Non si può combattere veramente l’aborto senza vietarlo. Certo, si può e si deve discutere quale debba essere la misura e la qualità della sanzione. Ma non esiste tutela giuridica di un diritto fondamentale se poi chi lo viola resta bellamente impunito.
di Mario Palmaro
Prendendo spunto dalla sentenza della Corte di Giustizia europea contro i brevetti ottenuti da esperimenti su embrioni, il direttore del Foglio ha lanciato un’invettiva lucida e spietata contro l’aborto: se i giudici della corte dicono che l’embrione è fin dagli albori un essere umano – questo il ragionamento di Ferrara – allora significa che con l’aborto noi continuiamo per legge a uccidere – ma il direttore del Foglio ha detto “ammazzare” – delle persone innocenti.
C’è voluto un laico impertinente come Giuliano Ferrara per osare affermare ciò che per decenni molti altri, e noi cattolici in testa, hanno avuto paura di dire. Per questo motivo quelle parole di Ferrara fanno uno strano effetto, e assomigliano a una fucilata, a un colpo sparato a sorpresa per orecchie che ormai non erano più abituate a sentirselo dire, quel fatto terribile e imbarazzante, e cioè che l’aborto uccide innocenti. Perfino noi pro life da tempo andiamo alla ricerca delle perifrasi, dei giri di parole, degli eufemismi, delle magie dell’antilingua che servano a evitare di dire come stanno le cose.
Per questo, davanti a uno come Ferrara bisogna togliersi il cappello, e ringraziare la Provvidenza di avercelo mandato a strapazzarci e a scuoterci dal torpore e dall’indifferenza, lui che proviene da una solida formazione comunista ortodossa, e lui che l’altro giorno – purtroppo – annunciava di aver mandato mille euro a Radio Radicale affinché non chiuda.
Giuliano Ferrara è un amico che, in base alla propria storia e al proprio percorso personale, dà tutto quello che può dare, e anche di più. E’ il centurione di Cafarnao, che si professa pagano ma al quale Gesù attribuisce più fede di quella di qualunque altro uomo in tutta Israele. Quindi, come dicevamo, chapeau.
D’altra parte, il discorso fatto l’altra sera da Ferrara sull’aborto presenta un punto debole grave, del quale è bene parlare. Secondo il direttore del Foglio – che lo ha ribadito in una pagina-manifesto sul suo quotidiano – l’aborto è sbagliato, ma non può essere vietato dalla legge; né la donna e chi coopera all’aborto devono essere puniti. La contrarietà all’aborto, secondo Ferrara, deve esprimersi sul piano culturale, economico e in generale delle scelte politiche di un governo, lasciando però del tutto impregiudicato quel diritto all’aborto sancito dalle leggi abortiste, 194 in testa.
Questa posizione contiene un errore sostanziale; sotto il profilo logico, perché non si può combattere veramente l’aborto senza vietarlo. Certo, si può e si deve discutere quale debba essere la misura e la qualità della sanzione. Ma non esiste tutela giuridica di un diritto fondamentale se poi chi lo viola resta bellamente impunito. Non si può tutelare la proprietà privata e dichiarare insieme l’impunità di chi ruba. Dire che lo Stato è contro l’aborto, e nello stesso tempo trasformarlo in una scelta insindacabile della donna, facendolo pagare dal servizio sanitario pubblico, è una contraddizione in termini da cui non si può uscire.
E, infatti, in Italia 33 anni di 194 hanno prodotto 5 milioni di vittime dell’aborto e una cultura politica, giuridica e morale accondiscendente all’aborto. La legge 194 ha prodotto la legittimazione giuridica dell’eugenetica, per cui con la 194 si pone fine alla nascita dei bambini down e portatori di altri patologie individuate con la diagnosi prenatale. E sempre la legge ha prodotto l’idea che fare o non fare nascere sia una scelta della donna.
Questa porzione della battaglia contro l’aborto è la più difficile da digerire e da comunicare, ed è per questo che anche nel mondo pro life da troppo tempo si è deciso di “stralciarla” dal dibattito: impegniamoci per aiutare le donne, e rassegniamoci in silenzio e in buon ordine a convivere fino alla fine dei tempi con le leggi pro aborto.
Sarà bene ricordare a tutti che non è questo l’insegnamento solenne della Chiesa; e che nella Evangelium Vitae si stabilisce senza esitazione che gli stati non possono ammettere l’uccisione dei nascituri per legge; e che simili leggi ingiuste debbono essere denunciate e combattute incessantemente dai cattolici e dalle persone di buona volontà, poiché esse non sono più leggi, ma simulacri di leggi, autentica violenza legalizzata.
Chiedere a Giuliano Ferrara di farsi esplodere un’altra volta in diretta Tv per dire queste cose è, probabilmente, troppo. Ma sarebbe una vera tragedia se non si trovasse più qualcun altro, magari fra i cattolici e i pro life, pronto a ripetere al mondo che non è possibile, mai, rassegnarsi di fronte a una legge che riconosce il diritto di uccidere.
_______________
Il Foglio 20 ottobre 2011
Ora basta con l’aborto
di Giuliano Ferrara
E adesso che facciamo? La massima corte di giustizia europea ha stabilito che l’embrione umano, perfino prima di essere compiutamente un embrione fecondato, non può essere manipolato e brevettato da ricercatori e scienziati. E un feto di un certo numero di settimane? Quello sì, quello può essere abortito. Lo dice la nostra cultura giuridica.
La situazione morale che ne deriva è incandescente, e pone problemi serissimi a tutti. Il ricercatore è in una situazione etica diversa da quella della donna che ospita un figlio indesiderato. Nel primo caso si tratta di metodologia scientifica, dei rischi di fare tutto quel che è possibile fare in provetta. Nel caso della donna si tratta di una scelta diretta di vita.
Sarebbe giusto ormai riconoscere che si tratta di una scelta tra due vite: la sua libertà procreativa cosiddetta, e la vita umana fecondata e in crescita, nutrita e accudita dal suo corpo, destinata ad annientamento. Una sentenza stabilisce che nel primo caso c’è una dignità umana che sarebbe offesa da procedure di selezione e distruzione.
Nel caso della donna mille sentenze tutelerebbero, ai sensi delle leggi abortiste, il diritto a fare quanto e più di quello che, in nome della dignità della vita umana, è precluso al ricercatore. Incandescente.
Confermiamo un nostro vecchio orientamento. L’aborto è un omicidio, il massimo omicidio possibile perché preclusivo di tutto il futuro della persona. Nello scontro fra assoluti etici che questo comporta, non è possibile riparare a un peccato morale, tra i più antichi e sofferti del mondo, con punizioni e ipotesi di reato penale a carico delle donne che abortiscono e di chi collabora al fatto abortivo. Ma questo dramma deve imporci una conseguente, ferma, severa, responsabile politica antiabortista, a partire dalla guerra culturale contro lo sterminio per selezione e annientamento dei non nati. Oltre un miliardo in trent’anni. E la conta continua.
Era il tema della moratoria antiaborto del 2008 e della lista presentata alle recenti elezioni politiche italiane. Ridefinire la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo firmata a San Francisco nel 1948, all’articolo 3. Specificare bene che i confini della vita umana oggi conosciuta, dopo le ricerche e la mappazione del Dna, sono diversi da quelli conosciuti nel 1948. Far discendere da questa ridefinizione le norme giuste per rendere importanti e cogenti i controlli sulle motivazioni dell’aborto, prima dell’operazione distruttiva da scongiurare ai limiti del possibile.
Investire soldi pubblici nella promozione sussidiaria e privata di ogni tipo di assistenza antiaborto. Attrezzare cimiteri per i non nati, che devono avere un nome, e finirla con la pratica della loro eliminazione sotto la categoria dei “rifiuti ospedalieri speciali” cosiddetti. Estendere la pratica delle adozioni, la moderna ruota dei conventi. E molto altro.
Insomma lottare contro la sordità morale nei confronti dell’aborto e delle pratiche di selezione eugenetica che portano occidente e oriente a fare della libertà della donna, della libertà di nascere come frutto dell’amore, della libertà di esistere anche se non si sia figli maschi, un infernale e nichilistico macello sociale.