La Croce quotidiano 12 giugno 2018
Il Ruanda, uscito 24 anni fa dalla violenza agghiacciante del genocidio, è oggi un Paese completamente risorto. Stati fra i più sicuri dell’intero continente, si distingue ora per una serie di politiche familiari poste a presidio della vita e della coesione sociale
di Giuseppe Brienza
Il Ruanda è il Paese africano con la densità di popolazione più alta del continente e, allo stesso tempo, un luogo nel quale il turismo sta letteralmente esplodendo. Cresciuto del 30% solo negli ultimi due anni, nel 2016 questo comparto ha fatto registrare 400 milioni di dollari in termini di ricavi, con una quantità crescente di voli charter che vanno e che vengono dal Kigali International Airport.
Con un visto facile (30 dollari all’arrivo), visitare questa minuscola nazione senza sbocchi sul mare ma ricca di scenari naturalistici e di agricoltura è diventato molto semplice. Il novanta per cento dei 12 milioni di abitanti del Paese sono coltivatori a tempo pieno, e poca parte del paesaggio verde resta incolto. Con più di quaranta accampamenti e “casette-bungalow” (lodge), la natura selvaggia (Wilderness) attrae molto gli urbanizzati occidentali ed asiatici, che si sognano ormai (o quasi) la compagnia di rumori e panorami preservati da una politica che ha puntato all’ecoturismo e cerca di curare il territorio nel rispetto e con l’aiuto delle comunità locali.
Nonostante il truce passato del Paese, il Ruanda unito è in grado oggi d’insegnarci davvero qualcosa, soprattutto a noi occidentali che abbiamo per lo più perso il senso della famiglia e della vita di comunità. Come ha rilevato il direttore del CISF (Centro Italiano Studi Famiglia) Francesco Belletti nell’ultima Newsletter dell’Istituto (n. 20 del 30 maggio 2018), il Ruanda uscito 24 anni fa dalla violenza agghiacciante del genocidio è oggi un Paese completamente risorto, che si distingue peraltro per una serie di politiche familiari poste a presidio della vita e della coesione sociale.
Al fine di porre rimedio alla vulnerabilità economica e per buona parte sociale che lo contraddistingue, il Governo del Paese subsahariano sta tentando infatti di mettere a regime alcune soluzioni “africane” profondamente ancorate alla cultura e alle pratiche locali tradizionali, a problemi “globali” contemporanei, con il supporto di alcune ONG internazionali e delle organizzazioni locali della “società civile”. Queste strategie vedono la famiglia al centro dell’attenzione e in un coinvolgimento che la vede finalmente come risorsa e soluzione ai problemi sociali, anziché esclusivamente come destinataria d’interventi assistenziali o mera portatrice di bisogni.
Il governo del Ruanda, tra l’altro, è stato uno dei primi Paesi africani a ratificare nel 1991 la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (1989), intraprendendo negli ultimi decenni numerose iniziative per migliorare il quadro legislativo e istituzionale per la tutela dei diritti dei bambini.
Di questo sta documentando la comunità di ricerca europea (dal 2015) il “Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia” dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (http://centridiateneo.unicatt.it) con la sua partecipazione, attraverso l’impegno e la presenza in loco della psicologa Stefania Meda (docente a contratto alla Cattolica, nella facoltà di Psicologia – sede di Milano), ad un’attività sul campo nella regione dei Grandi Laghi dell’Africa Orientale, nell’ambito della “child protection” (tutela minori), in collaborazione con organizzazioni non governative internazionali.
Dopo il terribile genocidio del 1994 che, in circa cento giorni, ha portato alla morte di centinaia di migliaia di persone, il Ruanda è risulta oggi il Paese in cui si stanno mettendo in atto meccanismi di protezione sociale e di ricostruzione del tessuto comunitario fortemente innovativi. Gli sforzi finora compiuti hanno condotto a significativi risultati in termini di rispetto al diritto all’educazione ed a tassi di accesso alla scolarità.
Essendo però in costante aumento il numero dei bambini di strada così come quello dei neonati che non vengono regolarmente registrati alla nascita, si è deciso di ricorrere alla soluzione naturale per porre rimedio a questi (e altri) problemi sociali: il rafforzamento e la rivitalizzazione delle funzioni che possono essere compiute solo dalla famiglia naturale e stabile, cui è demandato il “Ministero per la Promozione della Famiglia”.
Inoltre, a partire dal 2012, in conformità con la Costituzione nazionale (articolo 27), la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (articolo 20 e articolo 21), l’African Charter on the Rights and Welfare of the Child (articolo 25), l’ICRP e le raccomandazioni del settimo National Children’s Summit, il Ruanda ha istituito una riforma nazionale dell’assistenza all’infanzia, con l’obiettivo a lungo termine di trasformare l’attuale sistema di custodia e tutela minorile in un sistema volto al potenziamento dei legami familiari, basato sul coinvolgimento delle famiglie e delle comunità locali.
La strategia nazionale di riforma prevede in primo luogo la chiusura di tutti gli istituti (orfanotrofi) e l’implementazione di forme di alternative care in un programma chiamato “Tubarerere Mu Muryango” (“Facciamo crescere i figli nelle famiglie”). Per fare questo il governo ruandese, in collaborazione con le organizzazioni della società civile, sta lavorando alla formazione di professionisti dell’assistenza sociale a livelli decentralizzati, e all’istituzione di comitati para-professionali di comunità (denominati “Inshuti z’Umuryango”, “Amici della famiglia”) per fornire assistenza ai bambini e alle loro famiglie a livello di villaggio.
L’istituzione di tali comitati paraprofessionali di comunità fa parte degli sforzi per coltivare un’identità nazionale condivisa, attingendo ad aspetti della cultura ruandese e delle pratiche tradizionali, e va sotto il nome di “Home Grown Solutions” – pratiche proprie della cultura locale tradotte in programmi di sviluppo sostenibile. Gli “Amici della famiglia”, vengono selezionati a livello di villaggio tra gli uomini e le donne che maggiormente si distinguono per integrità morale e per la capacità di ispirare altre famiglie attraverso il proprio esempio. Hanno il compito di organizzare iniziative di sensibilizzazione e prevenzione nelle loro comunità, nonché di monitorare le condizioni dei bambini e delle famiglie, informando tempestivamente i professionisti dell’assistenza sociale di situazioni di rischio.
L’istituzione di questa figura paraprofessionale rappresenta un valido meccanismo di prevenzione delle problematiche familiari e sociali che, coinvolgendo le comunità locali, è in grado di valorizza quei «grandi valori della tradizione africana» dei quali ha parlato recentemente il Santo Padre (cfr. “La salute della società dipende dalle famiglie”, in “L’Osservatore Romano, 27 novembre 2015, p. 8). Visitando l’università di Nairobi, infatti, Papa Francesco ha ribadito come la principale ricchezza della cultura africana risieda proprio nella sua «solida vita familiare», caratterizzata dal «profondo rispetto per la saggezza degli anziani e l’amore verso i bambini». La salute di qualsiasi società, ha profeticamente ricordato Bergoglio alle future classi dirigenti dell’Africa, «dipende sempre dalla salute delle famiglie» (ibidem.).