20 maggio 2018
La soluzione al problema della plastica potrebbe essere racchiuso in un enzima. Sviluppato da un batterio che ha imparato a nutrirsi di plastica in una discarica giapponese, perché era tutto quello che aveva. Ed è facilmente coltivabile
di Elena Comelli
La crisi dell’inquinamento da plastica si aggrava di giorno in giorno, con un milione di bottiglie di plastica vendute al minuto nel mondo.
La scienza, però, potrebbe fornirci ben presto un nuovo strumento per cercare di risolvere il problema, grazie a un enzima mutante che riesce a scomporre il polietilene tereftalato (il Pet delle bottiglie) nei suoi monomeri originali – acido tereftalico (Pta) e monoetilenglicole (Meg) – fornendo così all’industria una nuova fonte di materie prime petrolchimiche, quasi equivalente al materiale vergine.
La scoperta è stata realizzata da un team del National Renewable Energy Laboratory del dipartimento Usa dell’Energia, coordinata dal biologo strutturale John McGeehan dell’Università inglese di Portsmouth.
Il risultato è arrivato in maniera accidentale, durante gli esperimenti sulla struttura cristallina del PETase, un enzima prodotto da un batterio scoperto in una discarica giapponese. Nel 2016, infatti, un team di studiosi giapponesi aveva trovato in una discarica il microbo Ideonella sakaiensis, che si era adattato a mangiare la plastica presente nel suo habitat e aveva sviluppato un enzima specifico per questa finalità.
Ora la nuova ricerca ha fatto un passo in più. E’ stato infatti creato accidentalmente un enzima mutante che ha performance migliori rispetto a quella dei batteri naturali. Una scoperta che potrebbe aprire la strada a ulteriori miglioramenti e alla creazione di microrganismi in laboratorio sempre più efficienti, da usare nello smaltimento dei rifiuti in plastica.
“La nostra scoperta inattesa suggerisce che c’è spazio per migliorare ulteriormente questi enzimi, offrendo una soluzione di facile riciclo per la montagna in continua crescita di rifiuti in plastica”, spiega John McGeehan. Pur non essendo la prima scoperta di un microbo in grado di scomporre la plastica, quello giapponese è il primo batterio a essere facilmente coltivabile.
Il team di Kyoto, inoltre, è riuscito a identificare gli enzimi utilizzati da Ideonella sakaiensis per digerire il Pet e il gene dei batteri responsabile della produzione dell’enzima. In questo modo si è arrivati allo studio sulle varianti ingegnerizzate e a dimostrare che il Pet potrebbe essere scomposto anche dall’enzima da solo.
Ora la gara è aperta con altri ricercatori che si stanno muovendo nella stessa direzione. Proprio pochi giorni fa la società biotecnologica francese Carbios ha annunciato grandi progressi nell’ottimizzazione dell’efficienza del proprio enzima di degradazione del PET, che spera possa accelerare il passaggio alla dimostrazione industriale.
Carbois ha dichiarato di essere riuscita a comprimere in maniera decisiva il periodo di idrolisi, con una degradazione del 97% raggiunta entro 24 ore: una prima mondiale, secondo l’azienda, che è stata anche scelta da L’Oréal per il riciclo della sua plastica.
“Questo è indubbiamente un passo fondamentale che rafforza il potenziale economico del nostro processo di bioriciclo, applicabile a tutto il PET, sia esso colorato, opaco o complesso”, ha detto l’amministratore delegato di Carbois, Jean-Claude Lumaret.
Dato il recente progresso, Carbois ha deciso di accelerare la fase di industrializzazione al 2019, con l’installazione di una fabbrica di 10.000 tonnellate che produrrà i primi volumi di plastica vergine entro il 2021.