di Rino Cammilleri
Com’è noto, la par condicio per i comunisti non esiste (salvo, ovviamente, reclamarla pro domo sua quando si sentono in svantaggio). Perciò, grazia a Bompressi e a Sofri, e niente ai «neri», diversi dei quali stanno da decenni a carcere duro. Naturalmente, le decine di latitanti rossi residenti in Francia, ora che Castelli non è più ministro, potranno continuare a latitare tranquilli.
Ma no, ma no: se arrestano me, ingoiano la chiave, altroché; io, infatti, non ho militato in Lotta Continua. A Sofri è stato dato, in semilibertà, intanto, un prestigioso posto di bibliotecario alla prestigiosissima «Normale» di Pisa. Un posto che, senza di lui, sarebbe stato assegnato per concorso a un laureato disoccupato. Il quale resterà disoccupato o dovrà cercare altrove (se trova, in quest’Italia di precari).
Sofri ha affrontato ben nove gradi di giudizio, armato di memoriali e controcavilli; infine, ha accettato con gioia la poltrona e le agevolazioni di legge, nonché una galera da barzelletta con telecamere e interviste a lui un giorno sì e l’altro pure. Non c’è male per uno che ha passato la gioventù a sputare veleno contro la «giustizia borghese».
Comunque, non s’è mai vista, dai tempi di Dreyfus, una canea così trasversale e decennalmente cocciuta nel volere Sofri a piede libero. A quelle famose ottocento firme Vip che, a suo tempo, sull’Espresso diedero addosso al povero Calabresi e poi si dichiararono «né con lo Stato né con le Br», si sono aggiunti nel tempo altri nomi prestigiosi, anche di destra, per i quali «il piccolo Lenin» (così Sofri era chiamato dai suoi fan ai bei tempi) è più importante della mamma.
Sinceramente, mi auguro di tutto cuore che Sofri finalmente esca di galera, così, almeno, sarà costretto a guadagnarsi il pane come tutti, anziché godere di quegli spazi prestigiosi, da Panorama al Foglio, che un intellettuale qualsiasi, non «vittima del sistema» cioè, deve sudarsi con fatica e olio di gomito; e, soprattutto, deve riempire di non-banalità, diversamente da chi sa che quegli spazi nessuno glieli toglierà mai per timore del linciaggio da parte dell’influentissima lobby pro-Sofri.
Così, anche le guardie carcerarie del «Don Bosco» di Pisa potranno tirare un bel respiro di sollievo, perché non avranno più un detenuto da trattare con ogni riguardo sennò guai, né dovranno sopportare il viavai continuo e ossessivo di cameramen e giornalisti, quasi che l’Italia detenga Mandela nelle sue patrie carceri.
Libertà, dunque, a Sofri, e anche a Pietrostefani, mi raccomando. Anzi, per dirla tutta, smettiamo di arrestare comunisti ed estremisti di sinistra, tanto poi bisogna rimetterli fuori con tante scuse, a prescindere dalla gravità dei loro reati. Quanto a Sofri, nessuno si preoccupi: troverà posto presso gli amici, che sono tantissimi.
Male che gli vada, qualche rivista missionaria che sarà ben lieta di ospitare cotanta firma non mancherà di certo. D’altronde, il Pietrostefani, pur latitante, non ha forse pubblicato un libro con l’editrice cattolica Jaka Book? Perciò, conceda il nuovo presidente della Repubblica non una ma tre grazie. E facciamola finita una buona volta con questa storia.