Sono già diecimila i convertiti in Italia, ma molti di più i simpatizzanti e persino i cattolici che credono nella reincarnazione Grazie a testimonial» come Roberto Baggio
di Massimo Introvigne
Il recente film di Bernardo Bertolucci Piccolo Buddha —per la cui prima parigina si è scomodato perfino il Dalai Lama e che uscirà sugli schermi italiani il 10 dicembre — ha moltiplicato le inchieste e gli articoli sul buddhismo occidentale.
Mentre diminuisce il numero dei frequentatori della Messa domenicale, il buddhismo è la religione del Duemila anche per Paesi come l’Italia, la Francia o la Spagna, di antica tradizione cattolica?
Il buddhismo ha sempre affascinato gli occidentali — da Schlegel a Schleiermacher e a Hesse — ma le vere e proprie conversioni alla religione buddhista iniziano con i due grandi eventi della fine del secolo scorso, decisivi per l’importazione di religioni orientali in Occidente: il Parlamento mondiale delle Religioni di Chicago del 1893 (di cui si è celebrato quest’anno il centenario con la partecipazione di esponenti buddhisti, cattolici e di altre religioni) — dove vennero presentati due maestri buddhisti di primo piano, il singalese Anagarika Dharmapala e il giapponese Soyen Shaku — e la diffusione della Società Teosofica, creata a New York nel 1875 e i cui fondatori, Helena Blavatsky e Henry Steel Olcott, si convertirono formalmente al buddhismo.
Benché gli scritti di madame Blavatsky siano spesso criticati per il loro carattere ferraginoso e fantasioso, un buon numero di studiosi accademici — soprattutto negli Stati Uniti — ne riscoprono oggi l’enorme importanza per la storia culturale di correnti «orientaliste» ed esoteriche che arrivano fino al contemporaneo New Age, e a Ceylon Olcott viene onorato come un «padre della patria» per avere restaurato un buddhismo in declino nelle sue terre di origine.
Nel nostro secolo il buddhismo non ha cessato di crescere in Occidente, grazie talora a mode passeggere e superficiali, altre volte all’opera di persone che si erano sottoposte per davvero a rigorosi training in Oriente come Eugen Herrigel, Philip Kapleau o Alan Watts. Le autorità comuniste cinesi — certo involontariamente — favorirono questo processo invadendo nel 1959 il Tibet e perseguitando i monaci, determinandone così l’esodo verso l’Occidente, dove conquistarono al buddhismo numerosi seguaci
Ma esiste un modo specificamente occidentale di vivere il buddhismo? Molti buddhisti risponderebbero di no, e insisterebbero che il buddhismo è uguale a Bangkok o a Lhasa come a Milano. Tuttavia i sociologi osservano che il buddhismo in Occidente è segnato da una sua storia ormai lunga, a partire dall’iniziale mediazione teosofica fino al più recente incontro con il cristianesimo (si pensi a una figura come Thomas Merton), con Jung e con altri maestri della psicologia del profondo.
In Italia gli ambienti teosofici si erano interessati al buddhismo fin dalla fine del secolo scorso, ma una diffusione sistematica risale agli anni 1960 e 1970. Prestigiosi testimonial come il calciatore Roberto Baggio contribuiscono a conferire al buddhismo una certa aria di «moda». I buddhisti «tradizionali» — prescindendo dalla più vasta cerchia dei simpatizzanti — sono valutati tra i tremila e i seimila, a cui si aggiungono altri due-tremila aderenti alle nuove religioni neo-buddhiste giapponesi come la Soka Gakkai (in rapporto spesso conflittuale con i gruppi legati a forme di buddhismo più tradizionale).
È poco per parlare di un boom (per offrire un termine di paragone, intorno ai Testimoni di Geova ruotano oltre trecentomila persone in Italia); ma si deve riconoscere che il buddhismo influenza molte più persone di quante non formalizzino la loro simpatia in una conversione, e non è certamente estraneo alle statistiche – per i cattolici inquietanti – secondo cui un quarto degli italiani e un terzo dei giovani non soltanto sanno definire in modo corretto la dottrina della reincarnazione ma affermano di crederci.
Che valutazione dare del fenomeno? La presenza di centri buddhisti, di riviste, di esponenti autentici della tradizione buddhista in Italia può certamente favorire il dialogo interreligioso con una delle principali tradizioni spirituali dell’umanità, un dialogo in cui la Chiesa cattolica è seriamente impegnata da molti anni La conoscenza del buddhismo può costituire una sfida per i cristiani su punti importanti: soprattutto – al di là di aspetti che possono colpire più superficialmente l’immaginazione – sulla drammaticità della vita di ciascuno come «caso serio» su cui si deve meditare oltre le agitazioni del quotidiano.
Tuttavia per il cristiano, benché il modo di impostare la domanda possa essere talora arricchito da semi di verità presenti anche nel buddhismo, la risposta al «caso serio» della vita è Gesù Cristo, che non è un optional né un maestro fra tanti — da mettere accanto a Buddha e ad altri — ma il Dio fatto uomo.
Per questa ragione la Chiesa cattolica — ed è questo il senso della Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della meditazione cristiana pubblicata dalla Congregazione per la dottrina della fede nel 1989 — mette in guardia contro un uso acritico di tecniche di meditazione di origine buddhista (e induista) attraverso cui potrebbero venire assorbite categorie e concetti religiosi estranei al cristianesimo: le statistiche sulla credenza nella reincarnazione provano che non si tratta di un rischio teorico.
In questo caso non si tratterebbe più di dialogo, ma di puro e semplice abbandono della fede cristiana che a ciascuno deve essere cara. L’applauso al film di Bertolucci deve quindi essere moderato da una prudente cautela.
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