Aborti clandestini: miti e realtà

Libertà e Persona 31 gennaio 2019

di Lorenza Perfori

Uno dei miti più duro a morire riguardo agli aborti illegali, che si continua tutt’oggi a sentire nonostante sia stato sfatato da tempo dai numeri e dalle testimonianze, è quello secondo cui prima della legalizzazione dell’aborto gli aborti praticati in clandestinità erano milioni e migliaia erano le donne che morivano a causa di queste pratiche insicure. Il mito conseguente è quello secondo cui, grazie alla legalizzazione dell’aborto, si sia potuta eliminare la piaga dell’aborto clandestino, la quale si ripresenterebbe in tutta la sua pericolosità se la legge che ha legalizzato l’aborto dovesse essere abrogata.

Di fronte alla tenacia della realtà, cioè nel suo mostrare che l’aborto clandestino non è stato affatto debellato, visto che permane nonostante la possibilità di abortire legalmente, ecco spuntare un nuovo mito più recente: se le donne tornano alla clandestinità è solo colpa dell’alto numero dei medici obiettori di coscienza che, non garantendo adeguatamente il “servizio” nelle strutture pubbliche, costringono le donne a fare da sé o a rivolgersi a medici e cliniche abusive.

In questo scritto ripercorrerò velocemente i due miti più antichi e i dati che li hanno inficiati, per poi concentrarmi, in particolare, sulla confutazione del terzo mito più recente. Analizzando varie fonti, traccerò l’identikit delle donne che si rivolgono alla clandestinità e delle motivazioni che le spingono in questa direzione, dimostrando che il supposto ritorno dell’aborto clandestino (in realtà non se n’è mai andato) non c’entra niente con l’obiezione di coscienza.

INDICE:

Mito 1: Milioni di aborti clandestini e migliaia di donne morte

Realtà

  • Testimonianza di Bernard Nathanson
  • Lo studio del 1977 “La diffusione degli aborti illegali in Italia”
  • Calcolo del tasso medio di abortività sulle stime assurde degli abortisti
  • Le cifre effettive degli aborti dopo la legalizzazione
  • Le cifre effettive della mortalità materna prima e dopo la 194

 

Mito 2: L’aborto legale ha eliminato la piaga dell’aborto clandestino

Realtà

  • Stime aborti clandestini del Ministero della Salute
  • Stime aborti clandestini del quotidiano La Repubblica
  • Stime aborti clandestini del demografo Bacci
  • Osservazioni del dottor Mozzanega
  • Osservazioni del ginecologo Boscia
  • Osservazioni del demografo Bonarini
  • Relazione del Ministero della Giustizia
  • Stime aborti clandestini del Movimento politico di sinistra “Articolo 1-Mdp”
  • Osservazioni della ginecologa Silvana Agatone
  • Le cliniche clandestine individuate dalle forze dell’ordine

 

Mito 3: Il “ritorno” dell’aborto clandestino è dovuto all’alto numero di medici obiettori

Realtà

  • Le cliniche abusive scoperte dalle forze dell’ordine: rassegna stampa
    • Villa Gina
    • Cliniche abusive cinesi
    • Medici e cliniche abusive italiane
    • Cliniche abusive della mafia nigeriana
  • Le relazioni del Ministero della Salute e del Ministero della Giustizia
  • Le dichiarazioni della ginecologa Silvana Agatone
  • Le testimonianze riportate da Repubblica
  • Le osservazioni di Luigi Laratta (Aied)
  • Le osservazioni di altri professionisti in prima linea

Riepilogo: chi sono le donne che ricorrono all’aborto clandestino e perché lo fanno

Conclusioni

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Mito 1: MILIONI DI ABORTI CLANDESTINI E MIGLIAIA DI DONNE MORTE

In America, così come in Italia, per persuadere i cittadini e i governi che fosse urgente e necessario legalizzare l’aborto, sono state messe in atto campagne mediatiche ossessive e martellanti in cui gli aborti illegali erano presentanti come una vera e propria piaga sociale, caratterizzata da milioni di aborti praticati nella clandestinità e la conseguente morte di migliaia di donne. Vediamo alcuni dati diffusi in Italia:

  1. Nel 1971 il PSI presenta in Senato una proposta di legge per introdurre l’aborto legale, libero e gratuito, affermando che vi sono in Italia tra i 2 e i 3 milioni di aborti annui e circa 20mila donne che muoiono a causa di questi interventi. In un successivo progetto di legge presentato alla Camera, sempre nel 1971, il numero degli aborti annui rimane uguale mentre le donne morte per aborti clandestini salgono a 25mila [1].
  2. Il 26 aprile 1970 l’Espresso scrive che gli aborti clandestini sono tra gli 800mila e i 3 milioni l’anno [2].
  3. Il Giorno (7 settembre 1972) parla di 3-4 milioni di aborti clandestini l’anno
  4. Il Corriere della sera (10 settembre 1976) stima gli aborti clandestini in una cifra compresa tra 1,5 e 3 milioni l’anno.
  5. L’Alto Adige (31 ottobre 1980) scrive che gli aborti clandestini vanno da 850mila a 1.200.000 l’anno.
  6. Di nuovo, il Corriere della Sera (19 gennaio 1981) parla di 800mila aborti clandestini l’anno.
  7. Le stesse cifre esorbitanti appaiono anche nei cartelli portati dalle femministe durante le manifestazioni, in cui scrivono: “Ecco cosa avete fatto voi difensori della vita: 3 milioni di aborti clandestini, 20mila donne morte”.

REALTA’

 Testimonianza di Bernard Nathanson

Il medico abortista Bernard Nathanson, divenuto poi pro-life, che partecipò alla campagna americana per la legalizzazione dell’aborto, ha raccontato le mistificazioni che con il suo gruppo avevano architettato in vista del raggiungimento di quest’obiettivo. “Falsificammo i dati sugli aborti clandestini – afferma – (sapevamo che il loro numero negli USA si aggirava intorno ai 100.000) dando ripetutamente al pubblico e alla stampa la cifra di 1 milione. Sapevamo che la mortalità annuale negli aborti clandestini era di circa 200-250 donne. Noi invece dicevamo che ogni anno morivano circa 10.000 donne per aborto clandestino. Questi dati fittizi influenzarono l’opinione pubblica americana che si convinse della necessità di cambiare la legge” [3].

Oltre a rivelare la strategia messa in atto, poi ripresa da molti Paesi occidentali, Italia compresa, i numeri falsificati resi noti da Nathanson rendono ancora più inverosimili le cifre artefatte dagli abortisti italiani: queste risultano più elevate dei numeri fittizi americani nonostante l’Italia fosse 4 volte meno popolosa degli USA. Sarebbe bastato già questo semplice confronto per indurre, a suo tempo, almeno un minimo sospetto nei confronti della propaganda abortista italiana.

Lo studio del 1977 “La diffusione degli aborti illegali in Italia”

Nel 1977 esce uno studio autorevole che confuta le cifre assurde diffuse dagli abortisti. Lo studio “La diffusione degli aborti illegali in Italia” (1977) – realizzato dal demografo dell’Università di Padova, Bernardo Colombo, e dai professori Franco Bonarini e Fiorenzo Rossi, docenti di statistica alla medesima università – dimostra che le cifre divulgate dagli abortisti sono false, ad esempio sottolineando che per mantenere la media di 1 milione di aborti clandestini annui è necessario che almeno il 50% di tutte le donne italiane in età feconda abortisca esattamente 5,3 volte nell’arco della propria vita riproduttiva o, detto altrimenti, che ogni donna italiana in età fertile abortisca almeno 2,6 volte nell’arco della vita riproduttiva: un fatto inverosimile! La cifra che lui propone come attendibile è quella di 100.000 aborti clandestini annui tra il 1970 e il 1975, e forse anche meno [4].

Calcolo del tasso medio di abortività sulle stime assurde degli abortisti

Se poi ipotizziamo la cifra di 3 milioni (come indicato nella proposta di legge del PSI o dal Corriere della Sera) o addirittura 4 milioni (come scrive Il Giorno) di aborti clandestini l’anno, ne deriva un tasso medio di abortività in base al quale tutte le donne italiane avrebbero praticato nella loro vita almeno 8 aborti clandestini [5]: un’assurdità!

Le cifre effettive degli aborti dopo la legalizzazione

La falsità delle stime paradossali degli aborti clandestini emerge già subito dopo la legalizzazione dell’aborto avvenuta nel 1978 con la legge 194. Nel 1979 gli aborti legali sono ufficialmente 187.752: com’è possibile una così drastica diminuzione ora che l’aborto è legale, libero e gratuito, mentre risultano cifre stratosferiche quando era illegale e comportava sanzioni penali per il medico e per la donna? Il picco massimo degli aborti legali in Italia è stato raggiunto nel 1982, anno in cui si sono registrate 234.593 interruzioni di gravidanza. Come si può vedere, anche se si considera l’anno di massima espansione dell’aborto legale, rimaniamo enormemente lontani dai milioni di aborti annunciati dalla propaganda abortista.

Le cifre effettive della mortalità materna prima e dopo la 194

L’assurdità delle cifre propalate dagli abortisti emerge anche quando si esamina la mortalità materna. Dall’Annuario Statistico Italiano del 1974, risulta che le donne in età feconda (dai 15 ai 45 anni) decedute nel 1972 sono state in totale 15.116. Di queste, solo 409 sono morte di gravidanza o di parto. Ammesso che tutte le 409 morti siano state provocate esclusivamente dall’aborto clandestino (cosa inverosimile), ci troveremo di fronte a una cifra pari a 1 sessantesimo delle 25mila donne morte per aborti insicuri propagandate dagli abortisti, o di 1 cinquantesimo se consideriamo la cifra di 20mila. In realtà i decessi da aborto clandestino da ricavare sul totale effettivo di 409 è ancora più infinitesimale, riducendosi ad appena qualche decina l’anno [6].

Infine, se le teorie espresse dagli abortisti fossero vere, la mortalità delle donne in età feconda avrebbe dovuto far registrare una considerevole diminuzione dopo la legalizzazione dell’aborto, visto che ora le donne possono abortire in tutta sicurezza in ospedale, invece, dopo l’entrata in vigore della legge 194, la mortalità delle donne tra i 15 e i 45 anni non ha subito alcuna significativa diminuzione. Questo conferma nuovamente che i decessi provocati dall’aborto clandestino erano in realtà statisticamente irrilevanti sul totale della mortalità femminile e che la legalizzazione dell’aborto non ha cambiato alcunché [7].

Mito 2: L’ABORTO LEGALE HA ELIMINATO LA PIAGA DELL’ABORTO CLANDESTINO

Quindi, grazie all’aborto legale – dicono gli abortisti – si è potuta eliminare la piaga dell’aborto clandestino, per questo motivo non è minimamente pensabile l’abrogazione della 194 perché farebbe ripiombare le donne nell’illegalità, con i conseguenti rischi per la loro salute e vita. Anzi – dicono i più fantasiosi – con il divieto di aborto si ritornerebbe al “Medioevo”, cioè ai milioni di aborti clandestini e migliaia di donne morte.

REALTA’

In realtà l’aborto clandestino non se n’è mai andato, ma ha continuato a esistere anche dopo la legalizzazione, sia tramite medici compiacenti e cliniche illegali, che attraverso il ricorso al “metodo” autodidatta o fai-da-te. Chi lo dice? Lo dice il Ministero della salute, il Ministero della Giustizia, parlamentari e giornali di sinistra, demografi, ginecologi e i numerosi illeciti individuati dalle forze dell’ordine nel corso degli anni su tutto il territorio nazionale.

Stime aborti clandestini del Ministero della Salute

Nella relazione sull’attuazione della legge 194 del 22 dicembre 2017 (dati 2016) il Ministero della salute scrive: “Per quanto riguarda l’abortività clandestina l’Istituto Superiore di Sanità ha effettuato una stima degli aborti clandestini per il 2012 […] Il numero di aborti clandestini per le donne italiane è stimato compreso nell’intervallo tra 12˙000 e 15˙000. Per la prima volta si è effettuata una stima anche per le donne straniere che è risultata compresa tra 3˙000 e 5˙000 aborti clandestini. Queste stime indicano una stabilizzazione del fenomeno negli ultimi anni, almeno per quanto riguarda le italiane (15˙000 erano gli aborti clandestini stimati per le italiane nel 2005), e una notevole diminuzione rispetto agli anni 80-90 (100˙000 erano i casi stimati per il 1983, 72˙000 nel 1990 e 43˙500 nel 1995)”. Cosa ci dice, quindi, il Ministero?

  • Ci dice che l’aborto clandestino non se n’è mai andato: nel 1983 era stimato in 100mila casi annui, nel 1990 in 72mila casi annui, nel 1995 in 45.500 casi, nel 2005 in 15mila casi e nel 2012 tra i 15mila e i 20mila casi annui dei quali 3-5mila relativi a donne straniere.
  • Ci dice che il fenomeno si è ormai stabilizzato visto che dal 2005 non scende mai, per quanto riguarda le donne italiane, sotto i 15mila casi.
  • Ci dice che la maggior parte delle donne che ricorrono all’aborto clandestino non sono le straniere, ma le italiane: 12-15mila contro 3-5mila.

Stime aborti clandestini del quotidiano La Repubblica

A certificare il fallimento dell’eliminazione della piaga dell’aborto clandestino a opera della 194, vi è anche il noto quotidiano di sinistra La Repubblica, di cui tutto si può dire tranne che abbia un orientamento pro-life. In un’inchiesta giornalistica del 2013[8], Maria Novella de Luca stimava gli aborti illegali in 40-50mila casi l’anno, evidenziando anche l’anomalo aumento degli aborti spontanei. Così scriveva la de Luca:

“Ventimila gli aborti illegali calcolati dal ministero della Sanità con stime mai più aggiornate dal 2008, quarantamila, forse cinquantamila quelli reali. Settantacinquemila gli aborti spontanei nel 2011 dichiarati dall’Istat, ma un terzo di questi frutto probabilmente di interventi ‘casalinghi’ finiti male. Cliniche fuorilegge, contrabbando di farmaci: sul corpo delle donne è tornato a fiorire l’antico e ricco business che la legge 194 aveva quasi estirpato […] Ambulatori fuorilegge: l’ultimo gestito dalla mafia cinese è stato smantellato a Padova dalla Guardia di Finanza alcune settimane fa, e incassava quattromila euro al giorno.

Tra i clienti anche donne italiane. E poi sequestri, spaccio di farmaci abortivi, confezioni di Ru486 di contrabbando, 188 procedimenti penali aperti nell’ultimo anno per violazione della legge 194, spesso contro insospettabili professionisti che agivano nei loro studi medici […] Ragazzine e immigrate che vagano nei corridoi del metrò cercando i blister di un farmaco per l’ulcera a base di ‘misoprostolo’ che preso in dosi massicce provoca l’interruzione di gravidanza, spacciato dalle gang sudamericane che lo fanno arrivare nel porto di Genova dagli Stati Uniti. Dieci pillole, 100 euro al mercato nero, meno della metà se si compra su Internet.

E le giovanissime abortiscono da sole, nel bagno di casa, perché della legge o del giudice tutelare non sanno nulla, perché in ospedale la lista d’attesa è troppo lunga e i consultori sono sempre di meno. (Dal 2007 al 2010 ne sono stati tagliati quasi 300)”

E qual è per la de Luca la causa di questo considerevole “ritorno” alla clandestinità? Quella che accennavano all’inizio: il fatto che “oltre l’80% dei ginecologi è obiettore di coscienza e le donne respinte dalle istituzioni tornano al segreto”.

Stime aborti clandestini del demografo Bacci

Già nel 2005 e sempre su Repubblica, il demografo Massimo Livi Bacci parlava dell’esistenza di “20mila aborti clandestini in un anno soprattutto al sud e nelle fasce deboli [9].

Osservazioni del dottor Mozzanega

Il dottor Bruno Mozzanega della Clinica Ginecologica e Ostetrica dell’Università di Padova, pone in particolare l’accento sugli aborti illegali praticati con il Cytotec, un farmaco usato per la cura dell’ulcera gastrica, ma utilizzato in tutto il mondo anche per indurre l’aborto grazie alla sua capacità di provocare le contrazioni uterine. Mozzanega scrive che al Congresso del 2006 a Roma, la Fiapac (Federazione internazionale operatori di aborto e contraccezione) “ha definito il Cytotec ‘farmaco salvavita’ data la sicurezza per la salute della donna” precisando che “i delegati italiani erano un migliaio: una rete capillare di operatori in grado di usare il farmaco per indurre l’aborto”.

L’uso del Cytotec per abortire, però – spiega il ginecologo -, viene rivelato solo dalle donne straniere le quali, non avendo un medico di fiducia collegato al Servizio sanitario nazionale, se incorrono in complicanze sono costrette a rivolgersi al pronto soccorso dove si trovano perlopiù costrette ad ammetterne l’uso. Le donne italiane, al contrario, possono abortire illegalmente con il farmaco restando in assoluto anonimato.

Le cose vanno così – racconta Mozzanega -: “Per ricorrere all’aborto farmacologico clandestino la donna deve trovare un medico ‘di fiducia’ e certamente esiste in Italia una rete di sanitari in grado di assisterla. Dopo la diagnosi di gravidanza, che è un fatto privato grazie ai test reperibili in farmacia, la donna si rivolge al medico prescelto. Un’ecografia confermerà la presenza in un embrione vivo.

L’utilizzo del Cytotec sarà autogestito: 4 compresse inserite profondamente in vagina più eventualmente altre 4 il giorno successivo. Il farmaco si ottiene con facilità: ogni medico può prescriverlo, o acquistarlo da sé e fornirlo; una confezione contiene 50 compresse. Se tutto procederà senza complicanze, il medico resterà disponibile e alla fine, con un’ecografia, accerterà l’assenza di materiale in utero.

Di questa gravidanza non resterà traccia. Esce da ogni contabilità. È quanto succede in oltre il 90% dei casi. Nel caso di complicanze, la paziente sarà ricoverata per ‘aborto spontaneo’ e sottoposta a revisione della cavità uterina. La donna italiana, attentamente seguita, non ha motivo di rivelare l’assunzione del farmaco”.

Mozzanega riporta poi alcuni dati, ricordando che “gli aborti clandestini sono ancora una realtà quantificata in 20mila casi all’anno” a cui si devono aggiungere i “73mila aborti spontanei, aumentati, rispetto al 1982, di 17mila casi all’anno (Istat, 2008): un incremento medio del 30% che però nelle minorenni sfiora il 70%”. “Se questo surplus di aborti spontanei – spiega il dottore – rappresentasse anche solo in parte gli insuccessi (5-10%) del Cytotec ne emergerebbe un sommerso di aborto illegale di dimensioni inimmaginabili a carico soprattutto delle giovanissime, le stesse che già abusano della ‘pillola del giorno dopo’” [10].

Osservazioni del ginecologo Boscia

Nel computo degli aborti clandestini dovrebbero essere, inoltre, inseriti gli aborti provocati dalle varie pillole del “giorno dopo” e dei “cinque giorni dopo”, dal momento che i possibili aborti indotti da questi farmaci a effetto antinidatorio sfuggono a ogni registrazione e controllo.

Il ginecologo Filippo Maria Boscia, osserva che nel 2016 in Italia “sono state acquistate 214.532 confezioni di pillola del giorno dopo e 189.589 di pillola dei cinque giorni dopo, per un totale di quasi 405mila confezioni” le quali, “contrariamente a quanto viene detto, non sono contraccettivi d’emergenza ma intercettivi postcoitali che in caso di avvenuto concepimento bloccano l’impianto dell’embrione impedendone l’annidamento” [11], cioè provocano un precocissimo aborto. Boscia spiega che “questi farmaci, utilizzati da giovanissime che non hanno ancora completato il proprio sviluppo, possono provocare loro seri danni”.

A questi aborti, che rimangono sconosciuti persino alla donna visto che non può sapere se durante il rapporto sessuale a rischio, a cui ha fatto seguire l’assunzione di una di queste pillole “d’emergenza”, vi sia stato oppure no concepimento, devono inoltre essere aggiunti – scrive Boscia – i “falsi aborti spontanei” mediante cioè l’utilizzo di “un farmaco usato per trattare le ulcere gastriche [Cytotec] e fortemente sconsigliato in gravidanza” che “viene talvolta impiegato per indurre un travaglio abortivo vero e proprio”.

Osservazioni del demografo Bonarini

Ed è ancora Maria Novella de Luca, sempre nell’inchiesta su Repubblica [12], a rendere nota l’affermazione di Franco Bonarini, docente di Demografia all’università di Padova, riportata nel saggio “Sessualità e riproduzione nell’Italia contemporanea”. Bonarini scrive: “L’incremento del rapporto tra aborti spontanei e gravidanze potrebbe essere conseguenza di un aumento del ricorso all’aborto volontario provocato illegalmente. Anche il più alto rischio per alcune categorie di donne, immigrate, non coniugate potrebbe essere indizio di questo fenomeno”.

Relazione del Ministero della Giustizia

Degna di nota è anche la “Relazione al Parlamento ai sensi dell’art. 16 della L. 194/78” redatta dal Ministero della Giustizia. Nella relazione dell’aprile 2011 (dati relativi agli anni 1995-2010) il Ministero scrive: “Altri Procuratori, pur avendo comunicato che pochi o nessun procedimento penale è sopravvenuto presso il proprio Ufficio, affermano tuttavia che vi sono certamente aborti clandestini nell’ambito del territorio di propria competenza, ma che tali aborti (spesso taciuti dalla donna, dai familiari e dai medici) rimangono nascosti, anche perché gran parte delle forze di Pubblica Sicurezza viene impegnata su altri fronti investigativi, quali ad esempio quello della criminalità organizzata (soprattutto nel Sud).

L’esiguo numero di procedimenti non rifletterebbe quindi la reale portata del fenomeno, che si presume invece essere largamente diffuso e praticato anche in strutture sanitarie private, e riguarderebbe in misura sempre maggiore donne extra-comunitarie”.

Stime aborti clandestini del Movimento politico di sinistra “Articolo 1-Mdp”

In un’interrogazione parlamentare del 19 aprile 2017[13], ventitré parlamentari del Movimento politico di sinistra “Articolo 1 – Movimento Democratico e Progressista” – gruppo nato dalla scissione del PD – hanno riportato la seguente stima degli aborti clandestini annui: “Il Ministero della salute stima 20.000 aborti clandestini nel 2008, 40.000/50.000 probabilmente quelli reali; 75.000 sono gli aborti spontanei nel 2011 dichiarati dall’Istat, ma un terzo di questi frutto probabilmente di interventi «casalinghi» finiti male”.

E qual è per i parlamentari di Articolo 1-Mdp il motivo di questo elevato ritorno alla clandestinità? Sempre il solito, l’obiezione di coscienza: “da Nord a Sud l’80 per cento dei ginecologi, e oltre il 50 per cento di anestesisti e infermieri, non applica più la legge n. 194 del 1978 – affermano –; la conseguenza è che le donne respinte dalle istituzioni sono costrette a rivolgersi a chi pratica illegalmente l’aborto”.

Osservazioni della ginecologa Silvana Agatone

In una intervista su Elle, Silvana Agatone – ginecologa non obiettrice e presidente della Laiga (Libera associazione italiana ginecologi per l’applicazione della legge 194) – ha posto l’accento sul calcolo degli aborti clandestini effettuato dal Ministero della Salute che lei ritiene sottostimato. “Il ministero ha un modello statistico vecchio, da cui ricava che l’aborto clandestino è da anni a livelli molto bassi. In realtà questi calcoli non sono accurati”, osserva la ginecologa, spiegando che per poter avere una stima più attendibile degli aborti clandestini bisognerebbe mettere in atto le seguenti misure: monitorare la domanda delle donne che chiedono di abortire, registrando anche quella dei consultori; valutare l’offerta data e trovare un indicatore che tenga conto, per esempio, dell’“aumento dell’aborto spontaneo nelle donne giovani non sposate” [14].

Le cliniche clandestine individuate dalle forze dell’ordine

A certificare la presenza ininterrotta degli aborti clandestini, anche dopo l’introduzione della 194, vi sono infine i numerosissimi casi di medici e cliniche clandestine scoperti delle forze dell’ordine e resi noti dai mezzi d’informazione, di cui parlerò più nel dettaglio nel terzo mito che ora mi avvio a confutare.

Mito 3: IL “RITORNO” DELL’ABORTO CLANDESTINO E’ DOVUTO ALL’ALTO NUMERO DI MEDICI OBIETTORI

Posti di fronte alla realtà dei fatti e dei numeri, relativi al fallito obiettivo di eliminare la piaga dell’aborto clandestino che l’introduzione della 194 avrebbe dovuto realizzare, gli abortisti non sanno quindi fare altro di meglio che imputare tutta la colpa all’alto numero dei medici obiettori. Negli ultimi anni l’obiezione di coscienza ha fatto effettivamente registrare un aumento crescente e considerevole, ma se si osserva come concretamente stanno le cose si potrà notare che tra i due fenomeni (obiezione di coscienza, aborti clandestini) non vi è correlazione.ùPer capire perché dare la colpa ai medici obiettori è una ragione che non sta in piedi non è difficile: basta individuare i profili delle donne che si rivolgono alla clandestinità e vedere quali motivazioni o circostanze le spingono verso questa decisione. Nel tracciare questo quadro mi avvarrò di varie fonti: le vicende delle cliniche abusive rese note dai giornali, le osservazioni contenute nelle relazioni sulla 194 del Ministero della Salute e del Ministero della Giustizia, le osservazioni della ginecologa Silvana Agatone, le osservazioni di Luigi Laratta ex presidente dell’Aied, alcune testimonianze raccontate da Repubblica e le dichiarazioni di altri professionisti della salute che, grazie al proprio lavoro, possono avere una visione privilegiata di questo fenomeno.

REALTA’

 Le cliniche abusive scoperte dalle forze dell’ordine: rassegna stampa

Per tracciare il quadro delle donne che si rivolgono alla clandestinità iniziamo col prendere in esame alcuni dei numerosi casi di cliniche abusive individuati nel corso degli anni dalle forze dell’ordine.

1 – Villa Gina

La vicenda più nota è sicuramente quella di Villa Gina del ginecologo Ilio Spallone, venuta alla luce nell’anno 2000, che ha portato all’arresto del dottore e di altre sedici persone tra medici, paramedici e membri della famiglia Spallone che lavoravano nella clinica privata, nonché al rinvio a giudizio di almeno una sessantina di persone. I giornali hanno riportato gli sviluppi del processo con le testimonianze ricche di particolari significativi di alcuni addetti della clinica, che ci rivelano con chiarezza chi erano le donne che sceglievano di abortire illegalmente, sborsando in molti casi cifre esorbitanti, nonostante avessero a disposizione l’aborto legale, libero e gratuito nelle strutture pubbliche e nonostante – è importante sottolineare – il numero di medici obiettori fosse molto più basso dell’odierno.

Il Corriere della Sera del 16 aprile 2000 [15] riporta l’intervista alla teste principale, la giovane segretaria di Spallone, che rivela diversi dettagli sulla tipologia delle donne che si rivolgevano alla clinica.

“Tante donne – racconta la superteste – arrivavano dall’ospedale, tante dai consultori, altre su segnalazione di un’amica. Erano tantissime, italiane e straniere, anche minorenni” precisando che alle “italiane si faceva l’elettrocardiogramma, il gruppo sanguigno con azotemia e glicemia e un’ecografia che però spesso si modificava. Invece, alle extracomunitarie, alle rumene, alle prostitute si faceva solo il gruppo sanguigno e l’elettrocardiogramma e qualche volta anche solo l’elettrocardiogramma, prima di procedere all’aborto”.

“Quando la paziente superava le dodici settimane – prosegue la segretaria – il modo in cui le procuravano l’aborto non potrò mai dimenticarlo. Vengono somministrati farmaci in quantità eccessiva e la donna si vede che soffre in un modo tremendo, innaturale”. Quindi rivela che il prezzo da pagare “variava: da un milione e mezzo fino a otto o dieci milioni” di lire e che esso dipendeva “dal periodo della gestazione”, cioè più la gravidanza era avanzata più alto era il prezzo da pagare per poter abortire. Il racconto di due aborti finiti male rivela altri dettagli sulle fruitrici di Villa Gina: “In un caso l’intervento è venuto male. Mi dispiace per quella povera ragazza che credo proprio non avrà mai figli. E poi c’è la vicenda di una donna di 40 anni. Non era di Roma e faceva un’interruzione per una gravidanza molto al di là delle dodici settimane. Le hanno perforato l’uretere: dovrà andare avanti con una sacchettina per urinare”

Altri particolari su questa vicenda emergono dalle pagine di Repubblica: “La svolta nell’inchiesta arriva nel 2001 quando per Ilio e Marcello Spallone, Capozzi, Caccia e Di Vita viene contestato il reato di omicidio volontario in relazione a sedici casi di donne, giunte anche all’ottavo mese di gestazione, che avrebbero partorito un feto vivo, successivamente soppresso all’interno della clinica, dietro compensi da pagare in nero sino a 22 milioni di vecchie lire[16].

E poi: “A Villa Gina si abortiva anche di notte. Si abortiva anche in casi in cui la gravidanza era molto avanzata, anche con pazienti al sesto mese, anche con pazienti che non volevano farlo”, come il caso di “Federica, una donna in avanzato stato di gravidanza: ‘Occorreva particolare attenzione perchè il feto era grande – racconta l’anestesista – ma Ilio Spallone andò in palla e perforò l’utero. La paziente stava talmente male che venne intubata’”.

O il caso di Laura – racconta la segretaria – “una giovane contraria all’interruzione di gravidanza che arrivata in sala operatoria scoppiò a piangere gridando che non voleva abortire. Ilio Spallone urlava e colpiva la donna alle gambe, un altro la tratteneva finché l’anestesista non riuscì ad addormentarla”. O, ancora, “la storia di una minorenne che di interrompere la gravidanza non ne voleva sapere ma a decidere per l’aborto era la madre, che si era messa d’accordo con Ilio, e così fu fatto”. Anche il Giudice per le Indagini Preliminari scrive che a Villa Gina le donne erano “talvolta costrette all’aborto con minacce e violenza[17].

In conclusione, cosa ci rivela la vicenda Spallone? Ci dice che le donne che si rivolgevano a Villa Gina erano tantissime, italiane (di Roma e di altre località d’Italia) e extracomunitarie (rumene in particolare), prostitute e minorenni. Tra esse spiccano molti casi di donne che abortivano gravidanze avanzate e molto avanzate, probabilmente benestanti visto che potevano permettersi di spendere per l’intervento otto, dieci, fino a ventidue milioni di vecchie lire.

La superteste parla di “tante donne” che arrivavano dall’ospedale e dai consultori che, a quanto pare, preferivano pagare per l’aborto clandestino piuttosto che usufruire dell’aborto gratuito e legale in ospedale dove erano appena state, forse perché si trattava di aborti oltre i termini di legge, ovvero in violazione della 194? Infine, a Villa Gina giungevano donne costrette ad abortire contro la propria volontà con le minacce e la violenza.

2 Cliniche abusive cinesi

Numerosissimi sono i casi di cliniche cinesi scoperte a praticare aborti illegali su tutto il territorio nazionale. Sei cliniche abusive sono state scoperte nel 2006 in Emilia Romagna, Toscana e Veneto, dalla squadra mobile della Questura di Piacenza, che ha denunciato dieci persone, tutte cinesi, per abuso di professione medica. Toscana Oggi scrive [18] che i falsi medici cinesi eseguivano interventi per la “restituzione della verginità”, molto richiesti dalle donne cinesi, e aborti per i quali le donne dovevano pagare circa 4mila euro.

A gennaio 2010 è stato individuato un ambulatorio clandestino cinese per aborti a Quarto Oggiaro, un quartiere di Milano. “Secondo le forze dell’ordine – scrive Milano Today -, in una settimana venivano operate dalle 3 alle 7 pazienti, molte delle quali anche minorenni. Per tutte la raccomandazione era una sola: non rivolgersi agli ospedali anche se dopo l’intervento si sentivano male” [19].

Sempre nel 2010 è stata scoperta a Terzigno, nel napoletano, un’altra clinica clandestina gestita da cinesi. L’Eco di Bergamo scrive che “in un sottoscala era stata ricavata una sala operatoria insonorizzata attrezzata con lettighe di fortuna, apparati per ecografie, ferri, divaricatori e utensili per la chirurgia e varie apparecchiature elettroniche” e che “si ritiene che la clinica abusiva fosse utilizzata soprattutto da cinesi irregolari dell’area vesuviana nella quale la comunità cinese è molto numerosa” [20].

Di nuovo, a settembre 2011 viene individuata una clinica abusiva a Padova: collocata in una casa privata, la clinica era gestita da una donna cinese che eseguiva interruzioni di gravidanza mediante l’uso di farmaci che inducono l’aborto: Il Mattino di Padova scrive che nell’abitazione “gli agenti hanno trovato pacchi di Cytotec, un farmaco abortivo”. Il quotidiano osserva inoltre che: “la piaga delle interruzioni abusive di gravidanza, della professione medica illegale praticata da stranieri per stranieri è un preoccupante fenomeno.

I medici da tempo denunciano un aumento di pazienti stranieri che giungono negli ospedali dopo che le «pratiche sanitarie sotterranee» non sono andate a buon fine: circoncisioni casalinghe, aborti, ma anche cure di patologie infettive. Gli specialisti sostengono che l’unica arma per sconfiggere questo problema, dai gravi risvolti sociali ed economici, dato che spesso i pazienti giungono in ospedale, a carico del servizio sanitario regionale solo quando le loro condizioni sono disperate, siano la cultura e l’integrazione[21]

Anche Repubblica pone l’accento sugli ambulatori fuorilegge cinesi: “L’ultimo gestito dalla mafia cinese è stato smantellato a Padova dalla Guardia di Finanza alcune settimane fa. Incassava 4mila euro al giorno. Tra i clienti anche donne italiane” [22], scrive Maria Novella de Luca nella sua inchiesta.

3 – Medici e cliniche abusive italiane

Nel 2008, le indagini della procura di Napoli hanno portato alla scoperta di aborti clandestini praticati a Ischia dai medici dell’ospedali Rizzoli. Sia il primario, che risultava addirittura obiettore di coscienza, che il ginecologo sono stati indagati e poi rinviati a giudizio per aver eseguito aborti illegali in ospedale e presso i propri studi privati, dichiarando falsi aborti spontanei, una interruzione di gravidanza per un inesistente aborto ritenuto e per aver violato la legge 194 con l’esecuzione di un aborto oltre i 90 giorni dal concepimento in assenza di condizioni patologiche [23]. Per essersi sottoposte agli aborti clandestini e illegali, sono state indagate anche sei donne: 5 italiane e una ucraina.

Nel 2010, ci informa Repubblica, è stato arrestato un ginecologo dell’ospedale civile di Arizignano, in provincia di Vicenza, perché “dal 2006 aveva trasformato la sua abitazione in uno studio medico per aborti clandestini” in cui si recavano soprattutto “donne disperate e in difficoltà economiche, spesso immigrate irregolari” che dovevano pagare “dai 500 ai 1.500 euro a intervento” [24].

Come mai una donna in difficoltà economiche dovrebbe sborsare 1.500 euro per un aborto clandestino quando potrebbe ottenerlo gratuitamente in ospedale? La risposta si trova nei reati a lui contestati: favoreggiamento della prostituzione e Ivg in violazione della legge 194.

Sempre nel 2010 è finito sotto accusa un ginecologo dell’ospedale di Castiglione del Lago (Perugia) per aver effettuato interruzioni di gravidanza al di fuori del limite di legge. Il dottore “eludendo la normativa, avrebbe stimato un’epoca gestazionale di gravidanza diversa da quella reale, in modo da includere la settimana ‘di ripensamento’ e poi praticare l’aborto” [25]. L’inchiesta ha portato alla luce anche il caso di un’interruzione di gravidanza gemellare di una 24enne albanese, il cui compagno non voleva figli, la quale, secondo i carabinieri del Nas, sarebbe “stata costretta ad abortire contro la sua volontà perché non conosceva la lingua italiana e quindi le è stato fatto firmare il consenso informato senza l’ausilio di un interprete”. E la “vicenda di una donna alla quale sarebbe stato consigliato di recarsi al pronto soccorso lamentando perdite di sangue per poter praticare l’interruzione di gravidanza, senza l’osservanza delle modalità previste dalla legge” [26].

Dalle intercettazioni telefoniche sulle utenze fisse e cellulari del medico inquisito, è emerso “uno spaccato sociale di continui ricorsi al professionista da parte di donne ma anche e spesso mariti e fidanzati o amanti che chiedevano di praticare subito un’interruzione di gravidanza”.

È sempre la giornalista de Luca, nella sua inchiesta su Repubblica, a ricordare che nel 2012 risultano “188 procedimenti penali aperti per violazione della legge 194, spesso contro insospettabili professionisti che agivano nei loro studi medici” [27].

Degno di nota è anche il blitz realizzato nel novembre 2008, dagli agenti della dogana paraguaiana e da investigatori dell’Interpol, che ha portato al sequestro di un pacco contenente “3.190 pillole abortive, per un valore approssimativo di 191.400 dollari americani”, destinate all’Italia. “Una storia venuta alla luce grazie alle segnalazioni fatte dai medici alla polizia”, scrive Il Secolo XIX, che parla di “quattro casi al mese” di aborti clandestini a Genova, da parte di “donne costrette ad abortire per continuare a vendere il proprio corpo nei vicoli di Genova, ma pure insospettabili giovani che interrompono la loro gravidanza indesiderata in maniera clandestina”.

Il farmaco sequestrato “si chiama Cytotec e nasce come gastroprotettore” precisa il quotidiano, “solo che qualche medico senza scrupoli ha scoperto che l’ingestione di queste pasticche, in quantità superiori alle prescrizioni, provoca contrazioni tali da indurre l’aborto. E così le organizzazioni criminali si sono ingegnate per accaparrarsi anche il traffico e la vendita al dettaglio di questa moderna «pillola abortiva»” [28].

4 – Cliniche abusive della mafia nigeriana

Il boom dell’immigrazione africana incontrollata, verificatasi negli ultimi anni grazie ai governi di sinistra, ha portato alla nascita in territorio italiano di cliniche clandestine per aborti, gestiti da falsi medici nigeriani, in cui sono costrette ad abortire le povere ragazze africane, soprattutto nigeriane, fatte venire in Italia con la falsa prospettiva di un futuro migliore, in realtà deportate per incrementare il business del racket della prostituzione.

A gennaio 2016 è stato denunciato un sedicente medico nigeriano, magazziniere in un’azienda in provincia di Venezia, che eseguiva aborti clandestini a Quinto, all’interno della “villetta degli orrori” [29] in cui viveva in affitto. Qui, le forze dell’ordine hanno trovato “gli strumenti chirurgici usati dai medici per interrompere la gravidanza nelle sue varie fasi: fino all’ottava settimana, dall’ottava alla dodicesima e oltre”. Si rivolgevano a lui “donne incinte straniere, senza permesso di soggiorno o prostitute, che per ignoranza oppure per timore di incorrere nelle sanzioni della legge italiana preferivano rivolgersi alla clinica ‘abusiva’”.

A ottobre 2017 è stato arrestato a Castel Volturno (Caserta), un altro sedicente medico nigeriano specializzato nell’“eseguire aborti clandestini per donne nigeriane, e non solo, alcune delle quali prostitute costrette a interrompere la gravidanza dai loro sfruttatori in quanto essa rappresentava un ostacolo all’attività”. Scrive Il Messaggero che dalle indagini è emerso che il “dottore”: “era considerato un referente per le pratiche clandestine di interruzione di gravidanza sull’intero territorio nazionale: in due casi, infatti, le ragazze nigeriane che venivano sottoposte agli aborti provenivano da Roma […]

L’uomo veniva contattato quotidianamente da soggetti che gli commissionavano gli aborti delle ragazze nigeriane verosimilmente al loro servizio. Nessuna ragazza lo ha mai contattato direttamente, evidenziando così, ritengono gli investigatori, l’assenza di un loro consenso pieno e valido. L’uomo, per le pratiche di interruzione, chiedeva tra i 300 e i 350 euro per le gravidanze tra le 4 e le 5 settimane, fino ad arrivare a 2.500 euro per le gravidanze inoltrate anche fino al quinto mese […]

All’atto dell’irruzione dei Carabinieri nell’abitazione dell’uomo, sono state trovate due ragazze nigeriane ventenni in precarie condizioni sanitarie, sottoposte nelle ore precedenti alle «macabre manovre di aborto» e segregate all’interno della casa da Friday, il quale era uscito chiudendo a chiave dall’esterno, da qui anche la contestazione del reato di sequestro di persona…

Entrambe le ragazze hanno collaborato con gli inquirenti confermando di essere state costrette a sottoporsi all’interruzione di gravidanza da altre persone, in quanto lo stato interessante avrebbe loro impedito di continuare l’attività di prostituzione cui sono state costrette dai loro sfruttatori[30]

Le relazioni del Ministero della Salute e del Ministero della Giustizia

Altri dati sulla tipologia delle donne che abortiscono clandestinamente emergono dalle relazioni del Ministero della Salute e della Giustizia sull’applicazione della legge 194.

Sull’Espresso del 10 novembre 2005, la giornalista Chiara Valentini – citando i dati diffusi dal Ministero della Salute – scrive: “L’aborto clandestino non è solo una questione di immigrate… ma per il 90% riguardano le donne del sud e una discreta percentuale è rappresentata dalle giovanissime” [31].

Per quanto riguarda gli immigrati coinvolti negli aborti clandestini in Italia, il Ministero della Giustizia specifica che una parte di costoro “operante in ambienti di per sé malavitosi, violerebbe intenzionalmente la legge penale in senso lato ed in particolare l’art. 19 della Legge, istigando e favorendo l’aborto clandestino. Questo si verificherebbe in prevalenza nell’ambiente della prostituzione per eliminare gravidanze indesiderate”.

Le dichiarazioni della ginecologa Silvana Agatone

Molto interessanti, per individuare la tipologia di donne che ricorrono all’aborto clandestino, sono anche le dichiarazioni rilasciate in alcune interviste dalla dottoressa Silvana Agatone, ginecologa non obiettrice e presidente della Laiga (Libera associazione italiana ginecologi per l’applicazione della legge 194).

Nella sua inchiesta del 2013, uscita su Repubblica, Maria Novella de Luca riporta le seguenti osservazioni della Agatone: “L’aborto clandestino ormai riguarda tutti i ceti della società. Ci sono gli aborti d’oro, quelli dei ceti elevati, che si svolgono in sicurezza negli studi medici, oppure all’estero. E poi ci sono gli aborti delle donne povere, delle clandestine, che comprano le pasticche nei corridoi del metrò, e se qualcosa va male si presentano al Pronto Soccorso affermando di aver avuto un aborto spontaneo” [32].

Osservazioni analoghe sono apparse anche sulla rivista Elle [33] di gennaio 2017, dove Agatone afferma: “L’aborto clandestino esiste eccome. Anzi, ne esistono due tipi. Quello ‘d’oro’, che riguarda donne italiane di alto livello sociale che, per evitare attese e per motivi di riservatezza, vanno in cliniche private dove le ivg sono fatte passare per aborti spontanei. E quello, ben più drammatico, che riguarda le donne che non hanno soldi né vie alternative”.

Elle affronta anche il problema degli aborti clandestini delle immigrate eseguiti con il Cytotec, riportando le affermazioni di un’operatrice di On the road, una onlus che si occupa di donne vittime di tratta nella zona di Fermo, nelle Marche: “Le nigeriane ormai abortiscono solo così – afferma l’operatrice -. Spesso sono ragazze molto giovani, con meno dei 18 anni che dichiarano. Alcune arrivano in Italia già incinte per le violenze subite in Libia. Sono le loro stesse sfruttatrici a fornire i farmaci, magari quando è troppo tardi”.

In questi casi, i rischi per la salute possono essere molto pericolosi, “l’espulsione non riesce del tutto e le ragazze arrivano in ospedale con setticemie – spiega Agatone -. L’altro giorno una aveva preso un cocktail di medicine che le aveva indotto sì l’aborto, ma anche un’emorragia incontenibile e un’alterazione cardiaca grave. Noi medici abbiamo capito che cosa era successo, ma lei non ha ammesso niente”.

Intervistata da Vanity Fair a novembre 2017, Agatone ha ribadito le sue osservazioni, spiegando nuovamente che l’aborto clandestino “d’oro” “riguarda le donne delle classi economicamente molto alte, che mediamente non sembrano arrivare nei centri pubblici d’interruzione di gravidanza. La nostra ipotesi è che si rivolgano a cliniche private, non accreditate per svolgere l’intervento d’interruzione di gravidanza, dove l’aborto viene segnalato in altro modo, per esempio come isteroscopia o resettoscopia”.

Poi ci sono gli aborti delle donne straniere donne che potremmo definire senza volto, senza documenti” afferma Agatone, “questo è l’aborto clandestino più feroce perché coinvolge donne che non conoscono i loro diritti, non sanno ciò che possono fare. Mi è capitato di trovarmi in ospedale di fronte a qualche donna africana con segni di un aborto indotto… Quelle che arrivano da noi sono le più emarginate, chi viene invece seguita privatamente resta nel clandestino” [34].

Le testimonianze riportate da Repubblica

Altri dettagli sulle donne che abortiscono clandestinamente si possono ricavare da tre testimonianze riportate dalla de Luca su Repubblica: “Alem, 17 anni, nata Italia da genitori egiziani, brava e brillante a scuola, ricoverata in coma a Verona per un aborto provocato con un uncino. ‘Non volevo che i miei genitori si accorgessero che ero incinta – ha raccontato – e in ospedale non mi hanno voluto perché ero minorenne…’.

O Irene, cresciuta tra le Vele di Scampia, già baby mamma a 14 anni, che a 16 anni abortisce nel bagno di casa, ma sbaglia dosi di misoprostolo, e finisce in un grande nosocomio di Napoli tra la vita e la morte. ‘Sono troppo povera per avere un altro figlio’ confessa ai medici. O, ancora, ed è sempre Sud, la povera storia della compravendita di un neonato architettata da un ginecologo di Caserta, Andrea Cozzolino, finito in manette l’8 maggio scorso. Aveva convinto una giovane donna minorenne che si era rivolta a lui per un aborto clandestino, a partorire, e poi vendere il suo bambino per 25mila euro…” [35].

Le osservazioni di Luigi Laratta (Aied)

Ulteriori particolari emergono sempre grazie a Repubblica, in un articolo del 1996 scritto ancora da Maria Novella de Luca, che riporta le osservazioni di Luigi Laratta, l’allora presidente dell’Aied (Associazione italiana per l’educazione demografica). Laratta afferma che “il 70% degli aborti clandestini viene praticato al sud” e che tra le motivazioni di fondo vi è “la paura di rendersi visibili andando in ospedale”.

Quindi Laratta traccia l’identikit della donna che abortisce clandestinamente, osservando che questa “è di solito una madre di famiglia che ha già due o tre figli, a queste si devono aggiungere un venti per cento di minorenni che non riescono ad affrontare l’iter previsto dalla 194 per chi è al di sotto dei 18 anni, l’autorizzazione del giudice tutelare, e quindi il ricovero in ospedale”.

La de Luca aggiunge che a costoro si devono sommare “le donne immigrate, molte delle quali temono che l’ospedale significhi un’immediata schedatura” quindi conclude: “Ecco allora che si tratteggiano meglio i volti di questa schiera silenziosa di donne. Minorenni, madri di famiglia (meridionali), immigrate, e un piccolo drappello di coloro che hanno superato le 12 settimane, tempi limite per l’interruzione legale” [36].

Le osservazioni di altri professionisti in prima linea

Dobbiamo ancora ringraziare Repubblica se possiamo disporre di ulteriori dati sulla tipologia e sulle motivazioni delle donne che abortiscono clandestinamente. In un articolo del 2013 [37], la giornalista Erica Manna riporta le dichiarazioni di alcuni professionisti della salute di Genova, che grazie al proprio lavoro riescono ad avere un quadro più preciso di questo fenomeno.

Luigi Canepa, ginecologo all’Ospedale Villa Scassi e segretario regionale Cgil medici, afferma: “Vengono da noi donne nigeriane ed ecuadoriane, per lo più, sanguinano, hanno emorragie da giorni. Sono reticenti, spesso non hanno i documenti e temono denunce. Ma a volte noi troviamo i resti delle pastiglie nella vagina. Sembra di essere tornati indietro di quarant’anni: loro hanno paura, noi abbiamo provato a fare denunce ma non porta a nulla

Un’infermiera del medesimo ospedale dichiara: “Negli ultimi mesi c’è stata un’impennata di queste situazioni tra queste donne, spesso prostitute, si è sparsa la voce, abbiamo almeno due casi al mese: vengono qui perché non riescono a fermare l’emorragia. Ho visto con i miei occhi una donna africana incinta di sei mesi che aveva preso il Cytotec, il bambino ovviamente non è sopravvissuto, una storia straziante. Sono donne giovani, tra i venti e i trent’anni. Spesso arrivano con le amiche, a volte ubriache. Per soffrire meno”.

Il discorso dell’obiezione di coscienza non c’entra nulla” scrive la giornalista di Repubblica, tant’è che – spiega Mercedes Bo dell’Aied – “La situazione in Liguria, dal punto di vista dell’obiezione di coscienza, è migliorata, il dato allarmante è che molte donne immigrate, che fino a pochi anni fa frequentavano i consultori, sono praticamente sparite. Credo per paura, timore di essere denunciate. Nel caso delle prostitute, poi, i protettori non vogliono che si rivolgano a noi”.

Le prostitute straniere hanno abbandonato i consultori – ribadisce Mercedes Bo nell’intervista -. Fino a quattro o cinque anni fa si rivolgevano a noi, soprattutto quelle di nazionalità nigeriana che spesso accettano di avere rapporti senza preservativo. Negli ultimi tempi, il calo è stato vertiginoso. E, parallelamente, si sono diffusi questi farmaci, che si acquistano facilmente. Anche attraverso Internet. La nostra sensazione è che questo uso improprio del Cytotec sia basato sul passaparola. E che la reticenza a venire nelle nostre strutture sia dovuta alla paura di essere denunciate, in quanto la maggior parte di queste donne è senza documenti. Temono di essere rispedite a casa, e i loro protettori fanno pressione perché non si rivolgano ai consultori”.

Riepilogo: CHI SONO LE DONNE CHE RICORRONO ALL’ABORTO CLANDESTINO E PERCHE’ LO FANNO

Dall’analisi delle varie fonti sopra riportate possiamo, infine, tracciare i profili delle donne che abortiscono clandestinamente e, considerando le loro motivazioni, vedere se vi è oppure no correlazione con l’obiezione di coscienza.

Immigrate irregolari e prostitute

Tra le donne che abortiscono clandestinamente troviamo le immigrate irregolari e le prostitute: non di rado le due figure coincidono, nel senso che le prostitute che hanno aborti illegali sono spesso immigrate irregolari, soprattutto africane e in particolare nigeriane.

Perché le immigrate irregolari non vanno ad abortire in ospedale? Perché essendo clandestine sono prive di documenti, per questo motivo temono che il recarsi in una struttura pubblica per l’aborto le esponga a un’immediata schedatura (come scrive Maria Novella de Luca su Repubblica) o denuncia (come osservano il ginecologo di Genova Luigi Canepa e Mercedes Bo dell’Aied) con il rischio di essere rimandate nel proprio Paese d’origine.

Si tratta di donne che, oltre a recarsi nelle cliniche clandestine (la superteste di Villa Gina parla di extracomunitarie e rumene; sulla vicenda di Arzignano Repubblica parla di “donne disperate e in difficoltà economiche, spesso immigrate irregolari”), abortiscono perlopiù con il Cytotec  (Canepa parla di nigeriane ed ecuadoriane) e se vanno in ospedale lo fanno solo quando non ne possono proprio fare a meno, cioè quando l’aborto non va a buon fine e si ritrovano con emorragie inarrestabili.

Silvana Agatone osserva che si tratta di “donne povere, clandestine, che comprano le pasticche nei corridoi del metrò, e se qualcosa va male si presentano al Pronto Soccorso affermando di aver avuto un aborto spontaneo… Donne che potremmo definire senza volto, senza documenti. Questo è l’aborto clandestino più feroce perché coinvolge donne che non conoscono i loro diritti, non sanno ciò che possono fare… quelle che arrivano da noi sono le più emarginate, chi viene invece seguita privatamente resta nel clandestino”.

Al finto medico nigeriano che eseguiva aborti in Veneto – scrive Il Mattino – si rivolgevano “donne incinte straniere, senza permesso di soggiorno o prostitute, che per ignoranza oppure per timore di incorrere nelle sanzioni della legge italiana preferivano rivolgersi alla clinica ‘abusiva’”.

Come si può osservare, per questi aborti clandestini “il discorso dell’obiezione di coscienza non c’entra nulla”, come scrive chiaramente anche la giornalista di Repubblica, Erica Manna.

Gli aborti clandestini vedono poi la presenza di prostitute, spesso immigrate irregolari, come abbiamo osservato. Le prostitute frequentavano Villa Gina, dove peraltro erano discriminate rispetto alle italiane per quanto riguarda gli esami clinici da fare prima dell’aborto. Il Secolo XIX parla di “donne costrette ad abortire per continuare a vendere il proprio corpo nei vicoli di Genova”. Il Ministero della Giustizia scrive che l’aborto clandestino, che ha per protagonisti gli immigrati, opera “in ambienti di per sé malavitosi” e si verifica “in prevalenza nell’ambiente della prostituzione per eliminare gravidanze indesiderate”.

Le prostitute abortiscono con il Cytotec. “Le nigeriane ormai abortiscono solo così – afferma un’operatrice della onlus marchigiana On the road -,spesso sono ragazze molto giovani, con meno dei 18 anni che dichiarano… Sono le loro stesse sfruttatrici a fornire i farmaci”. “Negli ultimi mesi c’è stata un’impennata di queste situazioni tra queste donne, spesso prostitute – dichiara un’infermiera del Villa Scassi di Genova -, abbiamo almeno due casi al mese: vengono qui perché non riescono a fermare l’emorragia… sono donne giovani, tra i venti e i trent’anni”.

Perché le prostitute abortiscono clandestinamente? In aggiunta ai motivi visti sopra, nel caso in cui siano immigrate irregolari, se ne aggiungono altri: sono i loro sfruttatori che le costringono ad abortire, per rimandarle quanto prima sulla strada, e non le portano in ospedale perché non vogliono che vengano alla luce l’attività illegale e lo sfruttamento sessuale che le riguarda.

I protettori non vogliono che si rivolgano a noi – afferma Mercedes Bo -: la reticenza a venire nelle nostre strutture è dovuta alla paura di essere denunciate, in quanto la maggior parte di queste donne è senza documenti. Temono di essere rispedite a casa, e i loro protettori fanno pressione perché non si rivolgano ai consultori”. Ma vi è un altro “dato allarmante” – spiega la Bo -, il fatto “che molte donne immigrate, che fino a pochi anni fa frequentavano i consultori, sono praticamente sparite… Le prostitute straniere hanno abbandonato i consultori… soprattutto quelle di nazionalità nigeriana che spesso accettano di avere rapporti senza preservativo. Negli ultimi tempi, il calo è stato vertiginoso”.

La Bo attribuisce la causa di questo calo alla diffusione illegale del Cytotec, ma vi è probabilmente anche un altro motivo: non sarà forse che le organizzazioni criminali, e in particolare la mafia nigeriana, si siano meglio radicate sul territorio italiano organizzandosi con propri “medici” e proprie cliniche illegali?

La scoperta, nel 2016 e 2017, di cliniche di aborti clandestini in Veneto e in Campania gestite da falsi medici nigeriani, il secondo dei quali – scrive Il Messaggero – “era considerato un referente per le pratiche clandestine di interruzione di gravidanza sull’intero territorio nazionale”, non è forse un segnale significativo di questa nuova tendenza?

Il sedicente medico nigeriano arrestato in Campania – osserva Il Messaggero – era specializzato nell’“eseguire aborti clandestini per donne nigeriane, e non solo, alcune delle quali prostitute costrette a interrompere la gravidanza dai loro sfruttatori in quanto essa rappresentava un ostacolo all’attività… L’uomo veniva contattato quotidianamente da soggetti che gli commissionavano gli aborti delle ragazze nigeriane verosimilmente al loro servizio. Nessuna ragazza lo ha mai contattato direttamente, evidenziando così, ritengono gli investigatori, l’assenza di un loro consenso pieno e valido”.

Le due giovani nigeriane trovate nella clinica clandestina al momento dell’irruzione dalle forze dell’ordine, hanno confermato “di essere state costrette a sottoporsi all’interruzione di gravidanza da altre persone, in quanto lo stato interessante avrebbe loro impedito di continuare l’attività di prostituzione cui sono state costrette dai loro sfruttatori”.

Non può essere solo un caso se le cliniche illegali nigeriane stiano emergendo proprio oggi, dopo anni di espansione dell’immigrazione africana irregolare a opera dei governi di sinistra, con conseguente estensione della mafia nigeriana su tutto il territorio nazionale. Questi aborti clandestini sono il frutto di storie di emarginazione, estrema povertà, sfruttamento e illegalità. Ed è proprio perché vi sono in ballo condizioni d’illegalità che queste donne, nonostante siano economicamente svantaggiate, pagano cifre considerevoli per un aborto clandestino che potrebbero ottenere legalmente e gratuitamente in ospedale.

Pertanto, anziché gridare all’obiettore – che come si vede non ha nessuna responsabilità – non sarebbe forse meglio che la sinistra si facesse in questo caso un ben più realistico “mea culpa”?

Donne cinesi

Sono numerosissime le cliniche cinesi illegali scoperte in Italia dalle forze dell’ordine nel corso degli anni. Queste cliniche eseguono sia aborti chirurgici che farmacologici (Cytotec), ma non di rado si occupano anche di altri tipi di interventi. Nelle cliniche abusive identificate nel 2006, i falsi medici cinesi – scrive Toscana Oggi – eseguivano anche interventi per la restituzione della verginità, molto richiesti dalle donne cinesi.

Il Mattino di Padova scrive che “i medici da tempo denunciano un aumento di pazienti stranieri che giungono negli ospedali dopo che le «pratiche sanitarie sotterranee» non sono andate a buon fine: circoncisioni casalinghe, aborti, ma anche cure di patologie infettive. Gli specialisti sostengono che l’unica arma per sconfiggere questo problema, dai gravi risvolti sociali ed economici, dato che spesso i pazienti giungono in ospedale, a carico del servizio sanitario regionale solo quando le loro condizioni sono disperate, siano la cultura e l’integrazione”.

Alle cliniche cinesi illegali si rivolgono per abortire le immigrate cinesi irregolari. L’Eco di Bergamo scrive che la clinica clandestina scoperta nel napoletano nel 2010 era probabilmente utilizzata “soprattutto da cinesi irregolari dell’area vesuviana nella quale la comunità cinese è molto numerosa”. Ma, nonostante sia stata individuata anche qualche donna italiana tra le clienti di queste cliniche – come scrive Maria Novella de Luca a proposito dell’ambulatorio fuorilegge cinese smantellato a Padova -, ad abortire nelle cliniche illegali cinesi vi sono anche le cinesi regolari, quelle cioè che risiedono stabilmente e legalmente in Italia.

Perché le donne cinesi non vanno ad abortire gratuitamente negli ospedali pubblici italiani? Nel caso delle irregolari, potrebbero rientrare tra le motivazioni quelle già espresse in precedenza per le immigrate irregolari tuttavia, nel caso specifico della comunità cinese e delle loro donne che abortiscono (sia regolari che irregolari), la motivazione ha soprattutto radici culturali, e lo dimostra il fatto che in queste cliniche non si eseguono esclusivamente aborti, ma anche altri interventi sanitari. Infatti, pur essendo la quarta comunità di stranieri in Italia in ordine di numerosità, quella cinese rimane sostanzialmente una comunità “chiusa”.

I cinesi non frequentano di norma gli ospedali italiani ed è risaputo che tra loro le pratiche di automedicazione sono diffusissime (erboristerie, medicamenti della tradizione, farmaci allopatici importati illegalmente dalla Cina), inoltre quando incorrono in problemi di salute gravi preferiscono ritornare in patria per curarsi piuttosto che usufruire della sanità pubblica del posto. Così anche le loro donne, quando vogliono abortire, preferiscono rivolgersi ai propri connazionali, anziché recarsi negli ospedali italiani.

Si tratta in altre parole “della professione medica illegale praticata da stranieri per stranieri”, come scrive giustamente Il Mattino di Padova, precisando in proposito che l’unica arma per sconfiggere questo problema è agire a livello culturale e di integrazione. In conclusione: anche con gli aborti clandestini delle cinesi, l’obiezione di coscienza non c’entra nulla.

Donne che abortiscono a gravidanza avanzata

In quasi tutte le fonti che abbiamo esaminato, emerge che a frequentare cliniche e professionisti illegali vi sono spesso le donne che abortiscono a gravidanza avanzata, cioè oltre i termini consentiti dalla 194. Questa norma permette di abortire entro i primi 90 giorni di gravidanza e, dopo questo periodo, solo se sussiste un serio pericolo per la vita della madre o se il bambino ha anomalie o malformazioni. Pertanto, se ha superato i primi tre mesi e non sussistono i requisiti per abortire oltre questo periodo, la donna non può abortire e, se va in ospedale o al consultorio a chiedere l’aborto, viene respinta.

La segretaria di Villa Gina racconta di “tante donne che arrivavano dall’ospedale e dai consultori”, come ho già precedentemente notato: perché tante donne dovrebbero rischiare con un aborto clandestino e per di più a pagamento, se hanno a disposizione l’aborto sicuro e gratuito in ospedale dove sono appena state? Evidentemente all’ospedale e al consultorio è stato loro detto che non rientravano nei requisiti di legge per sottoporsi all’aborto, per questo sono andate alla clinica di Spallone dove – racconta la teste principale – “l’ecografia spesso si modificava”, veniva cioè certificato un periodo di gravidanza inferiore a quello effettivo per far rientrare l’aborto entro i tre mesi canonici.

La segretaria di Spallone parla di aborti effettuati dopo le dodici settimane in cui si vede che la donna soffre in modo tremendo e innaturale; rivela che più era avanzata la gravidanza, più la donna doveva pagare per l’aborto (un milione e mezzo fino a otto o dieci milioni di vecchie lire); racconta di una quarantenne che dopo l’aborto di una gravidanza molto avanzata si è ritrovata con l’uretere perforata.

La Repubblica scrive che a Villa Gina si abortiva anche in casi in cui la gravidanza era molto avanzata, anche con pazienti al sesto mese; parla di sedici casi di donne che hanno abortito all’ottavo mese di gravidanza per il quale avrebbero pagato a Spallone fino a 22 milioni di vecchie lire; cita il caso di un aborto in avanzato stato di gravidanza in cui la donna si è ritrovata con l’utero perforato.

Aborti tardivi risultano eseguiti anche nelle altre strutture clandestine scoperte dalle forze dell’ordine. I medici dell’ospedali Rizzoli sono stati indagati per interruzione di gravidanza di un inesistente aborto ritenuto e per aver violato la legge 194 con l’esecuzione di un aborto oltre i 90 giorni dal concepimento in assenza di condizioni patologiche. Lo stesso è avvenuto nei confronti del ginecologo di Castiglione del Lago, finito sotto accusa per aver falsificato l’epoca gestazionale della gravidanza al fine di far rientrare l’aborto entro i tempi di legge, e per il ginecologo di Arzignano, anch’egli inquisito per il reato di ivg in violazione della 194.

A Quinto, nell’abitazione del sedicente medico nigeriano, sono stati trovati gli attrezzi chirurgici usati per gli aborti dall’ottava alla dodicesima settimana e oltre. Riguardo all’altro finto medico nigeriano arrestato a Castel Volturno, Il Messaggero scrive che chiedeva fino a 2.500 euro per gli aborti di gravidanze inoltrate fino al quinto mese. Un’infermiera dell’Ospedale Villa Scassi racconta il caso di una donna africana incinta di sei mesi che aveva preso il Cytotec per abortire. Ed è Maria Novella de Luca a ricordare, su Repubblica, i 188 procedimenti penali aperti nel 2012 per violazione della legge 194, spesso contro insospettabili professionisti che agivano nei loro studi medici.

In conclusione: perché le donne con gravidanze avanzate non vanno ad abortire in ospedale, perché in assenza di pericolo di vita per la madre o di patologie e malformazioni del bambino, in ospedale l’aborto non glielo fanno, e non glielo fanno perché la legge lo proibisce. In clandestinità si pratica, quindi, ciò che è giuridicamente vietato e, come si vede, anche per questi casi l’obiezione di coscienza non c’entra nulla.

Giovanissime e minorenni

Le cliniche abusive sono frequentate anche da ragazze e minorenni. Le minorenni frequentavano Villa Gina, come ha rivelato la segretaria di Spallone, l’inchiesta ha anche evidenziato un caso in cui una minorenne è stata costretta ad abortire dalla propria madre; Milano Today scrive che molte pazienti minorenni si recavano nell’ambulatorio clandestino cinese scoperto nel milanese; Chiara Valentini, citando i dati del Ministero della Salute, scrive su l’Espresso che una discreta percentuale di aborti clandestini è rappresentata dalle giovanissime.

Luigi Laratta, dell’Aied, quantifica la rilevanza delle giovanissime fornendo anche un motivo del perché ricorrono alla clandestinità: abortiscono clandestinamente “un venti per cento di minorenni che non riescono ad affrontare l’iter previsto dalla 194 per chi è al di sotto dei 18 anni, l’autorizzazione del giudice tutelare, e quindi il ricovero in ospedale”.

Ma le minorenni compiono anche l’aborto fai-da-te attraverso l’uso dei farmaci abortivi. In occasione del blitz che ha portato al sequestro di oltre tremila pillole illegali di Cytotec, Il Secolo XIX ha scritto che erano destinate “pure a insospettabili giovani che interrompono la loro gravidanza indesiderata in maniera clandestina”. Maria Novella de Luca riporta su Repubblica tre testimonianze di giovanissime che hanno fatto tutto da sole, da cui emergono ulteriori dettagli sulle motivazioni del ricorso all’aborto clandestino delle minorenni.

La 17enne egiziana Alem ha abortito con un uncino perché non voleva che i genitori sapessero che era rimasta incinta e perché in ospedale non l’hanno voluta in quanto minorenne; Irene, napoletana, un figlio già a 14 anni poi un’altra gravidanza a 16 interrotta con il Cytotec, perché afferma di essere troppo povera per avere un altro figlio; e un’altra minorenne del sud Italia, convinta a portare a termine la gravidanza, per poi vendere il figlio, dal ginecologo a cui si era rivolta per un aborto clandestino.

Perché, quindi, le giovanissime non vanno ad abortire in ospedale? Principalmente per i seguenti motivi:

  • Non vogliono che i propri genitori vengano a sapere che sono rimaste incinte, ed essendo minorenni, senza il consenso dei genitori l’ospedale non può praticare l’aborto. In questi casi la minorenne potrebbe ugualmente sottoporsi all’aborto se riesce a ottenere l’autorizzazione del giudice tutelare, ma – osserva Laratta – molte di loro non riescono ad affrontare questo iter previsto dalla 194. Quindi si ritrovano a fare da sé o a rivolgersi a medici compiacenti.
  • Sono obbligate ad abortire dai propri familiari, sono questi ultimi che le fanno abortire in clandestinità perché non vogliono che si sappia che la figlia è rimasta incinta, o perchè in ospedale il personale medico potrebbe scoprire che non vi è il consenso della ragazzina all’aborto.

Nel caso delle giovanissime del sud Italia potrebbero rientrare anche motivazioni legate alla riservatezza, che vedremo successivamente; per le giovanissime cinesi valgono le ragioni culturali già esaminate. Le motivazioni legate alle condizioni economiche disagiate, sono quelle che fanno più infuriare perché in Italia esistono associazioni (per es. i CAV) che aiutano le donne che stanno affrontando una gravidanza difficile e perché esiste altresì la possibilità di partorire in anonimato.

Se ci fosse maggiore informazione su queste alternative, molte donne eviterebbero di uccidere un figlio per motivi economici e anche di finire da discutibili professionisti che, anziché proporre queste possibilità, consiglino loro di vendere il figlio che portano in grembo.

Cosa ci dicono, in conclusione, le motivazioni delle giovanissime che abortiscono clandestinamente? Ancora una volta, ci dicono che i medici obiettori non c’entrano nulla.

Donne costrette ad abortire contro la propria volontà

Dalle fonti esaminate emerge inoltre che tra le donne che abortiscono in clandestinità ve ne sono alcune costrette ad abortire contro la propria volontà. Fanno parte di questo gruppo – come visto precedentemente – le prostitute. Sono i loro protettori che le costringono all’aborto per rimandarle il prima possibile in strada a vendere il proprio corpo. Si tratta delle schiave del sesso, vittime del racket della prostituzione: prima costrette a prostituirsi e poi costrette ad abortire.

L’inchiesta che ha visto coinvolto il ginecologo del perugino, ha portato alla luce l’aborto di due gemelli su una 24enne albanese che sarebbe stata costretta a interrompere la gravidanza, contro la sua volontà, dal compagno che non voleva figli. Approfittando del fatto che non conoscesse la lingua italiana, le è stato fatto firmare a sua insaputa il consenso informato in cui acconsentiva all’aborto.

Ma in questo gruppo vi sono anche le italiane e, in particolare, le giovanissime. Repubblica scrive che a Villa Gina “si abortiva anche con pazienti che non volevano farlo”. La segretaria di Spallone riporta due casi di giovani costrette ad abortire contro la propria volontà: “Una giovane contraria all’interruzione di gravidanza, arrivata in sala operatoria, scoppiò a piangere gridando che non voleva abortire. Ilio Spallone urlava e colpiva la donna alle gambe, un altro la tratteneva finché l’anestesista non riuscì ad addormentarla” e “una minorenne che di interrompere la gravidanza non ne voleva sapere ma a decidere per l’aborto era la madre, che si era messa d’accordo con Ilio, e così fu fatto”. Anche il Giudice per le Indagini Preliminari scrive che a Villa Gina le donne erano “talvolta costrette all’aborto con minacce e violenza”.

In conclusione, chi vuole costringere una donna ad abortire (sfruttatore, compagno, familiare…) si assicura che rimanga ben distante dal consultorio o dall’ospedale pubblico, dove potrebbero venire allo scoperto l’intenzione della donna a non abortire e l’azione coercitiva del suo aguzzino. Così, anche per gli aborti forzati, non rimane altro da fare che attestare la totale estraneità dei medici obiettori.

Donne dei ceti elevati

Gli aborti clandestini vedono inoltre la presenza delle donne dei ceti elevati. Donne benestanti frequentavano certamente Villa Gina, visto che potevano permettersi di spendere otto, dieci, fino a ventidue milioni di vecchie lire per abortire a gravidanza avanzata violando la 194.

Silvana Agatone parla di aborti “d’oro” per descrivere gli aborti clandestini a cui si sottopongono le “donne italiane di alto livello sociale”, le “donne delle classi economicamente molto alte che mediamente non sembrano arrivare nei centri pubblici d’interruzione di gravidanza”, ma che “si svolgono in sicurezza negli studi medici, oppure all’estero”.

La Agatone specifica anche le possibili motivazioni: “per evitare attese e per motivi di riservatezza, vanno in cliniche private dove le ivg sono fatte passare per aborti spontanei” e “la nostra ipotesi è che si rivolgano a cliniche private, non accreditate per svolgere l’intervento d’interruzione di gravidanza, dove l’aborto viene segnalato in altro modo, per esempio come isteroscopia o resettoscopia”.

Perché quindi le donne benestanti non vanno ad abortire in ospedale, preferendo sborsare anche cifre considerevoli per un aborto clandestino? I motivi più plausibili sono i seguenti:

  • I casi emersi a Villa Gina fanno pensare che si tratti di aborti a gravidanza avanzata senza i requisiti di legge.
  • Vogliono fare subito l’aborto evitando i tempi di attesa solitamente presenti nell’ambito della sanità pubblica.
  • Ragioni di riservatezza: non vogliono che si sappia che sono rimaste incinte e che hanno abortito.
  • L’aborto può essere eseguito per legge solo dalle strutture sanitarie pubbliche o accreditate che le persone benestanti di norma non frequentano. Quando devono sottoporsi a esami o interventi sanitari in generale, costoro preferiscono solitamente rivolgersi a studi e cliniche private o a propri medici di fiducia a pagamento. Lo stesso accade quando una donna benestante vuole abortire: non va nella struttura pubblica della quale non si avvale mai, ma da un ginecologo di fiducia a pagamento o in uno studio privato, dove l’aborto indotto sarà fatto risultare sotto altra voce (aborto spontaneo, isteroscopia, resettoscopia…).

C’entra qualcosa tutto ciò con l’obiezione di coscienza? Chiaramente no.

Donne del sud italia

Del gruppo delle donne italiane che abortiscono in clandestinità fanno parte in particolare le donne del sud Italia. Nel 1996, Luigi Laratta afferma che “il 70% degli aborti clandestini viene praticato al sud” aggiungendo che “di solito è una madre di famiglia che ha già due o tre figli”. Laratta fornisce anche una probabile motivazione: “La paura di rendersi visibili andando in ospedale”. La giornalista Chiara Valentini – citando i dati del Ministero della Salute – scrive nel 2005 che gli aborti clandestini “per il 90% riguardano le donne del sud”. Sempre nel 1996, Maria Novella de Luca inserisce nel riepilogo che fa sulle “clandestine dell’aborto” le “madri di famiglia (meridionali)”.

Perché le donne del Sud, in particolare le madri di famiglia, non vanno ad abortire in ospedale? Perché vogliono tenere l’aborto strettamente segreto, non vogliono che i figli, i familiari, i parenti, i vicini, forse anche il marito, vengano a sapere che hanno abortito un figlio. Recarsi in ospedale per l’aborto farebbe sorgere domande e sospetti, rendendo arduo nascondere ciò che si sta per fare.

Si tratta di donne che scelgono volontariamente, esercitando il proprio libero arbitrio, di abortire in clandestinità, facendo da sé o avvalendosi di un dottore compiacente. E in definitiva, come si può ancora una volta facilmente constatare, si tratta di situazioni che non hanno nulla a che vedere con l’obiezione di coscienza.

Donne incinte a seguito di una relazione clandestina

Le intercettazioni sulle utenze fisse e cellulari del ginecologo inquisito nel perugino – scrive La Nazione – ha fatto emergere “uno spaccato sociale di continui ricorsi al professionista da parte di donne ma anche e spesso mariti e fidanzati o amanti che chiedevano di praticare subito un’interruzione di gravidanza”. Cosa ci dice questo fatto? Ci dice che a rivolgersi al vasto bacino degli aborti clandestini vi sono anche donne e uomini infedeli: la donna sposata/fidanzata che rimane incinta di un uomo che non è il marito/fidanzato, l’uomo sposato/fidanzato che mette incinta una donna che non è la moglie/fidanzata.

Si tratta di casi in cui i protagonisti non hanno alcun interesse a che l’aborto avvenga alla luce del sole in una struttura pubblica, perché rischierebbe di portare allo scoperto la relazione illecita. Sono, inoltre, casi che presentano un carattere d’urgenza (al ginecologo veniva chiesto di praticare subito l’aborto) per evitare che il trascorrere dei giorni possa mostrare i segni della gravidanza in corso: malesseri della donna (nausea, tensione mammaria, dolori al ventre…), assenza del ciclo, pancia che si indurisce, ecc. In conclusione: le relazioni clandestine conducono all’aborto clandestino e, ancora una volta, con l’obiezione di coscienza non c’entrano nulla.

CONCLUSIONI

Come si vede, il bacino delle donne che abortiscono clandestinamente è molto diversificato, come diversificate sono le motivazioni che le spingono in questa direzione. Motivazioni che, come sopra dimostrato, non hanno nulla a che fare con l’obiezione di coscienza dei medici. Non è perciò corretto né leale attribuire il fallimento della 194, nello sconfiggere la piaga dell’aborto clandestino, all’alto numero dei medici obiettori.

Nonostante la possibilità di abortire legalmente, gratuitamente e in sicurezza in un ospedale pubblico hanno continuato a esserci, vi sono tuttora e vi saranno sempre donne che, per i motivi più svariati, continueranno a rivolgersi all’illegalità o a fare da sé. In altre parole, anche se tutti i medici degli ospedali pubblici fossero abortisti e nessuno obiettore, ci sarebbe sempre questo vasto e diversificato gruppo di donne e persone che continuerebbero a non recarsi nella struttura pubblica e a chiedere l’aborto clandestino.

Ammesso e non concesso, inoltre, che vi sia stata qualche donna costretta a ricorrere all’aborto clandestino – come sostengono gli abortisti – per il fatto che nel suo ospedale abbia trovato solo medici obiettori, si tratterebbe in ogni caso di qualche evento isolato e non statisticamente significativo nel vasto ammontare degli aborti che, nonostante la legalizzazione, continuano a svolgersi in clandestinità. Non è corretto né onesto ergere un’eccezione a causa unica ed esclusiva della manifestazione di un dato fenomeno.

L’attacco ai medici obiettori i quali – secondo gli abortisti – a causa dell’alto numero a cui sono arrivati non garantirebbero un’adeguata risposta alla domanda di aborti da parte delle donne costringendole a ritornare nella clandestinità, è quindi assolutamente strumentale. Un’ulteriore conferma ci viene data quando si confrontano i dati storici con gli odierni: nel 1983 il Ministero della Salute stimava gli aborti clandestini in 100mila all’anno, i ginecologi obiettori erano il 59,1%; nel 2012 le stime ministeriali degli aborti clandestini scendono a 15/20mila (Repubblica ne stima 40/50mila, ma è pur sempre la metà del dato del 1983), i ginecologi obiettori salgono al 69,6% (Maria Novella de Luca e i politici di Articolo 1-Mdp parlano di un 80% di medici obiettori): oltre dieci punti percentuale in più rispetto al 1983 (venti punti in più se consideriamo le cifre della de Luca e di Mdp).

Come lo spiegano, quindi, quelli di Repubblica e tutti gli altri abortisti che incolpano i medici obiettori, il fatto che risultino il doppio degli aborti clandestini proprio negli anni in cui, rispetto a oggi, c’erano molti più ginecologi disposti a praticare aborti e molti meno medici che si rifiutavano di farlo?

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Note:

[1] Francesco Agnoli, Il Foglio, 3 febbraio 2005, citato in Antonio Socci, Il genocidio censurato, Piemme, Casale Monferrato 2006, p. 75.

[2] Francesco Agnoli, Le cifre sull’aborto prima e dopo la legge 194, Libertà e Persona, 4 febbraio 2008

[3] A. Socci, ibid, p. 85.

[4] F. Agnoli, art. cit.

[5] A. Socci, ibid, p. 76.

[6] A. Socci, ibid, p. 76.

[7] A. Socci, ibid, p. 77.

[8] Maria Novella de Luca, “194, così sta morendo una legge. In Italia torna l’aborto clandestino”, Repubblica.it, 23 maggio 2013.

[9] C. Fus., “Sono numeri a effetto il fenomeno è in calo”,  La Repubblica, 15 dicembre 2005.

[10] Bruno Mozzanega, “‘L’altro’ aborto clandestino quello con le compresse antiulcera”, Newsletter di Scienza & Vita n. 18, 24 novembre 2008.

[11] Giovanna Pasqualin Traversa, “Aborto. Filippo M. Boscia (Amci): ‘Una legge iniqua. Occorre garantire alle donne anche il diritto di non abortire’”, www.agensir.it, 22 maggio 2018.

[12] M. N. de Luca, art. cit.

[13] Documenti esaminati nel corso della Seduta Comunicazioni all’assemblea, Seduta n. 781 di mercoledì 19 aprile 2017, documenti.camera.it.

[14] Marta Dore, “Aborto clandestino in Italia, la legge 194 non protegge più le donne”, www.elle.com, 25 gennaio 2017.

[15] Fausta Speranza, “Io, la superteste, vi racconto la clinica degli aborti illegali”, Corriere della Sera, 16 aprile 2000.

[16] “Ilio e Marcello Spallone condannati a vent’anni”, www.repubblica.it, 25 novembre 2002.

[17] “Aborti clandestini ‘Gli orrori di Villa Gina’”, www.repubblica.it, 9 giugno 2000.

[18] “Chiuse sei cliniche per aborti con falsi medici cinesi: due erano a Prato e una a Firenze”, www.toscanaoggi.it, 20 maggio 2006.

[19] “Quarto Oggiaro, scoperto ambulatorio clandestino cinese per aborti”, certosa.milanotoday.it, 27 gennaio 2010.

[20] “Nel Napoletano scoperta clinica clandestina gestita da cinesi”, www.ecodibergamo.it, 5 giugno 2010.

[21] Fabiana Pesci, “Aborti clandestini, clinica cinese sequestrata”, mattinopadova.gelocal.it, 18 settembre 2011.

[22] M. N. de Luca, art. cit.

[23] “Lacco Ameno, Aborti contestati al Primario di Ginecologia al Rizzoli, obiettore di coscienza”, www.ischiablog.it, 20 marzo 2008.

[24] “Aborti clandestini, arrestato medico. Gettava nel water i feti delle immigrate”, www.repubblica.it, 19 agosto 2010.

[25] “Il dramma: ‘Hanno fatto morire i miei due bambini’, nei guai noto ginecologo”, www.perugiatoday.it, 16 gennaio 2015.

[26] “Così di nascosto hanno fatto morire i miei due bambini”, www.lanazione.it, 25 maggio 2010.

[27] M. N. de Luca, art. cit.

[28] Simone Traverso, “La gang degli aborti clandestini”, www.ilsecoloxix.it, 2 settembre 2012,

[29] Marco Filippi, “Aborti clandestini nella villa degli orrori”, mattinopadova.gelocal.it, 20 gennaio 2016.

[30] “Caserta, aborti clandestini: il tariffario del Doctor Friday”, Il Messaggero, 14 ottobre 2017.

[31] Citato da A. Socci, op. cit., p. 79.

[32] M. N. de Luca, art. cit.

[33] M. Dore, art. cit.

[34] Alessia Arcolaci, “L’aborto clandestino in Italia è ancora una realtà”, www.vanityfair.it, 22 novembre 2017.

[35] M. N. de Luca, art. cit.

[36] Maria Novella de Luca, “Le clandestine dell’aborto”, www.repubblica.it, 22 marzo 1996.

[37] Erica Manna, “Pillole fai-da-te, nuova via per gli aborti”, la Repubblica, 5 giugno 2013.