La Croce quotidiano 14 aprile 2018
La Chiesa ha sempre ammesso la possibilità del perdono a chi è sinceramente pentito. Ma era necessaria l’autorizzazione del vescovo (canone 969) o di un sacerdote da lui delegato. Bergoglio all’inizio dell’Anno giubilare ha concesso a tutti i sacerdoti la possibilità di assolvere dal peccato di aborto. Poi ha esteso in modo permanente questa possibilità. La Dottrina sulla sacralità della vita comunque non cambia. Ecco la sintesi dell’intervento dell’avv. Virginia Lalli nella trasmissione di Giuseppe Brienza “Temi di Dottrina sociale della Chiesa” del 10 aprile
di Giuseppe Brienza
San Giovanni Paolo II nell’Evangelium vitae ha definito l’aborto «l’uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita». Inoltre, sempre secondo Papa Wojtyla, l’aborto rappresenta «un’enorme minaccia contro la vita, non solo di singoli individui ma dell’intera civiltà». Anche Papa Francesco nel suo Magistero ha più volte e con decisione ribadito che si tratta di un intervento che, in ogni caso, pone fine ad una gravidanza sopprimendo il feto.
Cominciamo dall’esortazione apostolica “Amoris Letitiae”, del 19 marzo 2016, nella quale Bergoglio stigmatizza la partica altrettanto ingiusta dell’utero in affitto, in quanto inaccettabile strumentalizzazione e mercificazione del corpo femminile. Nella più recente esortazione “Gaudete et exsultate” (19 marzo 2018) il Santo Padre ha ribadito da ultimo che la difesa dell’innocente nel grembo materno deve essere chiara, ferma e appassionata, perché è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra e lo esige l’amore per ogni persona al di là del suo sviluppo.
Alla luce di quest’ultimo documento va letta anche la lettera apostolica “Misericordia et misera” (21 novembre 2016), nella quale il Pontefice si occupa del delicato rapporto fra aborto e perdono.
Tra l’altro, afferma: «Concedo d’ora innanzi a tutti i sacerdoti, in forza del loro ministero, la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto… Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente. Con altrettanta forza, tuttavia, posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre» (n.12).
Il Codice di Diritto canonico (1398) recita a tal proposito: «Chi procura l’aborto incorre nella scomunica latae sententiae». Si tratta cioè di una pena estrema che scatta in modo automatico senza che ci sia la necessità di una sentenza specifica. La Chiesa ha sempre ammesso la possibilità del perdono a chi è sinceramente pentito. Ma era necessaria l’autorizzazione del vescovo (canone 969) o di un sacerdote da lui delegato. Papa Francesco all’inizio dell’Anno giubilare aveva concesso a tutti i sacerdoti la possibilità di assolvere dal peccato di aborto. Con la lettera “Misericordia et misera” estende questa possibilità in modo permanente.
Vorremmo precisare che, a fronte di questa innovazione pastorale, la Dottrina cattolica sulla sacralità della vita non cambia. Tantissime sono in effetti le pronunce di condanna da parte della Tradizione e del Magistero. Come noto, è fin dal primo secolo che la Chiesa si è espressa contro l’aborto provocato. L’aborto diretto, secondo la Didaché, è gravemente contrario alla legge morale: «Non uccidere il bimbo con l’aborto, e non sopprimerlo dopo la nascita» (2, 2). «Dio, padrone della vita, ha affidato agli uomini l’altissima missione di proteggere la vita, missione che deve essere adempiuta in modo degno dell’uomo. Perciò la vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; e l’aborto come pure l’infanticidio sono abominevoli delitti» (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 51).
Non è un caso che sono molte le persone che praticando aborti si sono convertite. Soprattutto medici e operatori sanitari che praticano questi terribili “interventi” spesso vengono colpiti dalla sindrome di “burn out”, che è l’esito patologico di un processo di forte stress che interessa, in varia misura, coloro che sono impegnati quotidianamente e ripetutamente in attività che implicano le relazioni e implicazioni personali.
Dal 1996, sotto la guida dello psichiatra Philip Ney, la “Society of Centurions” aveva persino proposto un percorso di guarigione da tale sindrome incoraggiando le persone che avevano usato le loro abilità professionali per uccidere i bambini con l’aborto a compiere un percorso inverse ma, purtroppo, a causa di diversi motivi, questa opzione ora non c’è più. Così come il Centurione che, prendendo parte alla morte di Gesù, si pentì e dichiarò: «Sicuramente, questo era un uomo innocente», così i “Centurions” di oggi, avendo partecipato alla morte di tanti bambini non nati, si sono pentiti e hanno dichiarato: «Sicuramente, queste erano vite innocenti».
Tra coloro che da pro-choice sono diventati pro-life ricordiamo anche il dott. Anthony Levantino, già medico abortista che poi ha girato il mondo a predicare il “verbo” prolife, Abby Jhonson, psicologa che ha lavorato presso la “multinazionale dell’aborto” Planned Parenthood e che ha raccontato la sua conversione nel libro “Unplanned” e, per quanto riguarda l’Italia, il dott. Antonio Salvatore Oriente. Quest’ultimo, già ginecologo responsabile di due Consultori Asl a Messina, praticava abitualmente aborti e, dopo la conversione, ha scritto: «All’inizio della mia professione effettuavo Ivg pensando di fare il bene delle persone. Ascoltavo le loro storie, spesso pietose, e mi dicevo che, effettivamente, l’operazione era la soluzione giusta».
Ora che è diventato un paladino del diritto alla vita, oltre che vicepresidente nazionale dei ginecologi cattolici, ha dichiarato: «l’aborto è un “concentrato di sofferenza” con il quale si compromette la salute psichica e fisica della donna, si uccide suo figlio e si limita la sua capacità gestazionale».
Tutto ciò mentre non si registrano storie al contrario, ovvero di pro-life che sono diventati pro-choice…
Come non citare poi il dott. Bernard Nathanson, famoso ginecologo di New York che, applicando le tecniche ecografiche durante un intervento, rimase profondamente sconvolto dalla realtà dell’aborto. Da allora non ha mai più praticato aborti ed è divenuto un testimone della battaglia per la vita. La registrazione di quell’ecografia è divenuta un filmato che ha fatto il giro del mondo con il titolo “Il grido silenzioso” e l’altro filmato “L’eclissi della ragione” sugli aborti a nascita parziale.
Nathanson, di origini ebraiche ma ateo, in seguito si è convertito al cattolicesimo e, nel 1996, si è fatto battezzare. Nella sua autobiografia, “The Hand of God: A Journey from Death to Life by the Abortion Doctor Who Changed His Mind” (Regenery Publishing, 1997), ha raccontato il proprio percorso dalla Morte alla Vita. Nel testo che segue, risalente al 1983, il dott. Nathanson spiega le tecniche di propaganda utilizzate dal movimento abortista prochoice per influenzare l’opinione pubblica americana, in maggioranza contraria alla legalizzazione avvenuta nel 1973.
«Sono personalmente responsabile di aver eseguito 75.000 aborti – scrive il medico statunitense, morto nel 2011-. Ciò mi legittima a parlare con autorevolezza e credibilità sull’argomento. Sono stato uno dei fondatori della National Association for the Repeal of the Abortion Laws [Associazione Nazionale per la legalizzazione dell’aborto ndr] (NARAL), nata negli Stati Uniti, nel 1968. A quel tempo, un serio sondaggio d’opinione aveva rilevato che la maggioranza degli Americani era contraria a liberalizzare l’aborto. In capo a soli 5 anni, noi riuscimmo a costringere la Corte Suprema degli Stati Uniti ad emettere la decisione che, nel 1973, legalizzò l’aborto completamente, rendendolo possibile virtualmente fino al momento del parto. Come ci riuscimmo? È importante capire le strategie messe in atto perché esse sono state utilizzate, con piccole varianti, in tutto il mondo occidentale al fine di cambiare le leggi contro l’aborto».
«La prima strategia fu conquistare i massmedia. Cominciammo convincendo i massmedia che quella per la liberalizzazione dell’aborto era una battaglia liberale, progressista ed intellettualmente raffinata. Sapendo che se fosse stato fatto un vero sondaggio ne saremmo usciti sonoramente sconfitti, semplicemente inventammo i risultati di falsi sondaggi. Annunciammo ai media che dai nostri sondaggi risultava che il 60% degli Americani era favorevole alla liberalizzazione dell’aborto. Questa è la tecnica della bugia che si auto-realizza: poche persone, infatti, desiderano stare dalla parte della minoranza».
«Raccogliemmo ulteriori simpatie verso il nostro programma inventando il numero degli aborti illegali praticati ogni anno negli Stati Uniti. La cifra reale era di circa centomila, ma il numero che più volte ripetemmo attraverso i media era di un milione. Ripetendo continuamente enormi menzogne si finisce per convincere il pubblico. Il numero delle donne morte per le conseguenze di aborti illegali si aggirava su 200-250 ogni anno. La cifra che costantemente indicammo ai media era 10.000».
«Questi falsi numeri penetrarono nelle coscienze degli Americani, convincendo molti che era necessario eliminare la legge che proibiva l’aborto. Un’altra favola che facemmo credere al pubblico attraverso i media era che la legalizzazione avrebbe significato soltanto che quegli aborti, allora eseguiti illegalmente, sarebbero divenuti legali. In realtà, ovviamente, l’aborto è divenuto ora il principale metodo di controllo delle nascite negli Stati Uniti e il loro numero annuale è aumentato del 1500% dalla legalizzazione».
«La seconda strategia fu giocare la “carta cattolica” screditando la Chiesa Cattolica e le sue “idee socialmente arretrate” e scegliemmo la Gerarchia cattolica come colpevole dell’opposizione contro l’aborto. Questo argomento fu ripetuto all’infinito. Diffondemmo ai media bugie del tipo “tutti sappiamo che l’opposizione all’aborto viene dalla Gerarchia e non dalla maggioranza dei cattolici” e “i sondaggi dimostrano ripetutamente che la maggior parte dei cattolici vuole la riforma della legge sull’aborto”.»
«I media bersagliarono insistentemente il pubblico americano con queste informazioni, persuadendolo che qualsiasi opposizione alla liberalizzazione dell’aborto doveva essere sotto l’influenza della Gerarchia ecclesiastica e che i cattolici favorevoli all’aborto erano illuminati e lungimiranti. Da questa affermazione propagandistica si deduceva che non esistessero gruppi antiabortisti non cattolici; il fatto che altre religioni cristiane e non cristiane fossero (e ancora sono) unanimemente antiabortiste era costantemente sottaciuto, allo stesso modo delle opinioni pro-life espresse da atei».
«La terza strategia cruciale è stata quella di occultare le prove scientifiche del fatto che la vita ha inizio dal concepimento».
Come sappiamo, tutt’e tre le strategie delle quali ha parlato Nathanson sono state ampiamente “esportate” in Europa portando a introdurre negli anni Settanta e Ottanta legislazioni abortiste in quasi tutti gli ordinamenti giuridici del “vecchio continente”. Ma fortunatamente non tutto è perduto e, una possibile via di rinascita prolife, potrebbe rinvenirsi nel diritto internazionale.
Faccio un esempio. Dopo un lungo iter, nel 1989 è stata licenziata dalle Nazioni Unite la Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ad oggi ratificata da 194 Paesi. Il preambolo della Convenzione afferma che il fanciullo deve ricevere una tutela legale appropriata, prima e dopo la nascita. In applicazione di questa importante disposizione, all’inizio del 2018 vari studiosi, medici e giuristi italiani si sono costituiti in “Comitato dei diritti dei concepiti”, del quale la scrivente è la rappresentante, ritenendo giunto il momento storico di riconoscere i diritti di tutti gli esseri umani prima della nascita, senza alcuna discriminazione, in considerazione dei risultati delle ricerche di embriologia, degli studi sulla vita prenatale, a livello biologico e psicologico, e delle riflessioni etiche e bioetiche in corso.
La documentata sofferenza post abortiva dimostra altresì che il concepito, quale essere umano, è meritevole di tutela e che l’aborto non può essere considerato solo come un intervento chirurgico al pari di altri, dal momento che va a coinvolgere due soggettività e per la madre comporta un sentimento di profonda mancanza del figlio abortito.
Vi sono poi le testimonianze di donne, ormai adulte, che hanno subito nei loro primi mesi di vita tentativi di aborto nell’utero materno e che oggi possono raccontare le loro storie.
In considerazione del vuoto legislativo attuale, i concepiti – ancorché esseri umani – subiscono il medesimo trattamento di “cose” e sono soggetti alle più bizzarre pretese degli adulti. Le cronache raccontano di concepiti abbandonati nei congelatori per decenni, poiché non vi sono termini stabiliti, oppure gettati come rifiuti o destinati a commercializzazione e ad esperimenti scientifici. Del tutto irrisolta poi la questione se possano o meno legittimamente essere impiantati nell’utero di una madre adottiva, in mancanza di riferimenti certi anche per la giurisprudenza, chiamata a pronunciarsi su questioni riguardanti i concepiti.
Questi maltrattamenti arbitrari violano il diritto alla vita, alla salute e allo sviluppo armonioso del concepito quale essere umano, oltre a violare il diritto alla dignità della propria vita personale.
Pertanto il nostro auspicio è che venga discusso e adottato uno strumento giuridico internazionale a tutela di una categoria di essere umani quella dei concepiti, sprovvista attualmente di riconoscimento giuridico malgrado le conoscenze di cui disponiamo grazie ai progressi delle ricerche scientifiche.