Avvenire Martedì 16 Gennaio 2018
L’islamista madrileno Serafìn Fanjul “smonta” le narrazioni «arcadiche» sulla dominazione araba in Spagna nel medioevo
Simone Paliaga
«La resurrezione dell’Arcadia in una “al-Andalus” di splendente bellezza serviva anche come arma per accusare la Spagna di averla distrutta» sostiene Serafín Fanjul, uno dei più prestigiosi arabisti spagnoli. Già direttore del Centro culturale spagnolo al Cairo, docente all’università Complutense di Madrid e membro dell’Accademia reale di storia, Fanjul ha consacrato i suoi studi all’islam. Tra i suoi lavori emergono Al-Andalus contra España (pp. 372, euro 18) e La Quimera de al-Andalus (pp. 288, euro 16) pubblicati in Spagna dalle edizioni Siglo XXI e da poco tradotti in volume unico in Francia col titolo Al-Andalus: l’invention d’un mythe (Edi-tionsToucan, pp. 736, euro 28).
Quando, professore, è nato il mito di Al-Andalus come esempio di convivenza tra cristiani, ebrei e musulmani?
«Tutto comincia con il Romancero e il cosiddetto “romanzo moresco” dei secoli XVI e XVII. Tuttavia questa immagine di Al-Andalus esplode coi francesi al tempo dello scontro con la Spagna per l’egemonia europea. Lantier per esempio ammira le terre “dove regnavano il lusso, le arti, i piaceri e la galanteria” in netto contrasto con la decadente Spagna che vedeva o diceva di vedere allora.
Herder alla fine del XVIII secolo, rilancia la nobiltà e l’eccellenza intellettuali di quel mondo definendo gli spagnoli “arabi raffinati, portatori di luce della cultura europea”. Anche i viaggiatori dell’epoca esaltano le virtù arabe della Spagna: ospitalità, costumi o l’abitudine tra il sottoproletariato di mangiare con le dita. E non esitano nemmeno a parlare del carattere “beduino” dei contadini, che invece erano stanziali e cristiani».
Il mito è usato a quel tempo contro il razionalismo del XVIII secolo?
«La Spagna e al-Andalus diventano rifugi di autenticità, esotismo, avventura e folclore. Ma assume aspetti politici di nuovo con gli inglesi che accusano la Spagna di aver rovinato la ricchezza naturale della penisola iberica. “Sotto il dominio dei Romani e dei Mori sembrava un Eden, un giardino di abbondanza e delizie” dice Richard Ford, ora non rimangono che “abbandono e desolazione “. Per Borrow “l’Andalusia, un tempo giardino sorridente, è stata trasformato in quello che è a causa dell’espulsione dei Mori da una Spagna, rimasta dissanguata dalla maggior parte della sua popolazione”. E così via
Come era la convivenza tra musulmani, cristiani ed ebrei in Al-Andalus?
«Si reggeva sulla separazione delle tre comunità, con quella musulmana in posizione di dominio in tutti i campi, legale, fiscale e sociale. I membri delle comunità cristiane ed ebraiche mancavano di personalità giuridica individuale e contavano qualcosa solo perché appartenenti alla loro stessa comunità, governata da un “comes”, conte, nominato dall’emiro dinanzi al quale era responsabile.
Il trattato di Ibn ‘Abdun, del XII secolo, elenca le discriminazioni imposte a cristiani e ebrei, paragonati a libertini e lebbrosi. C’è il divieto di montare a cavallo in città popolate da musulmani, di suonare le campane e costruire chiese. E include gravi insulti contro i sacerdoti cristiani, che non ripeto per rispetto.
Possono praticare la loro religione, ma senza esibirla pubblicamente. La pressione era così forte che, alla fine del IX secolo, esisteva una maggioranza di musulmani convertiti. Si assiste quindi a un massiccio esodo di mozarabi, ma sarebbe meglio chiamarli latino-visigoti, verso nord. E con loro partono molti ebrei. Quando, nel XIII secolo, i castigliani irrompono nella valle del Guadalquivir non trovano più cristiani o ebrei. Come non ricordare poi gli almohadi che un secolo prima avevano deportato in Marocco i cristiani che non erano fuggiti in Castiglia. Nel contempo viene sradicato il cristianesimo in Maghreb».
Secondo Arnold Toynbee a Al-Andalus erano banditi i pregiudizi razziali mentre con gli spagnoli si esaltava la “limpieza de sangre”…
«Non voglio essere troppo duro, ma in questo caso Toynbee parla di ciò che non conosce. Ricordo solo che nell’Islam medievale non troviamo solo la segregazione per cristiani ed ebrei, ma anche un feroce razzismo contro i neri. Non mancano discriminazioni tra i nuovi convertiti e i vecchi musulmani o tra arabi e non arabi. Non riesco a capire come, dopo gli studi di lgnaz Golgziher, all’inizio del XX secolo qualcuno possa dire ancora qualcosa del genere».
Però l’espulsione dei moriscos c’è stata nel 1609 a opera di Filippo III anche se Fernand Braudel la spiega con la loro indisponibilità all’integrazione…
«Braudel descrive rigorosamente l’accaduto. Tutta la documentazione a nostra disposizione indica un ostinato atteggiamento di resistenza all’integrazione, non di tutti i moriscos, ma di molti, forse di una maggioranza. Nel Cinquecento intere zone costiere si svuotano e le popolazioni fuggono in Marocco e in Algeria, come era successo prima con i cristiani scappati nel nord della Spagna Quelli che rimasero reagirono anche con rappresaglie.
È vero che erano stati costretti a cristianizzarsi e quindi non si poteva contare troppo sulla loro lealtà, ma erano i metodi del tempo, in tutti i Paesi. Mentre gli ebrei adottarono una posizione più duttile i musulmani si vantavano della loro fede e non rinunciavano a provocazioni. I processi dell’Inquisizione includono numerosi casi di moriscos perseguitati per avere gioito dopo le sconfitte spagnole nel Mediterraneo».
Secondo Sylvain Gouguenheim la conoscenza dì Aristotele non si deve ai traduttori di Al-Andalus ma agli scriptorìa cristiani Cosa ne pensa?
«Il suo libro è stato criticato per ragioni estranee allo studio della storia. Hanno prevalso i pregiudizi politicamente corretti del pensiero unico. La Sicilia, Roma, Ravenna, i monasteri benedettini furono determinanti nella trasmissione della conoscenza di Bisanzio e del mondo greco. In ogni caso, possiamo parlare di complementarità, non di esclusione di una delle due rotte. Il libro di Gouguenheim mi è sembrato eccellente, e abbiamo bisogno di libri simili per scrollarci di dosso gli stupidi complessi che noi europei ci siamo inflitti dopo la Seconda Guerra Mondiale e il Sessantotto».