All’ombra della croce uncinata

nazismo-comunismotratto da Tempi, anno VIII,
14 marzo 2002, n. 11.

Hitler e Stalin erano amici per la pelle. Degli altri. Costa-Gravas se lo scorda e firma l’ennesima bugia su Pio XII. Il vero manifesto Toscani, 1a puntata.

di Marco Respinti

Per ribadire le dimostratamente false accuse di complicità nella Shoà rivolte a Papa Pio XII, la locandina ufficiale dell’imminente film Amen di Constantin Costa-Gravas sfoggia nientepopodimeno che una croce cristiana disinvoltamente mutantesi in svastica. E mentre la Chiesa cattolica si è affrettata a telefonare ai propri legali, il ministro della Cultura e della Comunicazione francese ha subito dato il placet: ironia della sorte, la “ministra” è Christine Tasca.

Ovvero la figlia di Angelo Tasca (1892-1960) che, già membro del Partito Comunista Italiano da cui fu espulso nel 1929 per forti contrasti con Antonio Gramsci, fece carriera in Francia diventando ministro dell’Informazione del regime di Vichy e teorico della social-fascistica politica della “terza via” (il suo cavallo di battaglia fu la raccolta di conferenze dell’aprile del 1943 Le role de l’état, ancora inedita ma data per presente presso gli archivi della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli di Milano).

A parte il fatto che per Amen si potrebbe invocare la Legge Mancino contro l’incitamento all’odio razziale, etnico e religioso, pochissimi ricordano una ricorrente espressione del poeta e scrittore francese Robert Brasillach, fucilato nel 1945 come “collaborazionista” del Reich: «Il fascismo immenso e rosso». Quella che per Tasca e Brasillach era una visione e un augurio, per il nazionalsocialismo tedesco e per il socialcomunismo sovietico è stata una storia di alleanze e di connivenze assassine.

In Nazionalsocialismo e bolscevismo. La guerra civile europea 1917-1945 Ernst Nolte sottolinea così quella notte fra 23 e 24 agosto 1939 in cui i ministri degli Esteri dei due grandi totalitarismi del Novecento siglarono il famoso trattato di non aggressione che appunto da loro prende nome: «Molotov levò il suo bicchiere alla salute di Stalin, rilevando che era stato Stalin a preparare la svolta dei rapporti politici col suo discorso del 10 marzo, e Stalin stesso propose “spontaneamente” (secondo il testo del protocollo tedesco) di bere alla salute di Adolf Hitler con le parole: “Io so quanto il popolo tedesco ami il suo Führer; perciò vorrei bere alla sua salute”». Certo, ricorda Nolte, «questo patto mise a dura prova […] la lealtà fino ad allora così salda di molti comunisti dell’Occidente», così come «alcuni nazionalsocialisti convinti e di antica fede furono gravemente sconcertati dal patto», ma altrettanto certamente «Hitler […] aveva perduto definitivamente la propria credibilità come alfiere della causa anticomunista».

Hitler e Stalin si sono “allegramente” copiati nel fare dell’eccidio di massa un “normale” strumento di attività politica, solo che poi l’Urss, vincendo la guerra dalla parte giusta, è riuscita a “redimersi”. Se si dovesse isolare un solo contributo storiografico di Nolte, esso sarebbe quell’instancabile e caratteristico richiamo a scrivere e a dire sempre “nazionalsocialismo” e mai meramente “nazismo”.

Il regime hitleriano fu infatti la nazionalizzazione del bolscevismo internazionalista predicato e praticato in Urss da Stalin. Un litigio in casa, insomma: un alterco fra interpretazioni diverse della medesima ideologia dello Stato-tutto, costato la vita a milioni di persone. A Roma, intanto, Pio XII cercava di limitare i danni nel migliore dei modi possibile, e con grande successo. Forse, lasciando stare il patibolo di Cristo, un buon cineasta potrebbe una volta tanto cimentarsi con una pellicola sublime: quella della sublimazione della falce e del martello in svastica, e viceversa. Sarebbe più interessante, ma soprattutto più serio.

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tratto da Tempi, anno VIII, 23 marzo 2002, n. 12.

Hitler come Stalin

2a puntata

Divisasi l’Europa, hanno litigato. E i popoli hanno pagato, soprattutto i cattolici. Toscani e Costa-Gavras lo tacciono. L’altra faccia della medaglia,

Marco Respinti

Adolf Hitler invade la Polonia il 1° settembre del 1939 sotto gli occhi compiaciuti di Stalin. L'”Operazione Barbarossa”, con cui Berlino invade l’Urss il 22 giugno 1941, segna poi la fine dell’idillio hitleriano-staliniano, ma è solo uno specchietto per le allodole. Reich e bolscevichi sono simili per più di un tratto – ideologico, economico e politico – ed è solo per sete di potere che il Führer invade l’alleato: una brama identica a quella che cova nel cuore del Vozd sovietico, pronto anch’egli a invadere i tedeschi.

Una gara, insomma, a chi arriva prima: Hitler batte Stalin in volata, ma poi è il secondo a ridere per ultimo. La bandiera sovietica sventolante sul Reichstag prima che qualsiasi altro esercito occidentale abbia messo piede nella capitale tedesca nel 1945 è solo il paradossale esito di un’antica simbiosi.

Heil Stalin!

Basterebbe del resto leggere il librone Stalin, Hitler. La rivoluzione bolscevica mondiale (Spirali, Milano 2001, prefazione di Vladimir Buskovskij) di Vladimir Bogdanovic Rezun, alias Viktor Suvorov, ex agente a Ginevra del GRU, i servizi segreti militari sovietici.

Dice Suvorov (a Tempi, che lo intervistò sul n. 47 del 2000): «Stalin “coltiva” Hitler addirittura dagli anni Venti e Trenta. Perché, se no, i tank tedeschi venivano costruiti a Leningrado? E i chimici che hanno fabbricato lo “Zyklon B”, il micidiale gas tossico usato nei campi di sterminio tedeschi, educati in URSS? O i quadri della Wehrmacht addestrati a Saratov? Quando gli hitleriani restano senza carburante sulla strada verso la Francia, è Stalin il benzinaio. E l’assedio di Varsavia è solo uno spartimento fra URSS e Reich […]. Nelle elezioni tedesche del 1932, quando l’unione fra comunisti e socialdemocratici potrebbe battere Hitler, sostanzialmente Stalin ordina ai comunisti tedeschi di appoggiare i nazisti». Potrebbe addirittura diventare un bel copione cinematografico.

«I tedeschi usano gli stessi mezzi dei sovietici». Amen

Quando Hitler invase la Polonia, Stalin stava a guardare. E similmente stavano a guardare le democrazie occidentali, paralizzate sin dai tempi dello sciagurato Patto di Monaco.

Di quel fatto Thomas S. Eliot ha scritto: «Credo vi siano molte persone che, al pari mio, sono state scosse dagli eventi del settembre 1938 in modo tanto profondo da non riuscire a porvi rimedio […]. Non si è trattato, ripeto, di una critica al governo [britannico], ma di un dubbio sulla validità di un’intera civiltà».

Quando, il 21 dicembre 1939, il primate polacco cardinale August Hlond gli fa pervenire un rapporto sui primi quattro mesi di occupazione tedesca, Papa Pio XI dà subito mandato a monsignor Giovanni Battista Montini, inviato a Varsavia come addetto alla Nunziatura – poi Papa Paolo VI, ingiustamente etichettato come “progressista” -, affinché venga preparato un radiomessaggio di denuncia della politica nazionalsocialista.

Diffuso il 21 gennaio successivo, fra l’altro, afferma: «Le condizioni della vita religiosa, politica, economica hanno gettato il nobile popolo polacco in uno stato di terrore, di abbruttimento e di barbarie molto simile a quello che fu imposto alla Spagna dai comunisti nel 1936. […] I tedeschi usano gli stessi mezzi dei sovietici».

Oliviero Toscani, che ha realizzato la locandina del film Amen di Costantin Costa-Gavras in cui la Croce cristiana si mescola alla svastica, non ha studiato questo pezzo fondamentale di storia europea.