Amare il mondo appassionatamente

EscrivàIn questo momento particolarmente delicato per il futuro della nostra nazione e per la Chiesa, dove tra la maggior parte dei cattolici sembra prevalere una scelta religiosa (autoreclusione nelle sagrestie e imbarazzato silenzio nell’agone politico e sociale), proponiamo questo bell’intervento del fondatore dell’Opus Dei
dal sito dell’Opus Dei 

 

In questa omelia il santo fondatore dell’Opus Dei riassume lo spirito da lui diffuso fin dal 1928 (‘Colloqui con Mons. Escrivá’, Edizioni Ares, 1982, n. 113 e ss.). [Omelia pronunciata nel campus dell’Università di Navarra, l’8-X-1967]

 

San Josemaría Escrivà

Avete or ora ascoltato la lettura solenne dei due brani della Sacra Scrittura corrispondenti alla Messa della domenica XXI dopo Pentecoste. Il fatto di aver ascoltato la parola di Dio vi colloca di già nell’ambito in cui vogliono situarsi le parole che ora vi rivolgo: parole di sacerdote, pronunciate di fronte a una grande famiglia di figli di Dio nella sua Santa Chiesa. Parole, quindi, che vogliono essere soprannaturali, e proclamare la grandezza di Dio e le sue misericordie verso gli uomini: parole che vi preparino a questa impressionante Eucaristia che oggi celebriamo nel “campus” dell’Università di Navarra.

Considerate un momento la circostanza cui accennavo. Celebriamo la Sacra Eucaristia, il sacrificio sacramentale del Corpo e del Sangue del Signore, il mistero di fede che riassume in sé tutti i misteri del cristianesimo. Celebriamo, pertanto, l’azione più sacra e trascendente che noi uomini possiamo realizzare, per grazia di Dio, in questa vita: unirci in comunione con il Corpo e il Sangue del Signore, viene ad essere per noi, in un certo senso, come scioglierci dai legami di terra e di tempo per trovarci di già con Dio nel Cielo, là dove Cristo stesso asciugherà le lacrime dei nostri occhi e dove non ci sarà morte, né pianto, né gemiti di fatica, perché il mondo vecchio sarà ormai passato

Questa verità così consolante e profonda, questo significato escatologico dell’Eucaristia, come usano dire i teologi potrebbe però essere frainteso: e lo è stato ogniqualvolta si è voluto presentare la vita cristiana come qualcosa di esclusivamente “spirituale” – spiritualista, voglio dire -, riservato a gente “pura”, eccezionale, che non si mescola alle cose spregevoli di questo mondo, o tutt’al più le tollera come una cosa a cui lo spirito è necessariamente giustapposto, finché viviamo sulla terra.

Quando si ha questa visione delle cose, il tempio diventa il luogo per antonomasia della vita cristiana; essere cristiano vuol dire allora andare nel tempio, partecipare alle cerimonie sacre, abbarbicarsi a una sociologia ecclesiastica, in una specie di “mondo” a parte, che si spaccia per l’anticamera del Cielo, mentre il mondo comune va per la sua strada. La dottrina del cristianesimo, la vita della grazia, passerebbero dunque, appena sfiorando l’agitato procedere della storia umana, senza entrare in contatto con esso.

In questa mattina di ottobre, nel momento in cui ci disponiamo ad addentrarci nel memoriale della Pasqua del Signore, rispondiamo con un semplice no a questa visione distorta del cristianesimo. Pensate un momento alla cornice della nostra Eucaristia, della nostra Azione di Grazie: ci troviamo in un tempio singolare; si potrebbe dire che la navata è il “campus” universitario, la pala d’altare è la biblioteca dell’Università; attorno ci sono le gru per la costruzione dei nuovi edifici; e, sopra di noi, il cielo di Navarra…

Non è forse vero che questo sguardo a ciò che abbiamo intorno vi conferma – con un’immagine viva e indimenticabile – che è la vita ordinaria il vero “luogo” della vostra esistenza cristiana? Figli miei, lì dove sono gli uomini vostri fratelli, lì dove sono le vostre aspirazioni, il vostro lavoro, lì dove si riversa il vostro amore, quello è il posto del vostro quotidiano incontro con Cristo. È in mezzo alle cose più materiali della terra che ci dobbiamo santificare, servendo Dio e tutti gli uomini.

Ho insegnato incessantemente, con parole della Sacra Scrittura, che il mondo non è cattivo: perché è uscito dalle mani di Dio, perché è creatura sua, perché Jahvè lo guardò e vide che era buono. Siamo noi uomini a renderlo cattivo e brutto, con i nostri peccati e le nostre infedeltà. Siatene pur certi, figli miei: qualsiasi specie di evasione dalle realtà oneste di tutti i giorni significa per voi uomini e donne del mondo, il contrario della volontà di Dio.

Dovete invece comprendere adesso – con una luce tutta nuova – che Dio vi chiama per servirlo “nei” compiti e “attraverso” i compiti civili, materiali, temporali della vita umana: in un laboratorio, nella sala operatoria di un ospedale, in caserma, dalla cattedra di un’università, in fabbrica, in officina, sui campi, nel focolare domestico e in tutto lo sconfinato panorama del lavoro, Dio ci aspetta ogni giorno. Sappiatelo bene: c’è “un qualcosa” di santo, di divino, nascosto nelle situazioni più comuni, qualcosa che tocca a ognuno di voi scoprire.

A quegli universitari e a quegli operai che mi seguivano verso gli anni trenta, io solevo dire che dovevano saper “materializzare” la vita spirituale. Volevo allontanarli in questo modo dalla tentazione – così frequente allora, e anche oggi – di condurre una specie di doppia vita: da una parte, la vita interiore, la vita di relazione con Dio; dall’altra, come una cosa diversa e separata, la vita famigliare, professionale e sociale, fatta tutta di piccole realtà terrene.

No, figli miei! Non ci può essere una doppia vita, non possiamo essere come degli schizofrenici, se vogliamo essere cristiani: vi è una sola vita, fatta di carne e di spirito, ed è questa che dev’essere – nell’anima e nel corpo – santa e piena di Dio: questo Dio invisibile lo troviamo nelle cose più visibili e materiali.

Non vi è altra strada, figli miei: o sappiamo trovare il Signore nella nostra vita ordinaria, o non lo troveremo mai. Per questo vi posso dire che la nostra epoca ha bisogno di restituire alla materia e alle situazioni che sembrano più comuni, il loro nobile senso originario, metterle al servizio del Regno di Dio, spiritualizzarle, facendone mezzo e occasione del nostro incontro continuo con Gesù Cristo.

Il senso cristiano autentico – che professa la risurrezione della carne – si è sempre opposto, come è logico, alla “disincarnazione”, senza tema di essere tacciato di materialismo. È consentito, pertanto, parlare di un “materialismo cristiano”, che si oppone audacemente ai materialismi chiusi allo spirito.

Che cosa sono i sacramenti – orme dell’Incarnazione del Verbo, come dissero gli antichi – se non la manifestazione più evidente di questa strada che Dio ha scelto per santificarci e condurci al Cielo? Non vedete che ogni sacramento è l’amore di Dio, con tutta la sua forza creatrice e redentrice, che si dona a noi servendosi di mezzi materiali? Che cos’è questa Eucaristia – ormai imminente – se non il Corpo e il Sangue adorabili del nostro Redentore, che si offre a noi attraverso l’umile materia di questo mondo – vino e pane -, attraverso gli “elementi della natura, coltivati dall’uomo”, come l’ultimo Concilio ecumenico ha voluto ricordare?

Si comprende bene, figli miei, perché l’apostolo poteva scrivere: «Tutte le cose sono vostre, voi siete di Cristo e Cristo è di Dio». Si tratta di un moto ascensionale che lo Spirito Santo, diffuso nei nostri cuori, vuole provocare nel mondo: dalla terra, fino alla gloria del Signore. E perché non ci fosse dubbio che in questo moto si includeva pure ciò che sembra più prosaico, san Paolo scriveva anche: «Sia che mangiate, sia che beviate, fate tutto per la gloria di Dio».

Questa dottrina della Sacra Scrittura, che si trova, come sapete, nel cuore stesso della spiritualità dell’Opus Dei, vi deve spingere a realizzare il vostro lavoro con perfezione, ad amare Dio e gli uomini facendo con amore le piccole cose della vostra giornata abituale, scoprendo quel “qualcosa di divino” che è nascosto nei particolari. Vengono a pennello, a questo proposito, i versi del poeta di Castiglia: «Pian pianino, con bella grafia: / ché fare le cose bene / vale più che farle».

Vi assicuro, figli miei, che quando un cristiano compie con amore le attività quotidiane meno trascendenti, in esse trabocca la trascendenza di Dio. Per questo vi ho ripetuto, con ostinata insistenza, che la vocazione cristiana consiste nel trasformare in endecasillabi la prosa quotidiana. Il cielo e la terra, figli miei, sembra che si uniscano laggiù, sulla linea dell’orizzonte. E invece no, è nei vostri cuori che si fondono davvero, quando vivete santamente la vita ordinaria…

Vivere santamente la vita ordinaria, vi ho detto. E con queste parole mi riferisco a tutto il programma del vostro agire cristiano. Mettete dunque da parte i sogni, i falsi idealismi, le fantasticherie, tutto quell’atteggiamento che sono solito chiamare “mistica del magari” – magari non mi fossi sposato, magari non avessi questa professione, magari avessi più salute, magari fossi giovane, magari fossi vecchio!… -, e attenetevi piuttosto, con sobrietà, alla realtà più materiale e immediata, perché è proprio lì che si trova il Signore: «Guardate le mie mani e i miei piedi – dice Gesù risuscitato -, sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che ho io».

Sono molti gli aspetti dell’ambiente secolare in cui vi muovete, che vengono a essere illuminati partendo da queste verità. Pensate, per esempio, alla vostra azione di cittadini nella vita civile. Un uomo consapevole che il mondo – e non solo il tempio – è il luogo del suo incontro con Cristo, ama questo mondo, si sforza di raggiungere una buona preparazione intellettuale e professionale, e va formando – in piena libertà – il proprio criterio sui problemi dell’ambiente in cui opera; e di conseguenza prende le sue decisioni che, essendo decisioni di un cristiano, sono anche frutto di una riflessione personale, umilmente intesa a cogliere la Volontà di Dio in questi particolari piccoli e grandi della vita.

Ma a questo cristiano non viene mai in mente di credere o di dire che lui scende dal tempio al mondo per rappresentare la Chiesa, e che le sue scelte sono “le soluzioni cattoliche” di quei problemi. Questo non va, figli miei! Un atteggiamento del genere sarebbe clericalismo, “cattolicesimo ufficiale” o come volete chiamarlo. In ogni caso, vuol dire violentare la natura delle cose. Dovete diffondere dappertutto una vera “mentalità laicale”, che deve condurre a tre conclusioni:

– a essere sufficientemente onesti da addossarsi personalmente il peso delle proprie responsabilità;

– a essere sufficientemente cristiani da rispettare i fratelli nella fede che propongono – nelle materie opinabili – soluzioni diverse da quel le che sostiene ciascuno di noi;

– e a essere sufficientemente cattolici da non servirsi della Chiesa, nostra Madre, immischiandola in partigianerie umane.

È evidente che, in questo terreno, come in tutti, voi non potreste realizzare questo programma di vivere santamente la vita ordinaria, se non fruiste di tutta la libertà che vi viene riconosciuta sia dalla Chiesa che dalla vostra dignità di uomini e di donne creati a immagine di Dio. La libertà personale è essenziale nella vita cristiana. Ma non dimenticate, figli miei, che io parlo sempre di una libertà responsabile.

Interpretate quindi le mie parole per quello che sono: un appello all’esercizio – tutti i giorni! e non solo nelle situazioni di emergenza – dei vostri diritti; e all’esemplare compimento dei vostri doveri di cittadini – nella vita politica, nella vita economica, nella vita universitaria, nella vita professionale – addossandovi coraggiosamente tutte le conseguenze delle vostre libere decisioni, assumendo la responsabilità dell’indipendenza personale che vi spetta.

E questa cristiana “mentalità laicale” vi consentirà di evitare ogni intolleranza e ogni fanatismo, ossia – per dirlo in modo positivo – vi farà convivere in pace con tutti i vostri concittadini e favorire anche la convivenza nei diversi ordini della vita sociale.

So che non c’è bisogno che vi ricordi quello che sto ripetendo da tanti anni. Questa dottrina di libertà civile, di convivenza e di comprensione, è un elemento di primissimo piano nel messaggio che l’Opus Dei diffonde. C’è bisogno che ribadisca ancora una volta che gli uomini e le donne che vogliono servire Cristo Gesù nell’Opera di Dio sono semplicemente dei “cittadini uguali agli altri” che si sforzano di vivere con responsabilità seria – fino alle ultime conclusioni – la loro vocazione cristiana?

Non c’è nulla che distingua i miei figli dagli altri membri della società civile. Invece non hanno nulla in comune con i membri delle congregazioni religiose, salvo la fede. Io amo i religiosi e venero e ammiro le loro clausure, le loro attività apostoliche, la loro separazione dal mondo – il “contemptus mundi” – che sono altri segni di santità nella Chiesa. Ma il Signore non mi ha dato una vocazione religiosa, e il desiderarla per me sarebbe un disordine. Nessuna autorità sulla terra mi potrà obbligare a essere un religioso, come nessuna autorità può costringermi a contrarre matrimonio. Sono un sacerdote secolare: un sacerdote di Cristo Gesù che ama appassionatamente il mondo.

Coloro che – assieme a me, povero peccatore – hanno seguito Gesù Cristo, sono: una piccola percentuale di sacerdoti, che hanno esercitato in precedenza una professione o un mestiere laicale; un gran numero di sacerdoti secolari di molte diocesi del mondo – che in tal modo rinsaldano la loro obbedienza e il loro amore ai rispettivi Vescovi, e l’efficacia del loro lavoro diocesano -, sempre con le braccia aperte in croce per fare in modo che tutte le anime trovino posto nel loro cuore, e che stanno come me nel bel mezzo della strada, nel mondo, e lo amano; e la grande folla di uomini e di donne – di nazioni diverse, di lingue diverse, di razze diverse – che vivono del loro lavoro professionale, sposati la maggior parte, celibi parecchi altri, che partecipano assieme ai loro concittadini al grave compito di rendere più umana e più giusta la società temporale; nella nobile lotta degli impegni quotidiani, con personale responsabilità – ripeto -, assaporando assieme agli altri uomini, gomito a gomito, successi e insuccessi, sforzandosi di compiere i loro doveri e di esercitare i loro diritti sociali e civili.

E tutto questo con naturalezza, come un qualsiasi cristiano consapevole, senza mentalità di gente eletta, fusi nella massa dei loro colleghi, mentre si impegnano a scoprire gli splendori divini riverberati nelle realtà più banali.

Anche le opere che l’Opus Dei promuove come istituzione, hanno caratteristiche eminentemente secolari: non sono opere ecclesiastiche. Non sono rivestite di nessuna rappresentanza ufficiale della sacra Gerarchia della Chiesa. Sono opere di promozione umana, culturale, sociale, realizzate da cittadini che si impegnano a illuminarle con le luci del Vangelo e a riscaldarle con l’amore di Cristo. Un dato vi aiuterà a comprenderlo: l’Opus Dei non ha né avrà mai come missione, per esempio, quella di dirigere dei seminari diocesani, nei quali i Vescovi, “istituiti dallo Spirito Santo”, preparano i futuri sacerdoti.

L’Opus Dei promuove invece centri di qualificazione per operai, di formazione professionale per contadini, di istruzione elementare, media e universitaria, e tante e così diverse attività ancora, in tutto il mondo, perché il suo slancio apostolico – come ebbi a scrivere molti anni or sono – è un mare senza sponde. Ma perché dilungarmi su questo argomento, quando la vostra stessa presenza qui è più eloquente di un lungo discorso?

Voi, Amici dell’Università di Navarra, siete parte di un popolo che è consapevole di essere impegnato nel progresso della società cui appartiene. Il vostro cordiale incoraggiamento, la vostra preghiera, il vostro sacrificio e i vostri contributi non scorrono attraverso i canali del confessionalismo cattolico; nel dare la vostra cooperazione, voi siete una chiara testimonianza di retta coscienza civica, sollecita del bene comune temporale; e date prova che una università può scaturire dalle energie del popolo ed essere sostenuta dal popolo.

Una volta ancora, in questa occasione, desidero manifestare la mia riconoscenza per la collaborazione che prestano alla nostra Università la mia nobilissima città di Pamplona, la grande e forte regione navarrese, gli amici provenienti da ogni parte della Spagna e infine – lo dico con particolare commozione – i non spagnoli e anche i non cattolici e i non cristiani, che hanno compreso, e ne danno prova con i fatti, l’intenzione e lo spirito di questa impresa.

Tutti hanno contribuito a far sì che l’Università sia un faro, sempre più luminoso, di libertà civile, di preparazione intellettuale, di emulazione professionale, e un fattore di stimolo per tutta l’istruzione universitaria. Il vostro generoso sacrificio è il supporto di quest’opera universale, tutta tesa allo sviluppo delle scienze umane, alla promozione sociale, alla pedagogia della fede.

Ciò che vi ho appena detto è stato ben compreso dal popolo di Navarra, che riconosce pure nella sua Università quel fattore di promozione economica per la regione, e soprattutto di promozione sociale, che ha consentito a tanti dei suoi figli un accesso alle professioni intellettuali altrimenti arduo se non addirittura impossibile.

È stato indubbiamente l’aver capito il ruolo dell’Università nella vita stessa della regione a spingere la Navarra ad appoggiarla fin dagli inizi: appoggio destinato senz’altro a diventare ogni giorno più vasto ed entusiasta. Io continuo a nutrire la speranza che arriverà il momento – perché risponde a criteri di giustizia e alla realtà vigente in tante nazioni – in cui lo Stato spagnolo contribuirà, per quanto lo concerne, ad alleggerire l’onere di un’attività che non persegue alcun genere di profitto privato, ma è invece totalmente votata al servizio della società ed a operare efficacemente per la prosperità attuale e futura della nazione.

E adesso, figlie e figli miei, permettetemi di soffermarmi su di un altro aspetto – particolarmente toccante – della vita di tutti i giorni. Mi riferisco all’amore umano, l’amore autentico e puro fra un uomo e una donna, il fidanzamento, il matrimonio. Mi preme di dire una volta ancora che questo santo amore umano non è qualcosa di semplicemente consentito o tollerato, accanto alle vere attività dello spirito, come potrebbe sottintendersi in quei falsi spiritualismi cui alludevo dianzi. Sono quarant’anni che sto predicando a viva voce e per iscritto tutto il contrario, e finalmente cominciano a comprenderlo quelli che non lo capivano.

L’amore che conduce al matrimonio e alla famiglia può essere anch’esso un cammino divino, vocazionale, meraviglioso, una strada per la completa dedicazione al nostro Dio. Fate le cose con perfezione, vi ricordavo, mettete amore nelle piccole attività della giornata, scoprite – insisto ancora – quel “qualcosa di divino” nascosto nei particolari: tutta questa dottrina ha speciale applicazione nello spazio vitale in cui si muove l’amore umano.

Lo sapete bene, professori, alunni e tutti voi che dedicate la vostra opera all’Università di Navarra: io ho affidato i vostri affetti più cari a Santa Maria, Madre del Bell’Amore. L’edicola con la sua statua, l’avete qui: l’abbiamo costruita con devozione, in mezzo al “campus” universitario, perché accolga le vostre preghiere e l’offerta di questo meraviglioso e puro amore, che Lei benedice.

«Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che avete ricevuto da Dio, e che non appartenete quindi a voi stessi?». Quante volte, davanti alla statua della Vergine Santa, Madre del Bell’Amore, voi risponderete con un’affermazione gioiosa a questa domanda dell’Apostolo! Si – direte -, lo sappiamo, Vergine Madre di Dio, e col tuo efficace aiuto vogliamo anche viverlo.

La preghiera contemplativa sgorgherà dal vostro cuore ogni volta che mediterete questa grandiosa verità: una cosa così materiale come il mio corpo è stata prescelta dallo Spirito Santo per stabilirvi la sua dimora…, io non appartengo più a me stesso…, il mio corpo e la mia anima – tutt’intero il mio essere – sono di Dio… E questa preghiera sarà feconda di risultati pratici, derivanti dalla grande conseguenza che lo stesso Apostolo suggerisce: «Glorificate Dio nel vostro corpo».

D’altra parte, non potete ignorare che soltanto fra quelli che comprendono e valutano in tutta la loro profondità le considerazioni che abbiamo fatto sull’amore umano può sorgere la comprensione ineffabile di cui parla Gesù, quella che è dono squisitamente divino e spinge a dare per intero il corpo e l’anima al Signore, offrendogli il cuore indiviso, senza la mediazione dell’amore terreno.

Ormai devo concludere, figli miei. Vi dicevo all’inizio che le mie parole volevano annunciarvi qualcosa della grandezza e della misericordia di Dio. Ritengo di averlo fatto dicendovi di vivere santamente la vita ordinaria: perché una vita santa nel mezzo della realtà temporale – una vita senza risonanza, semplice, verace – non è forse oggi la manifestazione più commovente delle “magnalia Dei”, delle mirabili prove di misericordia che Dio ci ha dato sempre, e che sempre continua a darci per salvare il mondo?

Adesso vi chiedo, con le parole del salmista, di unirvi alla mia preghiera e alla mia lode: “Magnificate Dominum mecum, et extollamus nomen eius simul”; magnificate con me il Signore, ed esaltiamo tutti assieme il suo nome. In altri termini, figli miei, viviamo di fede.

Prendiamo lo scudo della fede, l’elmo della salvezza, e la spada dello spirito che è la Parola di Dio. Così ci sprona l’apostolo san Paolo nell’epistola a gli Efesini, di cui un momento fa veniva data lettura liturgica.

Fede, una virtù di cui tanto abbiamo bisogno noi cristiani, e in modo tutto speciale in questo “anno della Fede” promulgato dal nostro amatissimo Santo Padre, il Papa Paolo VI: perché senza fede viene a mancare la base stessa per la santificazione della vita di tutti i giorni.

Fede viva in questo momento, perché ci accostiamo al “mysterium fidei”, la Sacra Eucaristia; perché stiamo per prendere parte a questa Pasqua del Signore che riassume e realizza le misericordie di Dio verso gli uomini.

Fede, figli miei, per professare che fra pochi istanti, su quest’ara, si rinnoverà “l’opera della nostra redenzione”. Fede, per assaporare il “Credo” e avvertire intorno a questo altare e in questa Assemblea la presenza di Cristo, che ci rende “cor unum et anima una”, un solo cuore e una sola anima; e ci fa diventare famiglia, Chiesa, una, santa, cattolica, apostolica e romana, che per noi è come dire universale.

Fede, infine, figlie e figli carissimi, per dimostrare al mondo che queste non sono cerimonie e parole, ma realtà divina, offrendo agli uomini la testimonianza di una vita ordinaria santificata nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo e di Santa Maria