dal Numero 34 del 6 settembre 2020
È appena uscita l’edizione italiana del libro “Tommaso d’Aquino in pochi minuti. Risposte per chi ha fretta alle domande fondamentali”. Ne parliamo con il curatore, Maurizio Brunetti. a cura
di Lazzaro M. Celli
Lo psicologo statunitense Kevin Vost è un ottimo comunicatore. È un volto noto del coraggioso network cattolico radiotelevisivo EWTN ed è autore di molti libri divulgativi che spaziano dalla psicologia cognitiva alla filosofia scolastica medievale. La D’Ettoris Editori di Crotone ha appena pubblicato il suo Tommaso d’Aquino in pochi minuti. Risposte per chi ha fretta alle domande fondamentali (p. 288, € 21,90). Abbiamo rivolto qualche domanda al curatore dell’edizione italiana, il professor Maurizio Brunetti.
Gentile Professore, su san Tommaso d’Aquino è già disponibile un’ampia letteratura in lingua italiana. Che cosa aggiunge l’opera di Kevin Vost?
Mi permetta, innanzitutto, di dirle che questa intervista mi onora e mi emoziona. Sono affezionato alla vostra testata: nei primi anni di pubblicazione, vi ho anche contribuito con diversi articoli sul rapporto tra scienza e fede. Venendo alla sua domanda, san Tommaso d’Aquino è a tutt’oggi considerato uno dei più grandi teologi mai esistiti, una grandezza solitamente riconosciuta anche da chi, all’interno di seminari e facoltà teologiche, purtroppo, non lo ama. Questo libro, però, non è stato pensato per il mondo accademico, ma per convincere anche le anime semplici del secolo XXI che ciò che Tommaso ha scritto più di 700 anni fa potrebbe tornar loro utile per conoscere e amare un po’ di più Dio, il prossimo e se stessi.
Vorrebbe dirci che la Somma di Teologia è alla portata di tutti?
Proprio di tutti… no, anche se va detto che le traduzioni italiane più recenti – penso in particolare a quella di Fernando Fiorentino – ne hanno decisamente migliorato la fruibilità. Non va dimenticato, comunque, che la Somma, sebbene consti di almeno 3.000 pagine, era stata concepita come un manuale per studenti di teologia alle prime armi! Il che dovrebbe far vergognare chiunque ancora utilizzi l’aggettivo “medioevale” come sinonimo di “retrogrado e ignorante”.
Alcuni passi della Somma effettivamente richiedono un certo impegno, eppure resta vero che il Santo domenicano non scriveva per i professori di filosofia, ma per aiutare ogni uomo a raggiungere la felicità, in questa vita e nell’altra. Sarà facile convincersene affrontando la lettura dei 42 brevi capitoli di Tommaso d’Aquino in pochi minuti. Lo stile di Kevin Vost, infatti, rimane colloquiale anche quando si tratta di affrontare i grandi temi del bene e del male, oppure dell’origine e del destino dell’uomo.
E poi ci sono i “Riquadri del bue muto”…
Bue muto” era il nomignolo con il quale l’Aquinate veniva preso in giro dai suoi compagni di studio, i quali avevano scambiato per ottusità il suo essere taciturno. Posti a mo’ di intermezzi lungo tutto il volume, tali Riquadri riguardano questioni di «saggezza spicciola» pure trattate nella Somma, come per esempio «è peccato essere noiosi?», «è peccato amare il vino?» oppure «se mi distraggo quando prego, Dio smette di ascoltarmi?». Le argute risposte di Tommaso – no, proprio non posso anticiparle in questa intervista – sono talvolta persino sorprendenti…
In una nota, Kevin Vost spiega come l’«incontro» con san Tommaso d’Aquino gli abbia cambiato la vita…
Sì. L’Autore racconta di aver riscoperto la Fede cattolica dell’infanzia dopo «venticinque anni trascorsi nei deserti dell’ateismo» proprio grazie allo studio di san Tommaso. Vi si era accostato – da psicologo della memoria – per ragioni professionali. Impressionato dalla rappresentazione incredibilmente accurata della natura dell’uomo, aveva poi affrontato lo studio delle parti della Somma di Teologia riguardanti la ragionevolezza della fede nell’esistenza di Dio dimostrata grazie alle “cinque vie”, e infine quelle riguardanti Gesù Cristo, la Chiesa e la vita di grazia. Il suo libro propone l’esposizione dei contenuti della Somma lungo questa stessa traiettoria.
Lei è un matematico dell’università “Federico II” di Napoli. Che cosa l’ha spinta a curare un libro decisamente lontano dai suoi interessi accademici?
Le sembrerà strano, ma, da matematico, individuo persino della bellezza nelle indagini serrate e implacabili cui l’Aquinate sottopone ogni opinione teologica che intende difendere o confutare. In ogni caso, il mio affetto per san Tommaso d’Aquino risale ai tempi del liceo, quando gli studi e la frequentazione di Alleanza Cattolica mi convinsero che l’Aquinate ha costituito e potrebbe costituire tutt’ora un antidoto alla dilagante «barbarie della riflessione» – come la definiva Giambattista Vico –, cioè all’incapacità di accondiscendere al senso comune e a rispettare le cose per come sono.
Quell’affetto si è poi consolidato nel corso degli studi universitari, grazie anche ai molti minuti passati in preghiera nella cappella del crocifisso miracoloso della Basilica di san Domenico Maggiore in Napoli, proprio quella nella quale Cristo parlò a san Tommaso dicendogli: «Bene scripsisti de me, Thoma», «Hai scritto bene di me, Tommaso».
Professore, lei ha detto che le cose “andrebbero rispettate per come sono”. Può tornare su questo concetto, magari spiegando ai lettori la sua importanza e le ricadute, se ce ne sono, sulla vita di ogni giorno?
È presto detto. Se si sta camminando sul ciglio di un burrone senza parapetto, ma si preferisce, per un qualsivoglia motivo, ignorarne la natura, le probabilità di farsi male – entro, peraltro, brevissimo tempo – sono altissime. In filosofia, in teologia e in politica il mancato rispetto della realtà è altrettanto nocivo, anche se il suo carattere malsano non viene immediatamente percepito.
Visioni distorte dell’uomo – per esempio, quella marxista – si sono tradotte in regimi politici responsabili di molti milioni di morti. Poi mi vengono in mente altri esempi tragicamente attuali. A un certo punto qualcuno ha messo in dubbio l’appartenenza alla specie umana dei piccoli d’uomo nel grembo delle madri, oppure ha sostenuto che si trattasse di una vita sì umana, ma che, in presenza di alcune condizioni, potesse essere soppressa senza conseguenze penali.
E così l’aborto è stato in molti Paesi «legalizzato», con tutti i suoi strascichi di sofferenza materiale e morale. Qualche settimana fa, in Italia la situazione è ulteriormente peggiorata: il Ministro della Salute (di chi? Non certo del bimbo da abortire, né della madre che assume la pillola RU486) ha deciso di consentire l’aborto farmacologico fino alla nona settimana di gravidanza e senza obbligo di ricovero. Un altro esempio di tradimento della realtà, dall’enorme impatto sociale, sta nella pretesa di poter negare la realtà della propria identità sessuale biologica.
Il rispetto della realtà ha anche conseguenze dirette sulla vita di fede del singolo credente?
Certamente! Come ricordava poco meno di dieci anni fa il grande Benedetto XVI, la fede non è solo un sentimento, un’emozione, ma un atto che coinvolge tutta la persona, e quindi anche l’intelletto e la volontà. Essa si traduce nell’accogliere la Rivelazione di Dio, che ci fa conoscere chi Egli è, come agisce e quali sono i suoi progetti per noi.
Se si rispetta la realtà, per capire questi progetti si ricorrerà innanzitutto al Credo, al Vangelo e al Catechismo; altrimenti ci si affiderà ai propri sentimenti o alle opinioni prevalenti nella società in cui si è immersi, col rischio di convincersi, per esempio, che Dio possa talvolta benedire rapporti sessuali che coinvolgono battezzati e che avvengono al di fuori del Matrimonio sacramentale.
Purtroppo tale approccio, molto poco razionale e altrettanto poco tomista, trova l’avallo di teologi spericolati per i quali 2+2, in teologia, può fare 5. Lo dico da matematico e da cattolico, con molta energia: o 2+2 fa sempre 4, anche in teologia, oppure ogni discorso, su qualunque argomento, diventa privo di senso, perché non ci sarebbe più alcuna differenza tra vero e falso, tra bene e male, tra il ragionamento assennato e l’idiozia.