n. 78 Giugno 2018
Immigrazione: fenomeno naturale o manovra di guerra psicologica rivoluzionaria? Un professore tedesco, di formazione marxista, svela la tattica della sinistra per riscattare il socialismo creando una nuova classe proletaria. Anche con l’utilizzo propagandistico di parole talismaniche.
di Diego Zoia
La ricetta — o, se preferite, la strategia — da qualche tempo a questa parte è sempre la stessa. Le polpette velenose che cercano di farci ingoiare (con la pretesa che siano da noi facilmente deglutite e perfino apprezzate) hanno sostanzialmente la stessa base con qualche differenza d’ingrediente.
Negli anni Cinquanta del secolo passato si cominciò con il famoso slogan “Black is beautiful! “, per giustificare e promuovere il Civil Rights Movement, precorritore del Sessantotto. Si è continuato, sullo stesso stile, con l’altrettanto noto slogan “Diverso è bello!”, tanto caro ai fanatici dell’ideologia di genere. In tal modo si introducono e adibiscono concetti e parole, impiegati in modo quasi magico, per giustificare, o piuttosto per crearvi un clima favorevole, all’ulteriore passo che le forze della Rivoluzione intendono compiere nella loro marcia autodistruttrice. Oggi, tale tattica viene applicata a una questione che affligge molto la nostra Europa: l’immigrazione.
In verità, questa strategia malefica dell’impiego talismanico, quasi magico, delle parole è un’arte antica: come non pensare a quella che fu la “magia” di Giordano Bruno, che proprio attraverso l’uso affabulatorio delle parole sperava di convertire addirittura il Papa alla sua perversa filosofia?
In uno dei suoi più famosi saggi, il professor Plinio Correa de Oliveira spiegò ed illustrò questa strategia, chiamandola trasbordo ideologico inavvertito (1): mediante l’uso distorto di parole, o mediante il conio di neologismi studiati ad arte, ed utilizzando quel potere persuasivo insito in ogni parola stessa, è ormai dimostrato che codesti affabulatori possono (financo con successo!) orientare il pensiero di una larga parte di popolazione, che inavvertitamente si trova a mutare radicalmente la propria percezione ed interpretazione della realtà e, di conseguenza, del modo di porvisi e di agire- senza nemmeno rendersene conto. È quasi un massiccio lavaggio di cervello, studiato ad arte nei laboratori della guerra psicologica rivoluzionaria.
Nello scenario attuale facilita questa amplissima campagna di distorsione della realtà l’immane apparato dei nuovi mezzi di comunicazione, in particolare con l’impiego dei social media, piazze virtuali ove chiunque, indiscriminatamente, può esercitarsi tanto nel compiere il bene (riaffermando ad esempio la verità e l’oggettività dell’ordine naturale), quanto nel commettere il male (ad esempio con la diffusione di notizie fasulle, le famose fake news).
Una concreta applicazione del trasbordo: l’opinione di un cattedratico tedesco
Di quest’opera di trasbordo ideologico inavvertito applicata alla questione delle immigrazioni si è occupato il professor Rolf Peter Sieferle (1949-2016), docente di storia all’Università di San Gallo. Nel suo saggio «Migrazioni. La fine dell ‘Europa», pubblicato in lingua italiana per i tipi della LEG, e terminato poco prima della sua morte — quasi una sorta di testamento spirituale — il professor Sieferle, studioso di Storia, Scienze politiche e Sociologia (con particolare competenza sulla storia delle società umane), formula le sue ipotesi sulle cause delle migrazioni, descrivendo il processo di legittimazione di questo immane fenomeno.
L’originalità di questo sforzo accademico di Sieferle non risiede tanto nell’approccio alla questione “immigrazione”, esaminata in una prospettiva principalmente tedesca, quanto piuttosto nel fatto che l’autore non può certamente essere definito un reazionario, provenendo egli stesso, quale membro di spicco, dagli ambienti della SDS, la Lega tedesca degli studenti socialisti, ente sindacale che al tempo in cui lo stesso Sieferle vi militava era uno dei principali organi della sinistra extraparlamentare. Del pensiero marxista il professor Sieferle fu profondo conoscitore, essendosi laureato con una tesi in filosofìa proprio su Karl Marx.
Questi strumenti permettono all’autore di rileggere il lancio di alcuni leitmotiv tipici dell’immigrazionismo in una chiave che possiamo definire “religiosa”.
“Negli ultimi anni — scrive Sieferle — il ‘profugo ‘ del terzo mondo ha sostituito il ‘proletario ‘ come figura salvifica della sinistra. Entrambe le costruzioni, però, hanno tratti deliranti. Il vero lavoratore non voleva assolutamente la ‘rivoluzione ‘come rinnovamento escatologico del mondo, bensì voleva diventare un membro riconosciuto della società civile che gli offrisse un posto di lavoro e che lo assicurasse contro i rischi della vita mediante lo Stato sociale. Per la sinistra questo costituiva un tradimento dei propri principi. […] Nella seconda metà del XXsecolo il ‘proletariato ‘in quanto soggetto storico si fuse sempre più con i ‘popoli oppressi ‘, come immaginati dall ‘antìmperìalismo di sinistra nel quadro di un esteso contesto di sfruttamento “.
Sarà il crollo dell’impero sovietico a imprimere nella coscienza della sinistra questa svolta pseudo religiosa: i movimenti di protesta antimperialisti “non si definivano più come proletari in termini marxisti, bensì come rappresentanti della vera fede, in senso religioso culturale, minacciata dall’Occidente […] La sinistra percepì sempre più questi dannati del mondo come rifugiati da proteggere, come nuova classe inferiore globale, a cui però non veniva più assegnato un carattere proprio di potenziale soggetto storico bensì subiva solamente in modo passivo, oggetto dell’assistenza di iniziative per i rifugiati”.
Ecco dunque venir coniato negli anni Novanta il concetto di xenofobia, parola talismano strumentale per abbattere nelle coscienze quelle “resistenze naturali nel popolo contro l’immigrazione di massa, e al contempo per screditare coloro che esprimono dubbi in merito a questa politica come bruti egoisti (‘nazisti ‘, ‘razzisti ‘ eccetera) “: operazione di demonizzazione perfettamente riuscita, constata Sieferle.
Ne conseguono gli altri due leitmotiv talismanici: il profugo, ovvero il presentare indiscriminatamente l’immigrato come chi “fugge dalla guerra” (la modalità narrativa del profugo ha il vantaggio di potersi appellare direttamente agli istinti di solidarietà […] Questi sentimenti ingenui sono strumentalizzati da coloro che detengono il potere in politica e nei media”); e dunque l’integrazione (“perché si dovrebbe integrare dei rifugiati? Infatti, se si trattasse davvero di rifugiati sarebbero orientati a tornare nella loro patria dopo l’eliminazione dei motivi di fuga. Il collegamento diretto tra aiuto e integrazione fa concludere, piuttosto, che coloro che ne sono responsabili non vogliano affatto semplicemente ‘aiutare dei profughi ‘, ma che inseguono altri scopi. A loro non interessa aiutare gente estranea, ma cercano, per motivi diversi, di favorire l’immigrazione di massa “).
Nella trilogia xenofobia-rifugiato-integrazione trovano dunque un favorevole humus le suggestioni parareligiose ed escatologiche della sinistra (e, aggiungiamo noi, di una certa falsa destra) antioccidentale. L’approccio paternalistico con cui ancora oggi i più si accostano agli immigrati suscita nel professore di San Gallo domande inquietanti: “l’esultanza per l’immigrazione di massa di musulmani in Germania [e in Europa, n.d.r.] è forse la vendetta segreta della sinistra per il crollo del socialismo? Dopotutto islamisti e sinistra hanno uno spauracchio comune: l’America, Israele, l’Occidente “.
Salvo poi eventualmente accorgersi del fatto che “il terrorista islamico, il jihadista, il salafìta non sono figure salvifiche, ma traditori della causa umanitaria […] La sinistra potrebbe improvvisamente scoprire caratteristiche preoccupanti nel rifugiato: misoginia, omofobia, comportamento autoritario, predisposizione alla violenza, rifiuto della raccolta differenziata e del risparmio energetico, in breve si trasforma in un reazionario fascista ‘, da cui non emana più alcuna promessa di salvezza “.
Questo piano assolutamente miope e irrazionale, concepito alla luce della visione escatologica parareligiosa che la Rivoluzione ha di se stessa, permetterebbe alla sinistra di “pian piano riprendere essa stessa il ruolo della figura salvifica, soprattutto in senso negativo, come lotta contro il neofascismo e il neoliberismo “. Pensano forse, si domanda Sieferle, “di poter strumentalizzare ijihadisti contro il nemico comune, l’Occidente, l’imperialismo e il neoliberismo per far sorgere alla fine la repubblica mondiale socialista dalle rovine della vecchia società? “
Un dato è certo: nonostante l’impiego di nuovi slogan utopisti (“nessuno è illegale”, “tutti sono uguali”, “refugees welcome “), artatamente urlati nei cortei o predicati sulle piazze mediatiche dei social media e della televisione, nella miope visione della sinistra “qualsiasi cosa siano i rifugiati, non si può loro assegnare lo status di soggetti della storia”.
Un vicolo cieco
Il saggio postumo del professor Sieferle fa dunque riferimento all’Europa, seppur in un’ottica principalmente germanica. E l’Italia?
Considerava Plinio Correa de Oliveira: “Mentre una grande e gloriosa nazione cattolica come l’Italia patisce la circolazione di tossine comuniste in tutto il suo organismo, i musulmani si strutturano sempre più fortemente”. Sembrerebbe un’analisi attuale, formulata solo ieri: invece, il grande pensatore e leader cattolico brasiliano poteva affermare ciò, con voce profetica, sul giornale “O Legionàrio” del 21 luglio 1946.
Ora che siamo giunti al dunque, quali rimedi adottare per contenere e riparare alla situazione?
Siamo convinti che ai rimedi spirituali (la preghiera e la sincera conversione alla Fede cattolica sono premessa essenziale per la riuscita di qualsiasi grande impresa e la soluzione di qualunque umana difficoltà) debbano essere uniti ad una genuina riscoperta del vero, grande spirito missionario che lungo i secoli ed in epoche recenti ha infiammato tanti italiani e tanti europei che si sono spesi per diffondere il Vangelo tutto il mondo.
Immigrati, profughi, rifugiati, o comunque si voglia chiamarli non solo debbono essere “aiutati a casa loro” per un mero calcolo economico. È necessario che i singoli e le Nazioni con i loro governi comprendano nuovamente che solo attraverso la predicazione del Vangelo sarà possibile ottenere quei frutti di pace e di progresso morale e fìnanco materiale vantaggiosi per tutti: Pax Christi in Regno Christi.
________________
1) Plinio Correa de Oliveira, «Trasbordo ideologico inavvertito e Dialogo», Il Giglio, Napoli, 2014