di Renzo Puccetti
Nel campo della riflessione bioetica il primo momento è l’analisi del dato scientifico. Non si può effettuare né una corretta analisi, né esprimere un giudizio etico in presenza di dati biologici non corretti, perché un simile errore inficerebbe alla radice l’intero processo valutativo.
Nello scorso intervento ci siamo soffermati sulla questione dei neonati fortemente prematuri (1), mostrando proprio la necessità di sottoporre ad attenta verifica il dato medico-scientifico prima di procedere all’analisi dei valori etici in gioco, senza dare per scontata l’altrui presentazione.
Ovviamente sono richieste competenze specifiche ed uno sforzo di analisi non indifferente, ma grazie all’odierna facilitazione di accesso alle fonti, disponendo di un’abbondante dose di buona volontà non è impossibile costituire un efficiente gruppo di persone dedicato a questo genere di attività.
Oggi ci soffermeremo su un altro esempio di come sia essenziale sottoporre ad attenta verifica le fonti.
Nei giorni scorsi il Ministero della Salute ha divulgato il primo rapporto sui lavori della commissione “Salute delle Donne”, istituita dal ministro Livia Turco compendiato nel primo rapporto sullo stato di salute della donna (2).
Si tratta di un documento di duecento pagine, preparatorio del documento finale, in cui sono esaminati numerosi aspetti della salute femminile. Al di là delle perplessità non marginali che si potrebbero sollevare in relazione all’acritica adesione all’ideologia di gender e all’impostazione di gender health (3), proposto dalle maggiori organizzazioni sovranazionali, su cui l’intero documento è plasmato, ma di cui in questa sede non è possibile né intendiamo occuparci, destano non poche preoccupazioni e sconcerto numerosi punti contenuti nella sezione dedicata alla “Salute sessuale e riproduttiva”.
Cercheremo di evidenziare le maggiori criticità.
1) Nel documento si afferma che il ricorso all’interruzione di gravidanza è diminuito. Nella relazione il confronto è posto tra il dato attuale e quello del picco storico raggiunto nel 1982, ma si dimentica che il confronto andrebbe effettuato con i dati del primo anno di completa legalizzazione dell’aborto, il 1979. Un confronto siffatto mostrerebbe una riduzione assai più contenuta, inoltre risulterebbe assai facile verificare come negli ultimi dieci anni il tasso di abortività, purtroppo, risulti sostanzialmente stabile.
È inoltre davvero biasimevole che in un documento ufficiale si citi come più probabile la cifra di 350.000 aborti clandestini (con un range di 200.000-600.000) prima della legge 194, senza citare né fonti bibliografiche, né metodologie di rilevazione. Risulta infatti stupefacente attribuire all’Italia 350.000 aborti clandestini quando in Inghilterra e Galles nel 1977, dopo 10 anni di legalizzazione il numero di aborti tra i residenti fu di 102.677 (4) e nacquero 569.300 bambini, con un rapporto di abortività di 180,3 aborti ogni mille nati vivi.
Negli stessi anni in Italia nascevano 800.000 bambini e quindi il rapporto di abortività ipotizzato dagli autori come praticato nella clandestinità sarebbe dovuto essere di 437 ogni mille nati vivi, cioè una cifra pari al 242% rispetto al dato inglese. Gli autori dimenticano altresì di citare alcuni dati, tra questi l’incremento negli anni dell’abortività spontanea (il rapporto di abortività spontanea standardizzato era nel 1985 pari 118,56 ed è cresciuto nel 2004 a 124,76), indicatore che può far pensare ad un certo incremento dell’aborto clandestino.
2) Gli autori del rapporto fanno poco più avanti un vero e proprio atto di fede, quando affermano: “La riduzione, sia dell’abortività legale che di quella clandestina, indica chiaramente che dalla legalizzazione la tendenza al ricorso all’aborto si è ridotta in modo significativo, molto probabilmente come conseguenza dell’aumentata competenza delle donne e delle coppie a regolare efficacemente la fecondità con i metodi della procreazione responsabile.
Infatti, come osservato in altri paesi, in Italia la maggiore circolazione dell’informazione e il maggiore impegno dei servizi (in primis i consultori familiari, soprattutto nell’azione preventiva) ha aumentato le conoscenze, le consapevolezze e le competenze delle donne nel campo riproduttivo”. L’affermazione non va oltre una certa verosimiglianza, ma, almeno in un documento governativo, sarebbe stato opportuno offrire qualcosa di più.
Come è infatti possibile attribuire la riduzione degli aborti all’incremento delle competenze a regolare la fertilità senza avere verificato la variazione di fertilità e di attività sessuale? Eppure sono disponibili numerosi studi che indicano un netto calo della fertilità, in particolare maschile. Gli ultimi dati giungono proprio da un ampio studio coordinato dal centro di andrologia di Pisa che ha dimostrato una notevole riduzione del numero e della motilità degli spermatozoi (5).
Quanto questo fattore possa modificare il ricorso all’aborto è indicato in una recente pubblicazione nord europea (6). In mancanza di dati è norma di correttezza scientifica ammettere di non potere fornire spiegazioni, piuttosto che lanciarsi in rappresentazioni di fiction scientifica.
Per accorgersi che l’idea che attribuisce la presunta riduzione degli aborti alla contraccezione sia vera quanto lo possono essere i soldi del monopoli sarebbe bastato che gli autori avessero posto in relazione i dati di contraccezione che loro stessi forniscono con i tassi di abortività ufficiali.
Si sarebbero così accorti che né a livello europeo, né a livello regionale italiano, nelle aree dove più è diffuso l’uso della contraccezione ormonale la pratica dell’aborto è a più bassi livelli. Si tratta di dati che trovano conferma in una recentissima pubblicazione del Guttmacher Institute, l’istituto di ricerca americano non certo schierato su posizioni pro-life, che dopo attenta valutazione della letteratura, ha concluso che in nessuno degli 11 studi disponibili le politiche di promozione della contraccezione hanno dato alcun risultato in termini di riduzione delle gravidanza indesiderate (7).
3) Al di là degli aspetti etici delle questioni, non minore sgomento sul piano scientifico suscitano le proposte conclusive. Grande risalto viene dato alla pillola del giorno dopo quale strumento di prevenzione delle gravidanze indesiderate e in prospettiva all’aborto. La prescrizione della pillola del giorno dopo dovrebbe infatti essere inclusa tra i codici verdi nei pronto soccorso italiani, cioè essere considerata una condizione di “urgenza” da evadere entro due ore (8).
Non so da dove gli estensori del rapporto derivino la loro fiducia nella capacità della pillola del giorno dopo di determinare a livello di popolazione una riduzione delle gravidanze indesiderate e degli aborti, tanto da consigliare interventi di politica sanitaria come quelli prospettati, dal momento che non viene riportata alcuna voce bibliografica.
Allo scrivente non risultano infatti studi che abbiano dimostrato una tale efficacia della cosiddetta contraccezione d’emergenza, anzi è piuttosto il contrario. Suggerisco agli esperti incaricati dal ministro di leggere due studi importanti in proposito pubblicati all’inizio del 2007 (9; 10).
Si tratta di una valutazione dell’efficacia reale (effectiveness) della forma di dispensazione della pillola del giorno dopo teoricamente più efficiente, l’advanced provision, cioè la fornitura alle donne di scorte di confezioni di pillola del giorno dopo da tenere in casa in modo da non dovere passare attraverso gli eventuali ostacoli costituiti dalla disponibilità di un medico prescrittore e di un farmacista che dispensi il farmaco.
Entrambi gli studi dimostrano con chiarezza che l’advanced provision aumenta l’impiego e riduce i tempi di attesa, ma non ha alcun effetto né sulle gravidanze indesiderate, né sugli aborti. Credo non sia secondario ricordare agli esperti che il levonorgestrel è attualmente sul mercato senza uno studio di efficacia placebo-controllato, cosa che, unita ai dati di letteratura, dovrebbe indurre almeno ad una certa cautela prima di indurre comportamenti che rischiano di non produrre gli effetti clinici ipotizzati, ma costituire una fonte di spesa e di possibili rischi
4) Infine non si comprendono le motivazioni che spingono gli autori del documento a proporre di “formare” i medici di medicina generale su le varie tecniche abortive, compreso l’aborto farmacologico. Forse che si vuole arruolare i medici di medicina generale tra i personale operatore dell’aborto? Si ha forse in mente d’introdurre come in Francia l’aborto farmacologico dal medico di famiglia?
Se queste sono le intenzioni credo sarebbe corretto dichiararlo apertis verbis. In caso contrario si dovrebbe spiegare quante risorse una tale formazione assorbirebbe e sarebbe obbligatorio dimostrare l’appropiatezza di una tale allocazione a fronte di un assoluto silenzio del documento circa la formazione del medico di famiglia nell’opera di counseling delle donne con gravidanza difficile a rischio di aborto volontario.
Eppure i medici di medicina generale sono responsabili di un terzo dei documenti necessari per sottoporsi alla procedura di interruzione di gravidanza. È oltremodo indicativo che digitando le parole chiave “interruzione volontaria di gravidanza” nella banca dati del ministero della salute non compaia alcun corso di aggiornamento rivolto ai medici di medicina generale tra gli eventi di formazione continua in medicina (ECM) svolti, come se la compilazione del documento da parte del medico fosse una mera formalità e di formare il medico ad aiutare la donna a rischio di aborto non vi fosse alcuna necessità.
In conclusione emerge chiaramente che è dalla verità che sgorga la libertà; solo conoscendo la verità le nostre azioni assumono una rilevanza morale che ci coinvolge personalmente. Nella menzogna siamo tutti schiavi.
Riferimenti:
1. Renzo Puccetti. I neonati fortemente prematuri, portatori di pieni diritti, ZENIT, 24 febbraio 2008
2. Il documento è scaricabile interamente
3. vedi per le definizioni: http://tinyurl.com/3xjqjc
4. cfr. Abortion Statistics, England and Wales: 2006.
5. Inquinamento, cala la fertilità maschile, Corriere della Sera – Salute.
6. Jensen TK, et al. Declining trends in conception rates in recent birth cohorts of native Danish women: a possible role of deteriorating male reproductive health. Int J Androl. 2008 Apr;31(2):81-92. Epub 2007 Nov 1.
7. Kirby D. The impact of programs to increase contraceptive use among adult women: a review of experimental and quasi-experimental studies. Perspect Sex Reprod Health. 2008 Mar;40(1):34-41.
8. Francesco Falli. Il codice colore in pronto soccorso.
9. Raymond EG, Trussell J, Polis CB. Population effect of increased access to emergency contraceptive pills: a systematic review. Obstet Gynecol. 2007 Jan;109(1):181-8. Review.
10. Polis CB, et al. Advance provision of emergency contraception for pregnancy prevention (full review). Cochrane Database Syst Rev. 2007 Apr 18;(2):CD005497.
(A.C. Valdera)