pubblicato in Ideologia e Filosofia, Morcelliana, Brescia, 1967, pp. 75-86
di Augusto Del Noce
Quando mi accinsi ad una ricerca sulle origini e sul significato del termine di ideologia alla fine del 700, credetti dapprima ci fosse ben poco da dire per riferimento a quello che esso ha al presente. La sententia communis è infatti questa: il termine ideologia è stato introdotto dal minore filosofo Destutt de Tracy, ma in lui ha riguardo al problema psico-gnoseologico dell’origine delle idee; un problema che sembra apparentemente molto lontano da quelli sociali e politici.
Questo termine era poi pervenuto a Marx, e allora aveva preso il senso che dura tuttora. Con differenze, però: perché, per Marx, ideologia ha il significato di filosofia astratta, di filosofia delle pure idee, di filosofia speculativa che s’inserisce nella realtà storica come giustificazione di un ordine storico dato; distinta perciò dalla vera filosofia che è, sì, filosofia pratica, ma realizza l’universalità umana.
Mentre per il sociologismo contemporaneo ideologia ha il significato di espressione storico-sociale di un gruppo, come soprastruttura spirituale di forze che non hanno niente di spirituale, come interessi di classe, motivazioni collettive incoscienti, condizioni concrete dell’esistenza sociale.
Per cui il progresso delle scienze umane porterebbe alla scienza sociale, che finalmente, come piena estensione della ragione scientifica al mondo umano, compirebbe la sostituzione completa del discorso scientifico al discorso filosofico, chiarendo l’origine mondana, sociale e storica del pensiero metafisico.
Il che nella dichiarazione, almeno, di alcuni rappresentanti di questa attitudine mentale non comporterebbe l’affermazione dell’impossibilità di esseri sopraumani: soltanto la parola di Dio dovrebbe essere demitizzata, il che significherebbe la fine completa di ogni forma di teologia scolastica.
Ognuno vede la connessione tra sociologismo, pensiero religioso demitizzato, e psicanalisi intesa nel senso di scienza di liberazione dalle maschere. Bene inteso, con questo non intendo dir nulla contro la sociologia: al contrario, il mio giudizio è esattamente quello della maestra incomparabile della mia generazione, Simone Weil: “i tentativi contemporanei per fondare la scienza sociale concluderebbero… al prezzo di un po’ più di precisione. Occorrerebbe mettere alla base la nozione platonica del grande animale e descriverne minuziosamente, ]a anatomia, la fisiologia, i riflessi, naturali e condizionati…“.
Del resto l’impressione che si prova nella lettura dei sociologi grandissimi, ad esempio Pareto, è proprio quella di chi, anche involontariamente; sia platonico, nel senso che abbia descritto il grande animale.
L’importante è che l’individuo umano non venga poi egli stesso inteso come un’astrazione che ha realtà soltanto nel grande animale: tale invece è la posizione del sociologismo che sta alla sociologia come lo scientismo sta alla scienza. Curiosamente, negli ultimi dieci anni l’avversario del pensiero religioso è cambiato.
In certo senso è sempre il pensiero rivoluzionario, come fondato sull’idea di una “seconda nascita” chesisostituisce alla “seconda nascita” evangelica, e come può sostituirsi, se non sostituendo alla pienezza del teismo quella dell’ateismo? Ma col marxismo si era nell’idea di una religione secolare, della trascrizione laica di un modulo messianico (una frase corrente parla di Marx, come dell’ultimo “profeta ebreo”). Col sociologismo, invece, la rivoluzione è più profonda, proprio perché si tratta di una rivoluzione “silenziosa”.
Un bellissimo passo di Henri Gouhier, scritto quando questi tempi nuovi ancora non si prevedevano, esprime nella maniera più perfetta la singolarità e la maggiore radicalità atea del sociologismo: “Fondando la filosofia positiva, il padre della sociologia merita la missione che i rivoluzionari si erano accaparrati. Il culto della Ragione supponeva Dio e l’anima esclusi, dall’universo; non era che un’anticipazione, sino a che la nostra ignoranza dell’ordine umano avrebbe permesso all’anima e a Dio di rifugiarvisi.
Creare la sociologia, è appunto scoprire un uomo senza tracce di Dio; constatare che la filosofia è positiva è avere il diritto di non fare più i conti con le idee teologiche o metafisiche. Una prima differenza capitale oppone l’opera di Comte ai tentativi già ispirati dalla stessa ambizione: prima di inaugurare un culto e di ordinare dei preti, occorre sapere quel che si deve insegnare: la teoria viene prima della pratica, la filosofia prima della morale; la verità prima dell’istituzione.
Da ciò l’inevitabile lunghezza dell’impresa e altresì la sua serenità: il successo è garantito, ogni tentativo di resurrezione è impossibile e ogni sforzo contrario perfettamente vano. I rivoluzionari erano degli accaniti demolitori; Comte non pensa neppure a stabilire che Dio non esiste. Non si dimostra l’esistenza o la non esistenza di un essere: si constata la sua presenza o la sua assenza: come Minerva e Apollo, Dio è partito senza lasciare questioni” (Henri gouhier, La jeunesse d’Auguste Comte et la formation du positivisme, 1, Sous le signe de la liberté, Paris, Vrin, 1933, p. 23; sottolineatura mia).
Con l’aggiunta, in nota, di questa preziosa citazione del Discours sur l’esprit positif: “Nessuno, senza dubbio, ha mai dimostrato logicamente la non esistenza di Apollo, di Minerva ecc..,, né quella delle fate orientali o delle diverse creazioni poetiche; ma questo non ha in nessun modo impedito allo spirito umano di abbandonare irrevocabilmente i dogmi antichi, quando essi hanno infine cessato di convenire all’insieme della sua situazione”.
Forse quello che poteva essere meno previsto, or sono vent’anni, è la curiosa nuova attualità di Comte; che s’inquadra in un pensiero, qualche volta sfiorato, ma certo mai adeguatamente, e tanto meno, esaurito quello della ripetizione nel nostro secolo delle figure di pensiero dell’ottocento.
Tuttavia è anche vero che su questa attualità di Comte bisogna portare alcune precisazioni. La prima riguarda una curiosa osservazione della sorella del filosofo. Alice Comte: “Il culto della Umanità compromette l’avvenire del positivismo politico.
Le masse sono credenti: attaccare la loro fede è perdere tutto, mentre che il tuo sistema appoggiato sul cattolicesimo avrebbe un più gran numero di partigiani. Presentimento d’un cattolicesimo positivista o di un positivismo cattolico! L’umile damigella non prevedeva né Brunetière né Ch. Maurras. Però dava, già nel 1849, una formula che l’avvenire avrebbe ritrovato” (Op. cit., pp. 49-50).
Diciamo: il positivismo comtiano non poteva, nella sua forma, raggiungere la coscienza popolare; perché la raggiungesse occorreva la mediazione di qualcosa d’altro, di un pensiero nelle apparenze estremamente lontano dal comtismo, e questo era appunto, in quella sua straordinaria capacità di attingere le masse, il marxismo. Di più il pensiero di Comte doveva spogliarsi degli aspetti per cui si presentava, come una religione nuova: e a questo punto noi dobbiamo incontrare il problema dell’attualità presente della forma mentale degli ideologi.
La ricerca a cui accennavo è appena iniziata e mi limiterò a darne, per così dire, lo scheletro. Dirò perciò brevemente di sette temi storici di cui essa dovrebbe trattare.
1. L’errore fondamentale, compiuto a proposito della situazione storica degli ideologi, è stato quello di considerarli in primo luogo come discepoli di Condillac. Invece, essi devono essere visti anzitutto come discepoli di Condorcet, anche se hanno utilizzato, per completare le vedute di Condorcet, la teoria della conoscenza condillachiana.
Questa falsa prospettiva ha fatto sì che essi siano stati totalmente assorbiti nello studio della formazione filosofica o di Maine de Biran o di Comte.
I rapporti degli ideologi con Maine de Biran e con Comte sono stati magistralmente studiati nelle insigni opere di Henri GOUHIER, La jeunesse d’Auguste Comte et la formation du positivisme, t. I, Sous le signe de la libertè, Paris, Vrin, 1933; t. II, Saint-Simon jusqu’à la Restauration, id., 1936; t. III, Auguste Comte et Saint-Simon, id., 1941; particolarmente importante, per il tema che qui interessa, il primo volume, dove si mette in luce la precedenza dell’influenza degli ideologi su quella di Saint-Simon e l’influenza condizionante che essa ha avuto sulla formazione del pensiero comtiano; Les conversions de Maine de Biran, id. ,1947. L’importanza di questi libri è tale che essi possono ben dirsi il punto di partenza assolutamente indispensabile per lo studio degli ideologi.
Rispetto alla genesi del positivismo, la loro importanza unica dipende dal fatto che vi si trovano chiarite le origini religiose del positivismo, in ragione del carattere religioso dell’idea di Rivoluzione. Resta però che, ora, l’attualità del sociologismo porta a indirizzare in altro senso la ricerca sugli ideologi, pur sotto la sua indispensabile guida.
Un punto stupendamente illustrato dal Gouhier e che deve essere sempre tenuto presente, per la storia della mentalità sociologica, come sostituzione della sociologia alla filosofia, è quello per cui Comte rappresenta, in certo senso, la riaffermazione di Destutt de Tracy dopo Biran; perché per liberarsi davvero dal punto di vista dell’interiorità, occorreva oltrepassare l’ideologia uscita da Condillac, e il suo punto di vista individualistico (cfr. Les conversions de Maine de Biran, cit., p. 12 e passim).
Occorreva così raggiungere il punto di vista per cui l’individuo non è che una astrazione staccata dall’esistenza collettiva. Resta però che il sociologismo contemporaneo, se segue in ciò l’antibiranismo comtiano e rifiuta il condillachismo, tuttavia, attraverso il rifiuto dello spirito della Restaurazione e della Filosofia della Storia, si approssima di più alla pur imprecisa visione del Tracy.
Nonostante la sua debolezza filosofica, qualche utilità può ancora avere il vecchio libro di F. PICAVET, Les idéologues, Alcan, Paris, 1891; nato da un richiamo, nella III Repubblica, all’ideale educativo degli ideologi, contro quel che rimaneva dell’ideale educativo della Restaurazione; è molto ricco di materiali, che ancora attendono di essere vagliati filosoficamente. [Ora si è aggiunto un assai notevole libro italiano: moravia S., Il tramonto dell’illuminismo, Laterza, Bari, 1968].
Se li giudichiamo nella connessione a Condorcet, acquista carattere simbolico il fatto che questi abbia iniziato la sua attività specificamente filosofica, con un’edizione di Pascal preceduta da un elogio che in realtà è il punto d’arrivo dell’anti-Pascal illuministico, cosicché Voltaire poté scriverne che si trattava dell’anti-Pascal, di un uomo di gran lunga superiore a Pascal, e D’Alembert di essere persuaso che il Pascal-Condorcet valeva molto di più del Pascal giansenista.
2. C’è un perfetto riscontro per un verso tra il fallimento della rivoluzione francese nella sua forma giacobina, cioè nella linea da Robespierre a Babeuf, e il sorgere dell’ideologismo e per l’altro tra il fallimento della rivoluzione marxista e il progressivo diffondersi del sociologismo negli ultimi quindici anni, particolarmente dalla destalinizzazione in poi, sino a che, oggi, il pensare in termini sociologistici è diventata la forma corrente e quasi naturale del pensiero.
Questo asserto cesserà di apparire strano se si consideri come il sociologismo di oggi si presenti come sostituzione della rivoluzione scientifica alla rivoluzione politica. In Rousseau come in Marx c’è l’idea della sostituzione della politica alla religione nella liberazione umana, onde l’elevazione nell’uno e nell’altro della politica a religione.
Il sociologismo vuol essere la sostituzione della forma scientifica alla forma metafisica del pensiero, e si affida assai più agli strumenti di diffusione culturale e alla pedagogia che alla rivoluzione politica. Per intendere il significato culturale degli ideologi bisogna perciò guardare assai più che alle loro scritture, alle istituzioni culturali da loro promosse, l’Istituto di Francia, pensato come l’enciclopedia vivente, e l’École polytechnique. Già nel 1798 il Destutt de Tracy aveva avanzato l’idea di una scuola politecnica “per le scienze morali e politiche” (cfr. gouhier, Comte, t. II, p. 42; Manie de Biran, p. 11).
Che altro vuol dir questo se non la sostituzione delle scienze del mondo umano, della sociologia alla metafisica, se anche il termine di sociologia non è ancora usato? E le scienze del mondo umano sono inserite in una scuola in cui la ricerca teorica è strettamente unita alla finalità pratica, in modo che al criterio della rivelazione delle verità eterne si sostituisce quello dell’utilità politica e sociale.
Queste origini di una rivoluzione fondata sulla scienza si sono ripercosse nell’apparire nella storia del pensiero francese di quel “cote des polytechniciens”, di cui Albert Thibaudet parlava un giorno a proposito di Comte e di Renouvier “rischiansi a creare una religione come si impara a scuola a fare un ponte o una strada”. (gouhier, Comte, I, p. 146). Linea di riformatori sociali che continua sino a Sorel, e oltre.
3. Gli ideologi rappresentano la difesa intransigente dell’essenza dell’Illuminismo, dopo la crisi del pensiero rivoluzionario; e altresì dopo quella crisi del pensiero illuministico che è rappresentata dal rousseauianismo, nei suoi due esiti, lo spirito giacobino e il romanticismo cattolico.
Dissociandosi esplicitamente da ogni metafisica, rappresentano oggi il punto preciso in cui il neoilluminismo può incontrarsi con l’illuminismo antico.
4. Nonostante il diverso linguaggio bisogna dire che soprattutto nel Tracy si trova già presente l’idea fondamentale del sociologismo di oggi, vale a dire la sostituzione della metafisica con la sociologia; con le scienze del mondo umano che dissolvono nelle loro origini mondane e terrestri le loro origini metafisiche. Si è davanti, cioè, a un materialismo di tipo nuovo: a un materialismo che, per essere coerente, cessa di presentarsi come materialismo metafisico. Che perciò può restare insensibile alla critica che, pur all’interno della riabilitazione illuministica della sua natura umana, compiva Rousseau della linea del materialismo illuministico da Diderot ad Holbach e, implicitamente, a Sade.
A questo punto dovrebbe essere considerata l’antitesi tra lo “spirito di Condorcet” e lo “spirito di Rousseau”. Se ci limitiamo qui all’antitesi fra l’ideologismo e la continuazione di Rousseau nel romanticismo cattolico, assume il suo giusto rilievo il Génie du Christianisme di Chateaubriand, opera che può venire giustamente apprezzata soltanto se si tiene presente che il suo avversario è il pensiero degli ideologi; e che essa deve essere vista come la risposta alle Ruines dell’ideologo Volney, fondate sull’idea degli effetti perniciosi della religione per la civiltà; e che in questo, come nell’idea della sterilità del pensiero degli ideologi per l’arte, ha il suo primo significato e il suo non indifferente valore.
Riguardo allo spirito antirousseauiano degli ideologi ha capitale importanza l’affermazione di Stendhal che in un passo del journal, scrive, nel 1804, che è stato Tracy colui che gli ha permesso di “dérousseauniser son jugement”, Notiamo che Stendhal vede in Tracy l’uomo che più ha ammirato per i suoi scritti, il solo che abbia fatto una rivoluzione in lui; egli è per lui il più grande dei filosofi francesi, o per dir meglio il solo filosofo che i Francesi abbiano.
La sua logica è un’opera sublime; c’è in lui più profondità che in Helvétius; egli anzi dispensa da tutti gli altri filosofi. Nello stesso journal in un passo del 1805, scrive che l’ideologia è lo studio che potrà dargli il talento dello Shakespeare. E con animo commosso ricorda l’incontro che ebbe con lui il 4 ottobre 1817, tra l’una e mezzo e le tre meno venti del pomeriggio.
Ma su questa suggestione o su questa sterilità artistica del pensiero degli ideologi, dovrebbe essere condotto un ampio discorso. Certamente si può parlare di influenza degli ideologi su Leopardi, su Manzoni, su Stendhal. E tuttavia Leopardi abbandonò l’ottimismo degli ideologi per il pessimismo, i Promessi Sposi (in cui l’influenza rosminiana mi sembra scarsissima) sono il libro della conversione dell’ideologo Manzoni, Stendhal abbandona l’umanitarismo degli ideologi per procedere verso l’egoismo e verso Nietzsche. Si può vedere in questi abbandoni una riconferma del giudizio di Chateubriand.
5. Posto questo, è opportuno distinguere nella maniera più rigorosa, gli ideologi nonché dai pensatori teocratici, De Maistre, De Bonald, ecc,, rispetto a cui si trovano in posizione rigorosamente opposta, dai teorici del liberalismo, da Constant a Tocqueville, ma anche dagli stessi sansimoniani e comtiani.
E ciò perché il comtismo ha accettato, pur rovesciandola, la critica maistriana e bonaldiana della rivoluzione francese.
Perché anzi alle origini della riflessione di Comte si trovano De Maistre e De Bonald (“L’immortale scuola retrograda – egli scrive nel Systeme de politique positive, III, p. 605 -, sotto la nobile presidenza di De Maistre, completata da De Bonald, di cui io mi ero appropriato sin dall’inizio tutti i princìpi essenziali che non sono oggi apprezzati che nella scuola positivista”); e se è vero che, secondo le sue indicazioni, è da Condorcet che deriva l’idea del progresso e della dinamica sociale, è anche vero che per lui è l’ordine che domina il progresso e la controrivoluzione che domina la rivoluzione; per cui si è potuto parlare del suo pensiero come di una restaurazione del cattolicesimo senza il cristianesimo, e si sa quanto successo abbia avuto questa posizione anche dal punto di vista politico; è curioso che il prolungamento politico del comtismo che abbia avuto maggiore eco sia stato l’Action française, mentre il radicalismo anticlericale del “partito degli Intellettuali” francesi si formò sulle idee del suo avversario Renouvier, che poi concluse in una sia pur molto eretica forma di “filosofia cristiana”.
Da ciò anche il carattere religioso che assume la sua sociologia come religione dell’umanità e il modello cercato nella teocrazia medievale, di cui la sociocrazia deve essere l’analogo moderno.
Questa appartenenza al clima della restaurazione fa sì che il comtismo è sostanzialmente romantico, mentre l’ideologismo è l’illuminismo separato da tutti gli aspetti che possono continuare nel romanticismo. Di conseguenza, Comte è colui che vede un periodo di dissoluzione nell’età che va dal protestantesimo alla rivoluzione francese, mentre l’assenza di qualsiasi richiamo al medioevo specifica il pensiero ideologico.
Ossia Comte è preoccupato della continuità col passato, e il suo pensiero si muove perciò all’interno della visione gioachimita laicizzata della filosofia della storia; per gli ideologi, invece, il passaggio alla mentalità scientifica annulla la forma di pensiero superstiziosa tipica del passato.
6. La considerazione della situazione storica degli ideologi, come illuminismo liberato da qualsiasi aspetto che possa continuare nel romanticismo, è decisiva per definire la natura dell’opposizione tra la continuazione della filosofia classica tedesca e la filosofia italiana del Risorgimento.
La filosofia tedesca incontra infatti, col marxismo, il materialismo settecentesco, ma è curioso osservare come Marx non si accorga affatto, in quell’importantissimo schizzo della storia del materialismo moderno che è contenuto nella Sacra Famiglia, della specificità della posizione degli ideologi. Scrive infatti Marx che “il materialismo meccanicista francese si collegò alla fisica di Cartesio in opposizione alla sua metafisica… questa scuola comincia col medico Leroy (Regius), attinge il suo apogeo col dottor Cabanis, ed è il dottor Lamettrie che ne è il centro…
Alla fine del XVIII secolo Cabanis portò l’ultima mano al materialismo cartesiano nella sua opera Sul rapporto tra il fisico e il morale dell’uomo“. Ove è da notare come Marx non si renda affatto conto della novità della posizione di Cabanis; in cui abbiamo un materialismo non più metafisico e le prime linee di quel che si dirà positivismo. Onde, anche, l’assoluta mancanza di previsione del positivismo da parte del marxismo e il suo continuo cedere rispetto al positivismo.
Il pensiero italiano del Risorgimento deve essere visto invece nella sua totale opposizione al pensiero degli ideologi. Ora, la mancata collocazione storica di questa forma di pensiero ha contribuito a far credere che il pensiero italiano del Risorgimento rappresenti, tutto sommato, un episodio provinciale.
Opinione che è destinata a cessare quando si consideri che il nuovo positivismo, oggi, è portato a connettersi con la mentalità degli ideologi nella misura in cui ripensa illuministicamente, liberandolo cioè dagli aspetti per cui è una romanticizzazione della scienza, il positivismo ottocentesco.
La consueta prospettiva storica sulla riduzione degli ideologi a meri continuatori del sensismo, è ricca di conseguenze perché porta al consueto giudizio: Kant aveva davanti in Hume “il genio dell’empirismo”; Rosmini, invece, avversari di molto minore rilievo quali Condillac e i sensisti. Perciò la filosofia italiana dell’epoca del Risorgimento ha rispetto alla filosofia tedesca un carattere di provincialità.
Da cui si passa al successivo: quel che c’è di valido in Rosmini è quel che Kant ha detto meglio ecc. E quando anche ci si vuole opporre all’immanentismo della filosofia classica tedesca, il ricorso deve essere a Schelling, ai prolungamenti dello schellinghismo, oggi a Heidegger ecc.
Attraverso Schelling, attraverso Heidegger non attraverso Rosmini parlerebbe ancora a noi, contro l’hybris del sociologismo, la voce della metafisica. Penso che l’esatta posizione degli ideologi potrebbe servire a modificare completamente questo giudizio.
Se i termini dell’antitesi filosofica sono oggi la concezione rivelativa e l’espressivistica del pensiero, la via per riaffermare la prima deve essere cercata nel pensiero italiano piuttosto che nel pensiero tedesco.
7. Tutta la tradizione del pensiero italiano è del resto diretta contro la tradizione del pensiero ideologico; e val la pena di sottolineare le origini del pensiero di Gentile, e l’estremamente significativo e importante primo capitolo del suo Rosmini e Gioberti del 1898.
Si presenta qui il problema del come negli ultimi vent’anni il sociologismo abbia potuto penetrare in Italia, in Italia assai più che in Francia, nonostante la completa estraneità alla tradizione del pensiero italiano; e questo finora mai trattato problema meriterebbe attenta considerazione.
Mi limiterò, ora, procedendo per accenni, a disegnare i primi tratti di una ricerca mirante ad accertare che il termine di ideologia nasce in un contesto per cui la vera rivoluzione è caratterizzata dalla sostituzione della conoscenza scientifica alla conoscenza metafisica; come conoscenza, la prima, che serve a unire gli uomini e permette la pace e il progresso della felicità umana, mentre la conoscenza metafisica non soltanto è sterile rispetto a tale accrescimento, ma altresì, per le controversie insolubili a cui da luogo, divide gli uomini e porta ai governi tirannici; nasce quindi già carico di tutti quei significati che il sociologismo posteriore metterà in luce.
Rapporto con la rivoluzione francese ben visibile dal fatto che gli ideologi vogliono esserne i teorici, anche se la loro influenza si è di fatto ristretta al periodo del Direttorio e ai primi anni del Consolato. I due nomi più noti in questa corrente sono il Cabanis e il Destutt de Tracy.
Appartiene il primo alla storia della medicina e alla storia della sociologia, cogliendo il vincolo tra le due discipline; è infatti tra gli iniziatori della medicina sociale e di quelle che oggi si dicono le ricerche sull’orientamento professionale.
Il carattere antimetafisico del suo pensiero è ben visibile nella sua opera principale, i Rapports du physique et du moral de l’Homme, che infatti vuol essere un’antropologia da cui sia rigorosamente messa da parte, ogni connessione con la metafisica. Il punto in cui si separa da Condillac è infatti quello in cui precisa che vuoi trattare dell’anima come di una “facoltà” e non di un “essere”, abbandonando come termini pressoché privi di senso quelli di teismo, ateismo, spiritualismo, materialismo.
Di fatto, però, questa psicofisiologia illustra il condizionamento degli stati mentali da parte degli stati corporei. Ora, è proprio per sancire questa separazione dalla metafisica, che Destutt de Tracy conia il termine di ideologia. Condillac aveva parlato di psicologia come scienza dell’anima, ma con ciò sembrava tendere a una conoscenza di questo essere come distinto dal corpo, facendo credere che la ricerca fosse ancora orientata verso le cause prime, non verso la conoscenza dei tatti psichici, delle loro connessioni e delle loro conseguenze pratiche.
La parola “ideologia” ha invece per Tracy questo merito: di non risvegliare alcuna idea di causa, di non volere risalire in alcun modo a una metafisica come considerazione della natura degli esseri, dei diversi ordini di realtà, della loro causa prima. Se noi guardiamo quel che di fatto sono gli elementi di ideologia, vi troviamo queste tesi essenziali; che la metafisica, cioè la disciplina che ha per oggetto di determinare il principio e il fine di tutte le cose, rientra nelle arti di immaginazione, che possono soddisfarci ma non istruirci.
La sensibilità e la memoria sono risultati di un’organizzazione che è impenetrabile per noi. Noi ignoriamo la natura del movimento operato nei nervi e seguito da una percezione. L’unica cosa utile è di studiare quel che è, come si presenta di fatto, per conoscerlo e trarre da questa conoscenza i vantaggi pratici. Sotto questo rapporto egli può dire che l’ideologia è per lui una parte della zoologia e che il suo studio consiste interamente in osservazioni e che non v’è nulla in esso di più misterioso o di più nebuloso che nelle altre parti della storia naturale.
Si tratta di operare anche a proposito delle idee, quel passaggio dalla ricerca delle cause a quella delle leggi, che ha caratterizzato la nuova scienza. Il riassunto della sua veduta complessiva può forse essere espresso nei termini che troviamo in una pagina dello Zibaldone di Leopardi, che, come è noto, fu fortemente influenzato dal pensiero degli ideologi: “Io veggo dei corpi che pensano e che sentono.
Dico dei corpi; cioè uomini ed animali; che io non veggo, non sento, non so ne posso sapere che siano altro che corpi. Dunque dirò: la materia può pensare e sentire; pensa e sente — Signor no; anzi voi direte: la materia non può, in nessun modo mai, né pensare, né sentire. — Oh, perché — Perché noi non intendiamo come lo faccia. — Bellissima: intendiamo noi come attiri i corpi, come faccia quei mirabili effetti della elettricità, come l’aria faccia il suono? Anzi, intendiamo forse punto che cosa sia la forza di attrazione, di gravita, di elasticità; che cosa sia elettricità; che cosa sia la forza della materia?
E se non l’intendiamo, né potremo intenderlo mai, neghiamo noi per questo che la materia non sia capace di queste cose, quando noi vediamo che lo è? — Provatemi che la materia possa pensare e sentire. — Che ho io da provarlo? Il fatto lo prova.
Noi veggiamo dei corpi che pensano e sentono; e voi, che siete un corpo, pensate e sentite”. Ci troviamo cioè a questo punto davanti a un singolarissimo rovesciamento dell’occasionalismo completamente separato dall’ontologismo: dall’inadeguazione della causa all’effetto si ricava che noi dobbiamo stare puramente ai fatti senza risalire al perché.
Che la materia pensi o senta è certo un fatto misterioso: ma non più misterioso di quello che la materia attragga, che la materia sia elastica, che la materia sia sede di fenomeni elettrici. Sotto questo rapporto possiamo dire che negli ideologi troviamo il positivismo allo stato puro, prima del ripensamento in termini di filosofia della storia che ne ha fatto Comte. Già Brunschvicg e poi Gouhier hanno messo in risalto la funzione dell’occasionalismo nella formazione del positivismo, sotto l’aspetto per cui esso è sostituzione dell’idea di legge all’idea di causa (Cfr. L. Brunschvicg, L’espèrience humaine et la causalité physique, I parte, libro I, cap I e § 114, Alcan , Paris; Gouhier, Comte, t. III, Introduzione e Maine de Biran, pp. 133-184).
Ci si accorge facilmente che la socianalisi delle ideologie non è che la replica per la società di questa posizione. Che cosa significa infatti il termine espressione nella tesi che l’ideologia è l’espressione della situazione storico-sociale di un gruppo?
Nient’altro che l’allargamento di questo materialismo nel passaggio da una concezione atomistica a una concezione sociale per cui l’individuo reale è immerso in una situazione di vita associata. Ma, ancora, cerchiamo di fissare meglio il carattere materialistico del pensiero del Tracy.
Può sembrare a prima vista che il programma dell’ideologia abbia un carattere quasi fenomenologico: analisi delle idee e decomposizione del pensiero nei suoi elementi primi, indipendentemente da ogni riferimento alla realtà.
Presto però ci si accorge che non è così: per il Tracy si tratta di oltrepassare il coscienzialismo condillachiano attraverso la considerazione dell’idea di esteriorità. Come riferiamo le sensazioni, date a noi quali pure modificazioni della coscienza, a realtà esterne, questo è il problema.
Per il Tracy, a differenza che per Condillac, non è il puro tatto, ma la facoltà di muoversi e la coscienza del movimento, che ci mostra i corpi come causa delle nostre sensazioni: e questa facoltà della mobilità è il solo legame tra l’io e il resto degli esseri. Sotto questo riguardo ha particolarissima importanza la sua dissertazione sulla nozione di esistenza e le ipotesi di Malebranche e di Barkeley (1800).
Tracy accetta da Berkeley il nominalismo e respinge l’immaterialismo. Non esiste un essere che si possa chiamare materia; parlare di materia come una realtà unica è ipostatizzare un’astrazione.
Esistono soltanto dei corpi individuali. Ma respinge invece l’immaterialismo, perché senza la realtà del mio corpo non avrei neppure l’idea della realtà esterna. Posso affermare l’esistenza di qualcosa, solo in quanto questo qualcosa resiste ai miei movimenti volontari. Posso riconoscere che una cosa è, soltanto per il fatto che mi resiste e da questo fatto primitivo passo alle altre idee.
Un corpo mi resiste in una maniera continua, ecco la genesi dell’idea di estensione; seguendo una certa direzione, ecco la genesi delle idee della figura e del movimento, È vero che siamo con ciò sulla linea del problema di Biran, che fu appunto allievo di Tracy. E tuttavia la tesi di Biran è il completo rovesciamento di quella di Tracy, in una forma che questi menomamente non prevedeva.
L’accento cade per lui sul termine movimento, anziché su quello volontà. Cosicché dalla tesi che esistere è resistere, ricava l’idea che le nostre sensazioni sono il risultato dell’urto di esseri corporei, contro gli organi di senso che sono altresì esseri corporei.
Cioè la conoscenza non è che un caso particolare del rapporto esterno tra due oggetti, dell’azione di una cosa sopra l’altra; e quel che il soggetto conosce è la “modificazione” prodotta in lui dall’oggetto, modificazione che è la rappresentazione dell’oggetto.
È perciò che l’ideologia come analisi e decomposizione delle idee appare a lui, anche se non si esprime esattamente in questi termini, come demitizzazione delle idee elevate, e necessariamente connessa con la democrazia intesa, anch’essa in questo senso; il che risulta soprattutto dal Commentaire sur Montesquieu che ebbe grande influenza su Jefferson, influenza che è un momento decisivo della penetrazione in America delle idee illuministiche.
Se scorriamo i frammenti delle ricerche sulla morale condotte dal Tracy tra il 1812 e il 1817, noi possiamo già vedere come nel corso di questa sostituzione dell’ideologia alla metafisica, si generi la nozione di benessere.
Già si delineava allora la critica spiritualistica e si rivolgeva agli ideologi l’obiezione che una scienza dell’uomo ridotta allo studio del meccanismo psicofisiologico è moralmente distruttiva perché nella sua prospettiva l’umanità appare come dominata da una necessità invincibile, e perciò privata del merito e del demerito degli atti. Tracy risponde a questa critica col dire che la scienza è per sé assolutamente estranea a ogni giudizio valutativo, e non può quindi essere qualificata, né come morale, né come non morale.
È soltanto valutabile per i suoi effetti in quanto offre strumenti di progresso tecnico. In questo senso, a differenza della religione, deve essere giudicata virtuosa, in quanto tende al bene dell’umanità. Ma questo bene, una volta che venga abolita ogni definizione metafisica della moralità, non può altro essere che il benessere.
L’ideologismo si incontra così con l’utilitarismo, e col problema della convenienza tra il benessere individuale e il benessere generale, tema che dal sociologismo non è mai abbandonato. Un’ulteriore ricerca dovrebbe riguardare la sua interpretazione di Kant. Per filologicamente inadeguata che possa apparire, contiene però un’indicazione che non dovrebbe essere trascurata.
Essa infatti si inserisce all’inizio della linea che attraverso l’abbandono della Critica della Ragion Pratica e del Kant metafisico giunge coerentemente a un’interpretazione materialistica del kantismo; linea che è stata sostenuta anche di recente (Cfr. l’interessante e assai più importante di quel che generalmente si pensi, libro di G. Rensi, Il materialismo critico. Roma, 1934).