebbero aiutato “il più significativo successo dei servizi segreti cinesi, cioè lo smantellamento degli operativi della Cia in Cina tra il 2010 e il 2012”.
Secondo Mattis e Brazil, la cosa più importante da tenere a mente quando si tratta con lo spionaggio cinese è che agli occhi di uno straniero potrebbe sembrare molto diversa dalla tradizionale “empirica e positivista intelligence occidentale”. Lo spionaggio cinese è infatti visto attraverso la lente del pregiudizio politico, “il che implica che gli stranieri siano visti nella peggior luce possibile”.
In realtà, spiegano gli autori, il Partito comunista ha dimostrato in passato molta flessibilità e versatilità, uno dei motivi che hanno reso la Cina una potenza mondiale indiscussa nella raccolta d’informazioni.