da Tradizione Famiglia Proprietà n.82
Giugno 2019
Amazzonia, “polmone verde del mondo”? Devastata dalla deforestazione? Sempre più spopolata di indigeni? Ecco alcuni miti della sinistra ecologista, sfatati dal prof. Evaristo Miranda, direttore della Embrapa Monitor amento por Satélite, forse il maggior esperto sull’Amazzonia.
di Evaristo Eduardo de Miranda
E’ superfluo ricordare l’importanza e l’interesse che l’Amazzonia riveste per la nazione brasiliana e per il mondo. Il controllo sulla regione da parte del Brasile si manifesta in vari modi e la sovranità politica su di essa dovrebbe essere fuori discussione. Questo implica anche la sovranità scientifica – sempre più legata a aspetti geopolitici e strategici – che il paese cerca di esercitare contro la disinformazione e le mistificazioni.
Oltre a una rete di università e istituti di ricerca in Amazzonia, da circa 20 anni i ricercatori della Embrapa Monitoramento por Satélite mantengono diversi siti di monitoraggio territoriale che forniscono le dinamiche spazio-temporali di uso e occupazione del territorio e il conseguente impatto ambientale.
Oggi Embrapa dispone di una delle più vaste collezioni di immagini satellitari, database geo-codificati, strumenti e indicatori per la comprensione e il monitoraggio dei processi di cambiamento, nonché i mezzi e la logistica specifica per il pronto impiego in loco (www.cnpm.embrapa.br).
Cinque miti sull’Amazzonia
L’accumulo di conoscenze scientifiche e di indicatori ambientali rende possibile smascherare cinque miti sull’Amazzonia e sui suoi sistemi ecologici presentati come verità assolute:
1. L’Amazzonia è ricoperta da una grande foresta tropicale primitiva e omogenea con ecosistemi stabili, intatti e in equilibrio naturale (polmone del mondo).
2. L’Amazzonia è ancora un enorme vuoto demografico e umano, da occupare o no, minacciato dalla deforestazione e dagli incendi boschivi.
3. I terreni amazzonici non sono adatti all’agricoltura e quando vengono deforestati diventano deserti o dei pascoli improduttivi.
4. L’Amazzonia non è sufficientemente protetta dalle unità di conservazione (parchi, riserve, ecc.) e dalla legislazione ambientale.
5. La preoccupazione per la conservazione ambientale è recente e dovuta alla crescente presenza di entità non governative straniere e internazionali che operano in Brasile.
1. Una foresta tropicale omogenea, antica e stabile?
La realtà è molto più complessa. In questo immenso territorio si trovano i punti più alti del paese, strutture geologiche completamente differenti tra quelle situate all’altezza degli affluenti settentrionali e quelle situate all’altezza degli affluenti meridionali del fiume Rio delle Amazzoni e fattori ambientali che danno vita a una grande diversità di ecosistemi.
Per la prima volta, la Embrapa Monitoramento por Satélite ha completato un mosaico di immagini satellitari recenti, con 15 metri di risoluzione, che copre l’intera Amazzonia. Ciò ha richiesto lo sviluppo di specifici programmi per computer, consumato migliaia di ore di calcolo e generato più di 250 immagini orbitali, il che ha prodotto un mosaico di 6,8 gigabyte. Una versione esemplificata del mosaico di ogni Stato è stata poi riprodotta e diffusa per un uso più ampio.
Foresta omogenea? Il mosaico di immagini rivela ciò che era già noto in parte: una complessità di situazioni che proibisce qualsiasi semplificazione generalizzata. Ci sono diversi tipi di foreste di terra o pluviali, foreste semidecidue, foreste decidue, foreste igapó, foreste di bambù, foreste di palme, foreste di cipó, foreste montane o nebulose, foreste di mangrovie, di campinaranas, ecc., che si alternano a formazioni aperte – non forestali – come le savane, le praterie, le catanduvas, i campi arati, le pianure alluvionali, i campi rupestri o litofili, le vegetazioni psammofile, idrofile e idrolìtiche.
Foresta vecchia e stabile? Questo mare di foreste con enormi arcipelaghi di vegetazione aperta non è sempre stato così. La paleogeografía e la palinologia dimostrano che, a causa delle fluttuazioni climatiche, negli ultimi 12.000 anni abbiamo avuto situazioni esattamente opposte a quella attuale. C’erano mari di savane e campi naturali, con isole di foreste, concentrate lungo il canale dei fiumi e nei dintorni dei rilievi. Le popolazioni indigene sono state testimoni delle diverse regressioni o espansioni delle foreste in Amazzonia. Oggi abbiamo una mappatura ragionevole di questi momenti.
Polmone del mondo? Il monitoraggio satellitare della fisica e della dinamica atmosferica in Amazzonia e in tutto il mondo mostra che i polmoni del mondo (aree di grande produzione di ossigeno) sono gli oceani, in particolare vicino all’Artico e all’Antartide. Nell’Amazzonia, la produzione di ossigeno è equivalente al consumo per la respirazione della vegetazione. Il suo contributo dinamico è equivalente a zero.
Foresta in equilibrio naturale? Studi antropologici e paleobotanici hanno mostrato come le popolazioni indigene abbiano alterato il paesaggio amazzonico. Usando il fuoco, hanno ampliato e continuano ad espandere il cerrado (grande savana tropicale) a scapito delle foreste (come si vede nelle immagini satellitari di confine tra Brasile e Suriname). Rispetto all’attuale, l’area naturale del cerrado sarebbe stata inferiore del 40%. Il resto è dovuto all’influenza umana. Un altro vettore è l’agricoltura estensiva indigena, presente in parte nelle “terre nere” dell’Amazzonia e formatasi principalmente negli anni precedenti la colonizzazione, quando le popolazioni native erano molto più grandi. La sua estensione, grazie allo studio dei siti archeologici nella regione di Manaus, nel canale di Guaporé ecc., incomincia oggi ad essere meglio conosciuta. Forse raggiunge il 10%, totale che cumula le aree modificate dalla coltivazione estensiva, le piantagioni di specie di interesse lungo i sentieri (pabirù), gli effetti della caccia ecc., prima dell’arrivo dei portoghesi! È grazie ai 15.000 anni di presenza umana in Amazzonia che abbiamo conoscenza e disponibilità di così tante piante medicinali, prodotti alimentari, fibre, legni, oli, profumi, resine, ecc.
2. Un vuoto demografico minacciato
dalla deforestazione e dal fuoco?
La popolazione amazzonica ha superato i 20 milioni di abitanti, di questi il 65% vive in città. Ha il più alto tasso di urbanizzazione del Paese e il PIL regionale in più rapida crescita.
Vuoto demografico? Partendo da centinaia di immagini notturne scattate da un sistema di difesa orbitale degli Stati Uniti, il programma DMSP {Defense Meteorological Satellite Program), in grado di rilevare luci con grande sensibilità, la Embrapa Monitoramento por Satélite ha rivelato e mappato l’esistenza in Amazzonia di circa 1.500 aree già urbanizzate, o in processo di urbanizzazione, con energia elettrica. Il sistema è stato utilizzato dalla CIA per confrontare le “spese” di illuminazione e i PIL dei Paesi, generando indicatori di efficienza economica ed energetica.
Vuoto economico? L’espansione e il consolidamento delle città e dei servizi in Amazzonia è il grande fatto economico e sociale di questo inizio secolo. Dopo Rio-92, il futuro dell’Amazzonia non è più nelle mani di attori come i piccoli o i grandi agricoltori, i cercatori d’oro e di diamanti, gli indigeni, gli estrattori di caucciù, ecc. Chi comanda sono le città e gli interessi urbani. Il monitoraggio satellitare annuale della deforestazione mostra che oltre il 65% della nuova deforestazione si verifica nelle vicinanze delle città, ad un tasso regionale totale di circa 15.000 km2 all’anno. È il risultato degli investimenti urbani – in particolare della classe media locale – nell’agricoltura.
Incremento dei servizi. Gli scambi con il resto del Paese e l’incremento dei servizi sono così intensi e sostenibili che il problema non è più demografico ma di circuiti, di reti e di sistemi economici. Un’indagine della Embrapa Monitoramento por Satélite rivela l’immensa e crescente capillarità delle reti di acquisto e distribuzione agroindustriale nella regione (Nestlé, Parmalat, Danone, Perdigào, Sadia, Ceasas, ecc.). L’area di influenza diretta e indiretta di ogni città amazzonica è sempre più grande e abbraccia praticamente l’intera Amazzonia. Solo nella zona settentrionale rimangono aree significative al di fuori di questa influenza. Gli investimenti pianificati e in corso nell’ambito del PPA (Piano governativo pluriennale) traducono, consolidano ed estendono questo processo.
Zona minacciata dagli incendi? Non si può confondere l’incendio con il fuoco controllato. L’incendio è un fuoco indesiderabile, fuori posto, non calcolato e incontrollabile, senza nessuno che ne risponda. Il fuoco controllato è una tecnica agricola in cui il produttore decide tempi e luogo, in modo sorvegliato e desiderato. Molti media in Brasile continuano a mostrare immagini mitiche di incendi in Florida, California e nell’Europa mediterranea.
In Brasile, un sistema di monitoraggio orbitale dei fuochi controllati è operativo da oltre 10 anni. Tutti i risultati sono disponibili su Internet, caso unico a livello mondiale. VIBAMA (PrevFogo) ha anche implementato altri sistemi di allarme antincendio e di monitoraggio, così come l’Istituto Nazionale di Meteorologia. Qual è la soluzione per il problema degli incendi provocati? Multare gli agricoltori o implementare la tecnologia?
La ripetizione annuale di schemi spazio-temporali di fuochi controllati ne indica il loro carattere agricolo, che è volontario e non accidentale. Per la prima volta, il Ministero dell’Agricoltura ha avviato un’agenda positiva sull’argomento facendo arrivare, attraverso Embrapa, tecnologie alternative all’uso del fuoco agli agricoltori dell’Ammazzonia. Nei comuni più critici, rilevati via satellite, sono stati distribuiti opuscoli, organizzati seminari con i produttori e campagne promozionali per sostituire il fuoco con nuove tecniche agricole. Tra il 1999 e il 2000, i fuochi controllati nella zona critica sono diminuiti del 25%, migliorando la qualità della produzione agricola.
3. I terreni amazzonici sono inadatti all’agricoltura?
La regione amazzonica ha quasi duecento tipologie di terreno, mappati abbastanza bene. Qualunque generalizzazione riguardo alla sua capacità produttiva, in un senso o nell’altro, è un errore. Inoltre, la capacità produttiva dei suoli dipende dalla tecnologia agricola impiegata.
Fertilità o tecnologia? I terreni del cerrado erano considerati improduttivi fino alla metà del secolo scorso, data la tecnologia agricola disponibile. Oggi sono un granaio. La regione di Bragantina, nello Stato del Parà, è coltivata da più di un secolo senza che questa abbia perso la sua capacità produttiva. Il disastro annunciato dagli allarmisti per la piccola agricoltura in Rondònia e per i progetti di colonizzazione privata di medie dimensioni nel Mato Grosso non è mai avvenuto.
Le proprietà si sono consolidate, senza la temuta concentrazione latifondiaria annunciata dai medesimi allarmisti. Le persone continuano la loro presenza nella Regione, senza alcun reflusso migratorio, capitalizzando lentamente, costruendo e diversificando la propria agricoltura, come già accaduto in altre aree dell’Amazzonia (TO e PA) e del Paese. Evidentemente esistono aree inadatte all’agricoltura. Se deforestate non risultano sostenibili. Pertanto, la zonizzazione economico-ecologica dovrebbe orientare l’adattamento e la diversificazione spaziale delle attività economiche.
Terreno sterile? Solo quest’anno, il Mato Grosso ha prodotto 8 milioni di tonnellate di soia (più del Paraná) senza aumentare la superficie coltivata, guadagnando produttività ogni anno grazie alla tecnica della coltivazione conosciuta come plantío direto e alla conservazione del suolo. Ha anche prodotto 700mila tonnellate di cotone, portando il Brasile, dopo oltre dieci anni di importazione, a diventare un esportatore di fibre. Industrie tessili si insediano e attirano altri investimenti come ad esempio le catene di produzione di pollo e carne suina. Oggi, la Rondónia produce più cacao del Messico. E l’agricoltura amazzonica soddisfa le crescenti richieste della propria popolazione attraverso lo sviluppo dell’agrobusiness. Un esempio sono la produzione di frutta, formaggi, yogurt e prodotti lattiero-caseari nei dintorni delle città di grandi e medie dimensioni.
4. La Regione non è protetta
dalla legislazione ambientale?
Probabilmente, rispetto all’Amazzonia, nessuna parte nel mondo ha una legislazione così restrittiva sull’uso del suolo. Secondo la Misura Provvisoria (un ordine esecutivo) che ha modificato il Codice Forestale, un produttore rurale può deforestare solo il 20% della sua proprietà. Se a ciò si aggiunge il fatto che i territori indigeni e le unità di conservazione federali e statali (parchi, foreste nazionali, aree di conservazione permanenti, stazioni ecologiche, riserve biologiche, ecc.) rappresentano circa il 35% del territorio amazzonico, si ha un’idea del quadro giuridico, ovvero della fitta giungla legislativa che copre e protegge l’Amazzonia.
Legiferare per degradare? Il problema non è l’insufficienza di leggi ma piuttosto la loro mancanza di qualità, gerarchia, sussidiarietà e integrazione multisettoriale, che compromettono il loro adempimento. La legislazione attuale tende a premiare le attività clandestine, predatorie, a breve termine, scoraggiando gli investimenti a lungo termine.
Un esempio sono le piantagioni di eucalipto e di altre specie per ottenere a minor prezzo legna d’ardere e carbone e ridurre così la pressione sulla rimozione di questo materiale dalle foreste native per le acciaierie installate in Açailândia (MA) e nella regione della ferrovia di Carajàs. Per piantare 2mila ettari, un produttore deve acquistarne 10mila e preservare E80% di essi. Ciò ha compromesso gli investimenti in corso (collocandoli nell’illegalità) e quelli futuri (produzione di cellulosa, poli mobilieri, ecc.). Manca una visione strategica ed un minimo di consenso politico per superare questo impasse.
5. Le preoccupazioni ambientali sono recenti in Brasile?
Molti sostengono giustamente che il problema dell’Amazzonia non sia regionale ma nazionale. Tuttavia, sbaglierebbe chi immaginasse che la preoccupazione per la conservazione dell’ambiente sia recente e che sia iniziata in Brasile grazie, e soprattutto, alle pressioni delle organizzazioni non governative. Tratti da un ampio elenco storico, ecco alcuni esempi di questa preoccupazione nazionale.
Preoccupazione recente? Pochi anni dopo la scoperta, le istruzioni Manueline della monarchia portoghese su “alberi reali e legname legale” elencavano dozzine di alberi il cui taglio era proibito per legge, da qui l’espressione “legno di legge”. Nel 1587, Gabriel de Souza, su ordine del re Joào III, presentò un impressionante inventario delle risorse naturali del Brasile.
Del 1658 abbiamo “notizie di manifestazioni popolari contro intrusi e occupanti di terra che agiscono in modo predatorio sull’ambiente, degradando il suolo con pratiche dannose, contaminando e riducendo la fornitura di acqua alle famiglie carioche”. Nel 1760, un decreto del re Dom José “ordina la protezione degli alberi di mangrovia del Brasile”. Nel 1790, José Bonifacio denunzia “disordini promossi da sovrintendenti stupidi e ignoranti nell’arte della pesca delle balene” e pubblica la “Prima memoria in difesa delle balene”, più di 200 pagine, due secoli prima di Greenpeace!
Nel 1808 il Principe Reggente Dom Joào crea il Reale Orto Botanico, con 2.160 ettari, oggi “democraticamente” ridotti a 137. Dall’indipendenza, l’Orto Botanico è aperto alle visite pubbliche. Nel 1850, il visconte di Bom Retiro proibisce al ministro degli Affari dell’Impero di procedere a nuovi abbattimenti nelle foreste e reimpianta le sorgenti dei fiumi Carioca e Maracaná.
Nel 1861, l’erosione e la mancanza di acqua potabile, a causa della deforestazione per fare spazio alle piantagioni di caffè, portano a un decreto dell’imperatore Dom Pedro II che impartisce istruzioni per la piantumazione e la conservazione delle foreste di Tijuca e Paineiras attraverso “una piantagione regolare del boschetto di campagna”.
Nel 1862, il maggiore Archer propose di “creare stabilimenti identici in altre parti del comune della Corte e nelle Province”. Ciò ha dato origine alla Floresta da Tijuca, il più grande parco naturale del pianeta in un’area urbana, e Tunica foresta piantata in Brasile fino ad oggi. E ci sono altri esempi pionieristici e poco conosciuti.
6. Conclusione
La sfida di riconciliare conservazione e sviluppo in Amazzonia incontra una prima risposta nel processo di pianificazione dell’uso del territorio. Il primo passo dovrebbe essere la zonizzazione economico-ecologica che mostri il potenziale e le restrizioni nell’uso e nelle occupazioni delle terre, all’interno di scenari a lungo termine. La nazione dispone di strumenti, metodi e risorse umane per portare avanti questa zonizzazione, già prevista oltre un decennio fa. Perché non lo fa?
Il Brasile esercita la sua sovranità scientifica sull’Amazzonia e ha i mezzi per monitorare, con scienza e coscienza, il territorio amazzonico, contribuendo alla sua integrità, al suo sviluppo sostenibile e alla difesa degli interessi nazionali. Il resto sono miti che non servono al Paese