Solo ripercorrendo le vicende degli ultimi cento anni, si può comprendere quanto sta avvenendo oggi in Siria. Qui non è in atto, infatti, unicamente uno scontro tra il Partito Baath e i suoi oppositori, né un semplice conflitto regionale, ma una resa dei conti che potrebbe cambiare l’equilibrio internazionale.
Amin Elias
Una parte degli alawiti non era favorevole a tale fusione. Gli archivi contengono documenti che mostrano la loro titubanza verso questa nuova entità siriana. In due lettere indirizzate nel 1936 dai notabili alawiti al presidente libanese dell’epoca, Emile Eddé, e al patriarca maronita Antoine Arìda, i mittenti propongono di annettere la regione alawita allo «Stato del Grande Libano», proclamato dal generale Gouraud il primo settembre 1920 e considerato dai maroniti come «compimento della loro lotta» e «realizzazione del loro sogno storico». In una memoria (n. 3547) indirizzata dagli stessi notabili al Primo Ministro francese Leon Blum il 15 giugno 1936, essi rifiutano l’amalgama della loro regione in uno Stato siriano dominato dai sunniti.
Secondo tale documento, il «popolo alawita» è diverso dal «popolo sunnita» tanto per le sue «credenze religiose quanto per le tradizioni e la storia». Il «popolo alawita rifiuta di essere annesso alla Siria musulmana» perché la religione musulmana, «religione ufficiale dello Stato», considera gli alawiti «miscredenti» (kuffàr). Questo rifiuto si traduce all’inizio del 1939 in una rivolta separatista nella regione alawita contro il potere centrale siriano di Damasco. Ma l’insurrezione fallisce.
Parallelamente alla corrente separatista, esiste tra gli alawiti una corrente costituita da intellettuali e militanti che condividono le medesime aspirazioni nazionaliste arabe con altre personalità di diverse confessioni presenti in Siria e in Libano. Una delle prime figure di questa corrente è Zakì al-Arsùzì.
Dopo aver compiuto studi di filosofia in Francia, al-Arsùzì ritorna in Siria e nel 1932 diventa insegnante nel Sangiaccato di Alessandretta. Accanito difensore dell’ambita, fonda nel 1934 il Partito del Risveglio arabo (al-ba’th al-‘arabì). Nel 1938 raggiunge Damasco dopo essere stato espulso da Alessandretta dalle autorità mandatane francesi. Annuncia la rinascita della nazione araba e riunisce molti giovani attorno alle sue idee.
Perseguitato e interdetto dall’insegnamento in tutte le scuole dai francesi, abbandona la politica attiva per dedicarsi allo studio delle radici delle parole arabe in un’opera filo-sofica che glorifica il contributo dell’arabile alla storia, II Genio della lingua araba (Al-‘abqariyya al-‘arabiyyafì lisàniha).
PER LA RlNASCITA ARABA
Parallelamente all’attività politica di al-Arsùzì, due giovani intellettuali siriani s’impegnano a Damasco nella vita politica esaltando la rinascita araba. Il primo, Michel Aflaq, un greco-ortodosso laureato in Storia alla Sorbona, e il secondo, Salàh Bìtàr, un sunnita laureato in Matematica, riescono a riunire attorno a loro numerosi insegnanti e studenti.
Nel 1942 chiamano il loro gruppo “movimento Baath” (harakat al-ba’th), ciò che provoca la reazione di al-Arsùzì, il quale ritiene che il nome del movimento gli sia stato sottratto indebitamente. Nonostante i tentativi di riconciliazione tra Aflaq e al-Arsùzì, i due uomini restano su posizioni inconciliabili.
Ciò non impedisce a un buon numero di seguaci di al-Arsùzì, compresi Wahìb Ghànim e Hafez Assad, di unirsi al movimento Baath fondato da Aflaq e Bìtàr, soprattutto dopo il ritiro di al-Arsùzì dalla vita politica. Il movimento è battezzato all’inizio del 1945 con un nuovo nome: “Partito Baath” (Hizb al-ba’th), che riunisce gli “arsuzisti”, tra cui un buon numero di giovani alawiti, e gli “aflaqiani”.
All’indomani del ritiro delle truppe francesi e inglesi dalla Siria, alla fine del dicembre del 1946 e qualche giorno prima della dichiarazione d’indipendenza della Repubblica siriana, 247 giovani provenienti da tutte le regioni della Siria, del Libano, dell’Iraq e della Transgiordania, assistono, il 4 aprile 1947, al primo Congresso del Partito Baath. I congressisti, che eleggono Michel Aflaq presidente del partito e designano un Comitato esecutivo, adottano una costituzione. Questa data è considerata la data ufficiale della creazione del “Partito Baath arabo” (Hizb al-ba’th al-‘arabi).
Nei primi anni dell’indipendenza, la Siria conosce una notevole vitalità democratica così come una pluralità politica che si traduce nella nascita di numerosi partiti. Oltre al Partito Baath occupano il centro della scena politica altri sei partiti. Il Partito nazionale, costituito nel 1947, è figlio del Blocco nazionale fondato nel 1927 per realizzare l’unità araba e l’indipendenza della Siria.
Esso riunisce numerose figure celebri come Shukrì al-Quwatlì, Fàris al-Khùrì e Jamìl Mardam, così come altri rappresentanti di famiglie nelle cui mani si concentra la ricchezza del Paese, soprattutto a Damasco. Il secondo, il Partito del popolo, è nato da una scissione del Partito nazionale. Esso riunisce le personalità che rappresentano gli interessi economici di Aleppo e della regione settentrionale del Paese.
Il terzo è il Partito popolare siriano fondato da Antùn Sa’àdih nel 1932, il cui progetto è la “Grande Siria”, comprendente la Siria, il Libano, la Palestina, la Transgiordania, l’Iraq e Cipro.
I Fratelli Musulmani, movimento fondato in Egitto nel 1928 da Hasan al-Bannà, hanno dei simpatizzanti in Siria, soprattutto ad Hama, Homs e Damasco. Anche il comunismo è rappresentato sulla scena politica attraverso il Partito comunista siriano, che gravita intorno alla figura del suo leader, Khàlid Bikdàsh. Infine, il Partito socialista arabo viene fondato da Akram Hùrànì nel 1950. È con questo partito che, in occasione del suo secondo Congresso del giugno 1954, il Partito Baath arabo decide di fondersi, per formare il Partito Baath arabo socialista (Hizb al-ba’th al-‘arabìal-ishtìràld).
TERRA DI MEZZO
Situata tra l’Egitto e l’Asia Minore da una parte, la Mesopotamia e il Mediterraneo dall’altra, porta settentrionale della Penisola arabica, la Siria è considerata la chiave dell’Oriente. Per questo motivo, nella seconda metà degli anni ’40 e per tutto il corso degli anni ’50, il Paese è oggetto di disputa tra i due poli della scena politica araba: l’Iraq e l’Egitto.
Per ciascuno di essi la guida degli Stati arabofoni nel loro insieme è possibile solo attraverso la conquista della Siria (1). Quest’ultima è inoltre l’asse attorno cui ruotano le principali mosse diplomatiche delle potenze internazionali. Molte battaglie decisive hanno luogo nel campo della sua politica interna all’epoca dell’adozione del patto di Bagdad e della dottrina Eisenhower (che la Siria rifiuta).
Le rivalità tra le forze regionali e internazionali si spostano gradualmente dalla semplice concorrenza democratica ai brutali colpi di Stato condotti dai generali dell’esercito siriano. I sette golpe guidati dagli ufficiali tra il marzo 1949 e il marzo 1963, e l’unione con l’Egitto tra il febbraio 1958 e il settembre 1961 mostrano chiaramente il ruolo crescente dell’esercito.
Quanto ai rapporti del Baath con il nasserismo, all’inizio degli anni ’60 viene creato un Comitato Militare Baathista (CMB) formato da cinque membri, tre dei quali alawiti: Mohammad ‘Umràn, Salàh Jdìd e Hafez Assad. Questi ultimi si oppongono alla politica condotta da ‘Aflaq accusandolo di accettare “l’egizianizzazione” della Siria. Dopo che nel settembre 1961 si è consumato il fallimento della Repubblica Araba Unita (RAU), essi preparano in segreto un doppio colpo di Stato contro il governo siriano e contro l’ufficio politico del Baath presieduto da Aflaq.
SCENDONO IN CAMPO GLI ALAWITI
Gli anni ’60 annunciano la comparsa degli alawiti, soprattutto dei loro generali, sul fronte della scena baathista e siriana. Nel suo libro Al-Nusayriyyùn al- ‘alawiyyùn (2) (I nusairi alawiti), Abù Musa al-Harìrì afferma che alcuni notabili alawiti e generali baathisti, tra cui ‘Umràn, Jdìd et Assad, si riunirono a più riprese tra il 1960 e il 1968 con l’obiettivo di trovare il modo d’impadronirsi del Partito Baath e dell’esercito siriano per controllare il potere centrale a Damasco.
Al-Harìrì parla anche di un altro piano che mirava a incoraggiare l’emigrazione degli alawiti dalla loro montagna (Jibàl al-nusayriyya) verso le grandi città di Tartus, Latakia e Homs, nella prospettiva di fondare uno Stato alawita con capitale Homs. Queste informazioni non si basano su prove certe, ma l’8 marzo 1963 il colpo di Stato del Comitato Militare Baathista riesce.
Dopo aver eliminato i nasseristi e i comunisti, il Comitato, dominato da Salàh Jdìd e Hafez Assad, si confronta con il leader storico del Baath, Michel Aflaq. Tre anni dopo, il Comitato conduce, tra il 21 e il 25 febbraio 1966, un secondo colpo di Stato contro Aflaq. La Costituzione è sospesa. Viene creato un nuovo regime nel quale è impossibile qualunque separazione tra il Baath e il potere: «II potere è il Baath» (3). Gli aflaqiani sono eliminati. Aflaq a sua volta fugge in Libano prima di trovare rifugio tra i baathisti in Iraq.
Tuttavia, la lotta per il potere tra i due nuovi leader, Jdìd e Assad, non tarda a manifestarsi. La loro rivalità emerge all’indomani della disfatta dell’esercito siriano, durante la guerra israelo-araba del giugno del 1967, che sfocia nella perdita dell’altopiano del Golan.
Alla disfatta s’aggiungono i dibattiti ideologici tra il gruppo presieduto da Jdìd, che aspira a una dottrina marxista radicale, e quello capeggiato da Assad, la cui preoccupazione principale è risollevare l’esercito siriano senza moltiplicare i legami di dipendenza dall’URSS. Questo gruppo desidera una cooperazione economica e militare con gli altri Paesi arabi senza far valere un approccio marxista o progressista nei loro confronti.
L’annientamento della “resistenza palestinese” a opera del re giordano Hussein, nel settembre del 1970, e il tentativo di Jdìd d’impegnare l’esercito siriano a fianco dei palestinesi, a cui si oppone Assad, guastano definitivamente i rapporti tra i due leader della Siria. Tale situazione, aggravata dalla morte di Nasser, spinge Assad ad agire. Egli procede prima di tutto all’arresto dei membri fedeli a Jdìd e assume il controllo dei contingenti militari più importanti. Il 19 ottobre 1970 ordina ai suoi soldati di circondare gli uffici dell’organizzazione civile del Baath e il giorno seguente fa arrestare i dirigenti I più importanti, compreso Jdìd.
Da quel momento Assad concentra nelle proprie mani tutti i poteri del Baath e del governo siriano, e nomina uno dei suoi seguaci, Ahmad al- j Khatìb, alla testa dello Stato siriano. Sapendo che l’ascesa di un alawita alla presidenza avrebbe urtato la sensibilità dei sunniti siriani (gli alawiti sono considerati come non musulmani), Assad chiede all’imam sciita libanese Musa al-Sadr, suo amico, di promulgare una fatwa in cui si proclami che gli alawiti sono musulmani sciiti.
Designato da 173 membri dell’Assemblea del Popolo come candidato alla presidenza della Repubblica, Assad diventa presidente il 12 marzo 1971 in seguito a un referendum popolare (4). L’azione di Assad è battezzata “il movimento di rettifica” (al-haraka al-tashìhiyya) (5) e nel 1973 egli procede a una modifica della Costituzione siriana volta a sopprimere la clausola che precisa che il Presidente dev’essere di religione islamica.
Deve allora affrontare un’opposizione accanita da parte degli ‘ulama’ sunniti siriani che lo minacciano di mobilitare le folle musulmane contro di lui. Per quanto riguarda la politica militare, Assad governa col pugno di ferro tutto ciò che ha a che fare con l’esercito. Per effetto di questa politica, le alte funzioni militari possono essere occupate esclusivamente da ufficiali alawiti o da sunniti o cristiani baathisti che hanno dimostrato una forte fedeltà ad Assad.
Gli avversari del Partito Baath, in particolare i Fratelli Musulmani, non sono autorizzati a presentarsi alla scuola militare. Le stesse regole sono applicate per reclutare i membri dei servizi segreti. Il sistema si è trasmesso dal padre al figlio. Consapevole dell’importanza dell’esercito, l’attuale presidente Bashar al-Assad è riuscito a mantenerne il controllo. Nessun corpo si mobilita senza la sua approvazione, come dimostra la sfida che l’esercito ha dovuto affrontare dallo scoppio degli eventi in Siria, nel marzo 2011.
È con Assad che la Siria, fino ad allora oggetto di disputa tra le potenze regionali e internazionali, si trasforma in una forza regionale attiva che esercita la sua influenza sulla scena mediorientale. Avendo stabilito un forte potere centrale a Damasco e imposto la sua autorità con tutti i mezzi, compresa la violenza, su tutte le regioni limitrofe, gli Assad sono riusciti a fare della Siria il nodo centrale di un’alleanza, politica, militare e geostrategica dall’Iran fino a Hezbollah in Libano, passando per l’Iraq.
I leader sunniti della regione, come il re di Giordania Abdallah, l’ex presidente egiziano Hosni Mubarak e il re saudita Abdallah, hanno identificato quest’alleanza con lo sciismo e l’hanno denominata “mezzaluna sciita” (al-hilàl al-shì’ì).
L’alleanza è stata denunciata dagli Stati Uniti che l’hanno inserita nell'”asse del male”. È in questo contesto di rivalità geopolitica tra gli Stati Uniti e i suoi alleati da una parte e l’Iran e i suoi alleati dall’altra, aggravata da un’effervescenza confessionale ebraica e musulmana sunnita e sciita, che si può meglio comprendere ciò che attualmente sta accadendo in Siria.
Le posizioni della Russia e della Cina rispetto agli eventi in Siria complicano ulteriormente il paesaggio. Per molti osservatori, la crisi siriana non è più un affare interno tra opposizione siriana da una parte e regime baahtista dall’altra, né un confronto regionale tra l’asse sunnita da un lato e quello sciita dall’altro, ma è diventata una questione che potrebbe modificare l’equilibrio internazionale istituito all’indomani della caduta dell’URSS
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min Elias dottorando in Storia contemporanea all’Università del Maine in Francia. È membro del Centre de Recherches Historiques del’Ouest(CERHIO) e della rete di ricerca Dynamique citoyenne en Europe (www.dcie.net).
1) Patrik Seale Le conflit sur la Syrie 1945-1958, Dar al-Kalima lil-nashr, Beyrouth 1980,15-16.
2) Abù Mùsà al-Harìrì, AI-Nusayriyyun al-‘alawiyyùn, Dar li-ajl al-ma’rifa, Beyrouth 2002, 236-242
3) Pierre Guingamp, Hafez al-Assad et le Parti Baath en Syrie, L’Harmattan, Paris 1996, 164.
4) Catherine Kaminsky, Simon Kruk, La Syrie: politiques et stratégies de 1966 a nosjours, PUF, Paris 1987, 45-53.