Tempi.it 24 Aprile 2018
I bambini li mettono al mondo i padri e le madri, non i medici e i giudici. Cosa c’è in gioco con la vita del bambino inglese (e che pure molti cattolici non capiscono
Rodolfo Casadei
(Aggiornamento delle 9.30 italiane. Ieri sera alle 22.17 è stato staccato il ventilatore di Alfie Evans. Secondo i giudici sarebbe dovuto morire in un quarto d’ora. Questa mattina, invece, Alfie era ancora vivo, tanto che i medici hanno dovuto ricominciare a idratarlo, «perché altrimenti sarebbe stata una morte per fame e sete», come ha detto suo padre Thomas).
Di fine vita, di accanimento e di abbandono terapeutico è lecito e sarà sempre più attuale discutere: i progressi della scienza e della pratica medica ci mettono di fronte a situazioni dove il confine fra ciò che è lecito e ciò che non lo è si fa sottile, dove valutare se sia più tracotante sospendere una terapia o insistere con la medesima può diventare difficile.
Ma una cosa dovrebbe essere sempre chiara e rappresentare il punto dirimente di una quantità importante di situazioni: nel campo delle cure sanitarie alle relazioni che appartengono ai mondi vitali dovrà sempre essere riconosciuto il primato sulle relazioni che appartengono al mondo della burocrazia impersonale. La relazione affettiva che esiste fra genitori e figli, quella che Salvatore Abbruzzese ha definito la «dimensione relazionale» della famiglia, appartiene palesemente a quelli che Achille Ardigò chiamava i mondi vitali.
La pretesa di centrare tutte le leggi e i poteri sulla realtà astratta dell’individuo singolo e autonomo, accettata e in tanti casi accolta con entusiasmo da molti soggetti del mondo contemporaneo, mostra la sua disumanità quando viene coerentemente applicata al caso di un bambino gravemente malato per decidere, contro la volontà dei suoi genitori, di togliergli i supporti vitali e di accelerarne la morte «nel suo migliore interesse».
Disarticolare l’interesse di un bambino di due anni da quello dei suoi genitori in relazione con lui è una violenza che solo l’accecamento ideologico può impedire di vedere. Quando questo poi si concretizza in un divieto imposto al padre e alla madre di trasferire il loro piccolo in una diversa struttura ospedaliera, quando si configura come un sequestro di persona con la benedizione dello Stato, la cosa che stupisce maggiormente è che ciò accada non nel contesto di un sistema politico totalitario come quelli della Cina o della Corea del Nord, ma nella nazione che è la madre della liberal-democrazia e della privacy innalzata a categoria politica.
Come spiegavano John Locke e gli altri liberali anglosassoni, il potere del sovrano si ferma sulla soglia della casa del singolo cittadino, dove comincia la vita privata resa possibile dal diritto alla proprietà privata. Questo è infatti il fondamento ultimo della sottomissione del cittadino al governo, del riconoscimento della legittimità del sovrano: poiché tu, Stato, mi riconosci il diritto di possedere mezzi miei per i miei fini, io riconosco la tua autorità e non mi ribello.
Gli Evans hanno i mezzi e i contatti giusti per esercitare il diritto alla privacy della loro famiglia, che nel loro caso si traduce nella decisione di trasferire Alfie da una struttura sanitaria ad un’altra, motivata dal bene rappresentato dai legami di affetto esistenti fra i membri della famiglia. Lo Stato che si intromette e decide cosa è bene per questa famiglia, contraddicendo risolutamente il desiderio manifestato dai genitori, non è più uno Stato liberal-democratico, ma uno Stato totalitario che si è dato il compito di decidere della vita dei componenti della famiglia Evans applicando la sua ideologia: quella dell’individualismo astratto e di una interpretazione strettamente materialistica della malattia e della sofferenza.
Anziché riconoscere il pluralismo delle concezioni intorno alla malattia e al dolore che esistono in una società, lo Stato britannico attraverso pubblici ufficiali rappresentati dai medici di un ospedale e dai giudici di un tribunale impone come normativa la sua visione utilitaristica e materialistica. Non c’è nulla di neutrale o di laico nell’impostazione dei medici e dei giudici britannici: c’è un’opzione di valore, etica, che dice che la vita appartiene al singolo individuo, e che nel caso in cui costui non sia in grado di decidere che per lui sarebbe meglio morire che vivere, il potere dello Stato provvede a realizzare quella che non potrebbe non essere la sua volontà se potesse esprimerla come una persona adulta.
L’opzione della famiglia Evans che dice che la vita non ci appartiene, che non è una proprietà ma un mistero di cui siamo chiamati ad essere custodi finché è umanamente possibile, e che in ogni caso non appartiene allo Stato – perché i bambini li mettono al mondo i padri e le madri, non i medici e i giudici – questa legittima opzione viene calpestata e derisa con un’arroganza che fa venire in mente i peggiori regimi totalitari del secolo passato.
Chi continua a sottovalutare la gravità di quello che viene fatto ad Alfie e ai suoi genitori, muovendo dalla considerazione che la sua vita sarà comunque molto breve e che vanno rispettate le leggi sul fine vita che vigono nel Regno Unito, non coglie il tragico significato politico degli eventi: la cultura in base alla quale prendono decisioni i medici dell’ospedale di Liverpool e i giudici di Londra introduce il primato delle relazioni burocratiche su quelle affettive, cancella la dimensione relazionale dell’essere umano in nome di considerazioni utilitaristiche, per di più presunte e non assolutizzabili, quando esistono addirittura altre strutture sanitarie disponibili a prendersi cura di Alfie.
Ha colto perfettamente la gravità della situazione papa Francesco, che nel suo ultimo intervento ha scritto: «Rinnovo il mio appello perché venga ascoltata la sofferenza dei suoi genitori e venga esaudito il loro desiderio di tentare nuove possibilità di trattamento». Il Santo Padre ha colto perfettamente il problema e si è schierato: la dimensione relazionale della famiglia deve avere la precedenza su tutte le altre considerazioni.
Ispirano invece profonda tristezza le parole del presidente della Pontificia Accademia per la Vita monsignor Vincenzo Paglia e quelle della Conferenza episcopale cattolica di Inghilterra e Galles. Il primo ha scritto che «solo nella ricerca di un’intesa tra tutti – un’alleanza d’amore tra genitori, famigliari e operatori sanitari – sarà possibile individuare la soluzione migliore per aiutare il piccolo Alfie in questo momento così drammatico della sua vita». I secondi, dopo avere espresso la convinzione che i medici dell’ospedale Alder Hey stanno agendo «con integrità», concludono: «Prendiamo nota dell’offerta del Bambin Gesù in Roma di prendersi cura di Alfie Evans. Sta a quell’ospedale presentare nei Tribunali britannici, dove devono essere prese decisioni cruciali nei conflitti di opinione, le ragioni mediche per un’eccezione da fare in questo caso tragico».
Monsignor Paglia non dice nemmeno una parola sul fatto che dei giudici hanno prodotto sentenze che violano i diritti più elementari di una famiglia, i vescovi inglesi, in un raro esempio di acritica sottomissione ecclesiastica a un potere dello Stato che viene da loro collocato al di sopra della legge di Dio, addirittura proclamano la superiorità della giustizia umana su quella divina: per loro i tribunali britannici sono nel loro diritto quando decidono di far morire un bambino. Purtroppo questo genere di ecclesiastici fa venire in mente Karl Marx e la sua definizione della religione come «oppio dei popoli», di cui i preti sono gli spacciatori al servizio degli interessi delle classi dominanti.
Oggi l’interesse delle classi dominanti è consolidare l’individualismo e una concezione edonistica della vita nella quale non c’è posto per il dolore, ridurre i costi dello Stato sociale, affermare l’utilitarismo come criterio supremo, imporre un concetto di compassione che permetta risparmi di risorse. In tutto questo l’aiuto dei preti può venire utile: trovare preti che dicano che l’eutanasia, almeno quella passiva, è solo un modo per accelerare compassionevolmente il viaggio dell’anima verso Dio è un significativo vantaggio per la società del capitalismo finanziario avanzato che ha bisogno di ristrutturarsi profondamente per non andare incontro a una crisi epocale.
Ci sono un certo numero di rappresentanti dell’autorità ecclesiastica che si prestano al gioco, per legittimarsi agli occhi del potere mondano, per continuare ad avere un ruolo nel «brave new world» che l’economia politica contemporanea sta edificando facendo leva sulla tecnologizzazione della vita umana.