di Lorenzo Schoepflin
Una ecatombe di dimensioni inimmaginabili. È questa la sensazione immediata – che si accompagna alla naturale difficoltà di reperire dati ufficiali, omogenei e recenti – quando l’intento è mettere assieme le statistiche sull’aborto volontario in tutto il mondo. Complessivamente, i dati mondiali parlano di una stima di ben oltre 30 aborti ogni 100 bambini nati: quasi una gravidanza su quattro interrotta volontariamente, per un totale di oltre quaranta milioni di bambini uccisi all’anno.
E mentre in Italia si conferma un lentissimo calo – ribadito dagli annuali dati ministeriali diffusi lunedì – esistono angoli del pianeta dove quella dell’aborto è una tragedia che, lungi dal rallentare, sostanzialmente fuori controllo.
Quanto alla situazione europea, le raccolte di dati più omogenee sono quelle fornita dall’Organizzazione mondiale della sanità e del Guttmacher Institute, organico alla stessa Oms. Le statistiche che immediatamente si impongono sono quelle dell’Est europeo che nel 2003 ha raggiunto un picco di 103 aborti ogni 100 bimbi nati vivi, a significare che più di una gravidanza su due è stata interrotta volontariamente.
Nel dettaglio impressionano i numeri degli anni ’90, con picchi di Romania (oltre 300 aborti ogni 100 nati vivi), della Federazione Russaa (oltre 200), della Bielorussia e dell’Ucraina (intorno ai 150). La tendenza attuale è quella di un brusco calo, ma i numeri più recenti degli aborti ufficialmente censiti dall’Oms sono ancora altissimi: 95 aborti ogni 100 nati vivi in Russia, 45 in Ungheria e Bulgaria, 55 in Romania, 32 in Slovacchia, con solo Repubblica Ceca e Ucraina avviatesi verso la “normalità” (meno di 30 aborti ogni 100 nati vivi).
Per quanto riguarda la penisola scandinava, è il dato della Svezia a risaltare: dal 1997 un rapporto di abortività che staziona attorno ai 35 aborti ogni 100 nascite, contro i 26 della Norvegia e i 18 della Finlandia. Nel resto d’Europa da segnalare l’inesorabile ascesa del rapporto di abortività in Spagna, più che raddoppiato – da 11 a 23 – negli ultimi 20 anni, e i numeri di Francia e Regno Unito, assestatisi ormai da anni ben al di sopra dei 25 aborti ogni 100 nascite.
Uscendo dai confini europei, è il Guttmacher Institute – un centro che si dedica allo studio e alla diffusione della salute sessuale e riproduttiva a livello mondiale – a fornire dati più omogenei e dettagliati. In una pubblicazione del 2007, che ha il pregio di aggregare una mole di numeri assai consistente, viene riportato un rapporto di abortività per gli Stati Uniti pari a 31 aborti ogni 100 nati vivi, in linea con quello del Canada, mentre per Cuba si raggiunge la stratosferica cifra di 109 (ovvero, sono più le gravidanze interrotte di quelle portate a termine).
Per Cina e Giappone si registrano rapporti di abortività rispettivamente di 41 e 28. A proposito di Stati Uniti e Cina, impressionano i numeri assoluti: rispettivamente ben oltre il milione e addirittura i sette milioni di aborti l’anno. È ancora il Guttmacher Institute a parlare di un rapporto di abortività di circa 17 su 100 nati vivi per l’Africa, con punte di 24 nella parte meridionale del continente. 34 gli aborti ogni 100 nascite in Asia, con picchi di 51 per la zona orientale.
America Latina e Caraibi si attestano intorno a una rapporto di abortività pari a 35, media tra i numeri più bassi dell’America centrale e quelli altissimi di regione caraibica (42) e Sud America (38). E c’è chi si batte a livello internazionale per estendere il «diritto all’aborto»…
RUSSIA, PRIMA LA CARRIERA: COME IN OCCIDENTE In Russia l’aborto è consentito entro la 28ª settimana quando per la madre si configura il rischio di vita, per preservare la salute fisica e mentale della donna, per ragioni socio-economiche e nel caso in cui il feto sia malformato. I dati del 2006 resi disponibili dall’Oms riportano un rapporto di abortività in continuo calo, ma ancora su livelli altissimi: 950 aborti ogni 1000 nati vivi contro i 1500 di inizio millennio.
Statistiche ancor più recenti calcolavano 670 aborti ogni 1000 nascite, con oltre due milioni di aborti ogni anno. Nonostante l’aumento continuo del numero di nascite, i demografi considerano ancora la situazione allarmante. Sergei Zakharov, vicedirettore dell’Istituto di demografia dell’Università di Mosca, ha affermato che sono solo l’8% gli aborti praticati per ragioni economiche. Con l’avvento dei valori occidentali in Russia, sempre secondo Zakharov, oggi la maggioranza delle donne sceglie di abortire perché antepone carriera e realizzazione personale ai valori della famiglia.
ROMANIA, UN FENOMENO FUORI CONTROLLO In Romania l’aborto si può praticare nelle prime quattordici settimane se esistono problemi psico-fisici. Oltre quel limite temporale l’interruzione di gravidanza è legale solo per ragioni terapeutiche. Il numero riportato dall’Oms è di 128 mila aborti nel 2008, un’enormità se rapportato ai 22 milioni di abitanti. Nel giugno del 2008 destò scalpore la notizia del via libera all’aborto per una bimba di 11 anni la cui gravidanza era frutto di una violenza subìta dallo zio.
La bimba era alla 21ª settimana, ma fu dato il permesso per preservare la sua salute mentale. Prendendo spunto dalla vicenda, Marie Stopes International – organizzazione attiva nell’ambito della «pianificazione familiare» – chiese una revisione in termini più permissivi della legge. Nel 2007, il film «4 mesi 3 settimane e 2 giorni» del regista rumeno Cristian Mungiu ridestò il dibattito sull’aborto clandestino nell’era Ceausescu. E vinse il Festival di Cannes.
SVEZIA, NUMERI RECORD DA 20 ANNI E SELEZIONE IN BASE AL SESSO In Svezia l’aborto si può praticare entro le 18 settimane di gravidanza su richiesta della donna, quando si configurino rischi per la salute psico-fisica o malformazioni del feto. È richiesto un colloquio con un assistente sociale, mentre oltre le 18 settimane il via libera per l’interruzione di gravidanza deve essere fornito dal Consiglio nazionale della sanità e del welfare.
La sezione europea dell’Oms fornisce dati che per la Svezia mostrano un rapporto di abortività che dalla fine degli anni ’90 è assestato costantemente tra i 340 e i 350 aborti ogni 1000 bambini nati. Proprio il Consiglio nazionale della sanità nel maggio dell’anno scorso ha aperto le porte all’aborto per la selezione del sesso del nascituro.
La richiesta proveniva dall’ospedale di Mälaren, dove i medici si erano trovati di fronte alla richiesta di una donna di abortire i due figli che stava aspettando proprio perché non erano del sesso desiderato. L’istanza della donna fu considerata legittima poiché avanzata entro le 18 settimane di gestazione: l’aborto non si può negare anche se i figli sono sani.
AFRICA, NEL CONTINENTE NERO DAL VETO AL PERMISSIVISMO Le varie legislazioni africane sull’aborto presentano sensibili difformità: si va dal divieto totale in Paesi come Angola, Egitto e Somalia a leggi estremamente permissive come quelle di Sud Africa e Tunisia, passando per Libia, Nigeria e Uganda, dove l’unica condizione è il pericolo di vita della madre. Per quanto riguarda l’Africa, i dati relativi alle interruzioni volontarie di gravidanza sono forniti dal Guttmacher Institute come stime, con particolare attenzione dedicata alla sicurezza della pratica abortiva nell’intero continente.
Un tema che determina un impegno costante di moltissimi soggetti tra organismi internazionali e organizzazioni non governative nell’ambito della cosiddetta «salute riproduttiva» e della pianificazione familiare, con campagne per la diffusione massiccia di anticoncezionali e aborto farmacologico. Il numero assoluto di aborti eseguiti nel continente africano viene stimato superiore ai 5 milioni e mezzo, di cui oltre due milioni riguardano l’Africa Orientale. Ai 300mila aborti stimati nella parte sud del continente, corrisponde il rapporto di abortività più alto, con 24 aborti ogni 100 nascite.
CINA, SISTEMA AL COLLASSO: IL FIGLIO UNICO NON PAGA In Cina il tema dell’aborto è inscindibilmente legato alla politica del figlio unico, che fa impennare le cifre riguardanti le interruzioni volontarie di gravidanza. I numeri sono esorbitanti: oltre sette milioni gli aborti praticati, per un rapporto di abortività di 41 su 100 nati, secondo le statistiche presentate dal Guttmacher Institute.
A cavallo tra gli anni ’80 e gli anni ’90 i numeri assoluti hanno raggiunto i quattordici milioni, con rapporti di abortività fino a 69 aborti ogni 100 nascite. Queste cifre si portano appresso il problema legato agli squilibri demografici, col rapporto tra maschi e femmine che nel Paese ha raggiunto valori allarmanti.
Preoccupazione hanno recentemente destato anche studi socio-economici e demografici che mostrano come la Cina si stia avviando verso un insostenibile divario tra la popolazione in età produttiva e quella in età avanzata e dunque verso un collasso del sistema economico. Per questo il governo cinese, sin dall’anno scorso, pare stia valutando attentamente una revisione della sua tragica politica del figlio unico.
VIETNAM, GIOVANISSIME IN FORTE CRESCITA In Vietnam le condizioni per interrompere la gravidanza sono connesse ai rischi per la salute della donna e alle eventuali malformazioni del feto, oltre che alle condizioni economiche della madre. Il Guttmacher Insitute inserisce il Vietnam tra quei Paesi per i quali le statistiche sono incomplete o incerte, ma il quadro che ne viene dipinto indica un rapporto di abortività che oscilla dai 78 aborti ogni 100 nati vivi del 1996 (un milione e mezzo di interruzioni di gravidanza) ai 33 del 2003 (oltre mezzo milione).
Anche numeri più recenti fanno impressione: nel 2006 si è calcolato che a fronte di 17 bimbi nati ogni 1000 donne in età fertile si registravano 83 aborti, e che mediamente una donna vietnamita subiva nell’arco della propria vita 2,5 aborti. Nel maggio scorso il Vietnam è entrato nella classifica dei dieci Stati con la più alta diffusione dell’aborto, con particolare riferimento alle interruzioni di gravidanza in donne con meno di 19 anni.
CUBA, REGIME ALL’ERTA: SUPERATE LE NASCITE Le condizioni per l’aborto legale a Cuba riguardano i rischi per la vita e per lo stato di salute della donna, oltre alle motivazioni legate alle malformazioni del feto e alle condizioni socio-economiche della madre. Cuba è uno degli Stati dove il numero di gravidanze interrotte è maggiore rispetto a quelle portate a terminine. Nel 2008 fu il quotidiano del regime comunista Granma a dar voce alla preoccupazione di membri del governo a proposito dell’elevato numero di aborti.
Ciò non può far dimenticare la condizione di prigionia di alcuni dissidenti rei di aver denunciato le politiche pro-aborto della dittatura castrista. Oscar Elias Biscet, un medico incarcerato dal 2003, aveva portato alla luce le pratiche abortive spesso barbare e le preoccupanti cifre tra le giovanissime. La cifra assoluta, secondo le statistiche delle Nazioni Unite, oscilla intorno alle 65 mila interruzioni di gravidanza, dopo aver raggiunto picchi di 80 mila alla fine degli anni ’90.