Venerdì, 14 febbraio 2020
Querida Amazonia ha deluso i due partiti opposti che speravano “riguardasse” il celibato dei preti. Adesso però leggiamola veramente. Scopriremo che tratta dell’apostolato a cui siamo tutti chiamati. Anche nelle nostre “periferie”
di Marco Invernizzi
Trascorse le canoniche 48 ore, l’esortazione apostolica post sinodale scompare dai titoli e viene sepolta dal flusso ininterrotto di informazioni. Pochissimi l’hanno letta, anche perché ha tradito le aspettative. I due partiti che da mesi si stanno facendo la guerra dilaniando la Chiesa a proposito del celibato dei preti sono rimasti delusi e dovranno occuparsi d’altro.
Entrambi forse speravano che il Pontefice aprisse a un’eccezione per le povere popolazioni dell’Amazzonia, che per assistere a una messa domenicale devono attendere mesi e anche più di un anno, a volte, gli uni per estendere l’eccezione altrove, in primis in Germania, gli altri per trovare nuovi argomenti nella polemica rancorosa e continua contro il Santo Padre.
Che il celibato sia un dono straordinario che la Chiesa latina custodisce gelosamente da sempre lo hanno spiegato il card. Sarah e il Papa emerito nel bel libro appena uscito in Italia dopo tante polemiche (Dal profondo del cuore, Cantagalli).
Purtroppo c’è chi non lo capisce o peggio vuole “smontare” la Chiesa asservendola alle ideologie mondane. Per denunciare questo atteggiamento bastano però gli interventi dei Pontefici, senza bisogno di creare contrapposizioni ideologiche interne alla Chiesa che hanno come ultimo terminale il Papa.
L’uscita pubblica prima della pubblicazione dell’esortazione di alcuni siti e blog, secondo i quali l’abolizione del celibato era cosa fatta nel testo, è l’esempio di come non ci si debba comportare se si ama la Chiesa e se ne hanno a cuore i destini. Ma temo non chiederanno scusa.
Adesso ci rimane il testo. Che nulla ha a che fare con il celibato, perché si occupa di come fare la missione nei Paesi dove vivono popoli che non hanno ancora abbracciato il Vangelo oppure ci sono giovani comunità cristiane con una loro cultura che presenta luci e ombre, ossia presenta un’adesione sincera ai principi della Rivelazione cristiana ancora all’interno di una cultura originaria caratterizzata da aspetti che sono originali e vanno mantenuti, accanto ad altri che vanno corretti.
Ma questi popoli vanno aiutati a proteggersi, dice il Papa, dall’omologazione dominante del pensiero unico, che in nome dell’interesse economico non rispetta il patrimonio delle singole comunità.
Niente di nuovo, è l’eterna sfida della missione. Se si leggono gli Atti degli apostoli si capisce la fatica che fece san Paolo a fare capire ai giudeo-cristiani che il messaggio di Cristo era per tutti i popoli, non solo per il popolo eletto. San Giovanni Paolo II ha speso molte energie per spiegare come l’Europa dovesse respirare con due polmoni, quello orientale e quello occidentale, unendo le due Chiese in un unico progetto di evangelizzazione o di nuova evangelizzazione, mettendo come patroni del continente i santi orientali Cirillo e Metodio accanto a san Benedetto, santa Edith Stein, santa Brigida di Svezia, santa Caterina da Siena.
L’esortazione spiega molto bene come in ogni azione missionaria ci siano due fasi, quella in cui si porge il Vangelo e quella in cui si riceve la cultura originaria della comunità alla quale ci si rivolge. Sono entrambe necessarie e necessitano di tanto tempo, a volte di secoli.
Quanto tempo ha impiegato il mondo romano pagano a recepire veramente il cristianesimo? E quanto tempo c’è voluto per la conversione dei popoli barbari? Ognuno di noi pensi alla sua conversione, che forse è avvenuta in un attimo, come una folgorazione, ma poi ha avuto bisogno di decenni per crescere ed è tuttora in corso. Pensate all’itinerario di Agostino, così come è descritto nelle Confessioni, e poi applicatelo a un popolo.
Bene, l’esortazione di papa Francesco tratta di questo problema e lo fa con il suo linguaggio, con lo stile del primo Pontefice sudamericano, che è diverso dai suoi predecessori ma rimane lo stile del vicario di Cristo.
Leggiamola dunque questa esortazione, che ha il grande merito di parlare della missione, dell’apostolato, del desiderio che dobbiamo avere tutti, se siamo veramente cattolici, di comunicare Cristo a tutti i popoli, e alle persone che vivono accanto a noi, in Europa, e hanno perduto la fede.
Dal 1919, quando Papa Benedetto XV scrisse la Maximum illud sulle missioni cattoliche, la Chiesa va interrogandosi su come presentare la fede ai popoli che nell’epoca moderna non hanno ancora incontrato Cristo. E da allora altri documenti dei Pontefici hanno accompagnato la storia della Chiesa, fino alla Redemptoris missio (1990) di san Giovanni Paolo II e all’Evangelii gaudium (2013) del Papa regnante.
Mentre nelle ridotte comunità cattoliche i due partiti si scagliano l’uno contro l’altro, l’80% degli italiani e forse di più non mette mai piede in chiesa, se non in occasioni particolari. Credo di non sbagliare pensando che l’esortazione possa aiutarci a pensare a loro, a come proporre il cristianesimo a queste persone ancora così lontane dalla Verità che salva.