Il progetto Blair per integrare gli immigrati
di Angelo Panebianco
Tony Blair ne ha fatta una delle sue. Ha sferrato un altro attacco al tempio della «correttezza politica», offrendo nuovi argomenti ai suoi tanti denigratori europei ma dando anche conferma, ancora una volta, della sua lungimiranza e delle sue doti di statista. Un uomo a lui vicino, il laburista di origine afro-caraibica Trevor Phillips, presidente della commissione per l’uguaglianza razziale, da sempre in prima linea nelle battaglie a favore degli immigrati, in una intervista al Times , ha attaccato frontalmente il mito della società multiculturale.
Phillips ha dichiarato che il multiculturalismo è un’idea sbagliata, che ha fatto fin troppa strada nella società britannica degli ultimi decenni, e che va abbandonata. Essa ha incoraggiato la separazione fra i gruppi alimentando i conflitti etnici.
Al multiculturalismo va sostituita, d’ora in poi, un’attiva politica di «integrazione» degli immigrati.Non si può comprendere quanto esplosive siano queste tesi se non si considera il fatto che la società britannica, al pari di altre società anglosassoni, ha fatto negli ultimi decenni molti passi nella direzione del multiculturalismo, ossia della concessione di cosiddetti «diritti collettivi» ai vari gruppi etnici, di ampi riconoscimenti del diritto alla differenza culturale.
Oggi che si constata quanto i frutti di quella politica siano avvelenati (lo mostra la radicalizzazione in senso antioccidentale di tanti giovani musulmani britannici) Blair sembra deciso a cambiare. C’è da scommettere che le polemiche saranno feroci, anche perché quello multiculturale è l’ultimo mito in ordine di tempo a cui si sia aggrappata ampia parte dell’intellighenzia occidentale, quella britannica compresa.
In Italia su questi temi decisivi si continua a fare confusione. Per esempio, spesso si confonde la multietnicità con il multiculturalismo. Ma la multietnicità è un fatto, dovuto all’immigrazione. Il multiculturalismo, invece, è un progetto. E’ il progetto di una società in cui le divisioni culturali che contano siano difese dalla legge e sostenute da politiche coerenti. Blair, per il tramite di Phillips, ha finalmente il coraggio di affermare che quel progetto è incompatibile con i princìpi di una società liberale.
Il multiculturalismo è infatti uno dei tanti frutti del relativismo culturale, dell’idea secondo cui tutte le tradizioni culturali, anche quelle che, ad esempio, negano i principi di libertà individuale e di uguaglianza giuridica, debbano trovare rispetto e protezione legale al pari della nostra. Abbandonare il progetto multiculturale non significa certo che si debba imporre agli immigrati di rinunciare a tutte le loro usanze. Si tratta piuttosto di negare protezione legale, e indulgenza culturale, a quelle usanze, e solo a quelle, che risultino incompatibili con i nostri principi liberali. O, che è lo stesso, si tratta di operare perché gli immigrati adattino costumi e credenze in modo tale da renderli coerenti con i princìpi e le regole della nostra convivenza civile.
E’ stata la minaccia islamista a spingere Blair a un cambiamento di politica. Anche in Italia, su questo, bisogna cominciare ad essere chiari. Ci sono qui da noi musulmani che vogliono integrarsi, che vivono in modo moderno, e compatibile con la vita in Occidente, il loro credo religioso. Essi vanno aiutati in tutti i modi ad inserirsi. C’è però in Italia anche un Islam fondamentalista (purtroppo, si tratta dell’Islam più organizzato) che non accetta il nostro modo di vita.
E’ l’Islam che non vuole l’integrazione ma il riconoscimento della propria diversità culturale. E’ il caso che anche noi si dica in modo netto, come ha cominciato a fare Blair, che non se ne parla proprio.