Il Timone n.130, dicembre 2014
Parla Calvin Beisner, fondatore della più importante organizzazione interconfessionale americana dedicata alla cura del Creato: la visione biblica, che pone l’uomo come unica creatura a immagine di Dio, trova riscontro nell’osservazione della realtà. Seguire l’ideologia ambientalista porta l’umanità ad adottare stili di morte
di Raffaella Frullone
«L’immagine di Dio è ragione ed esercizio delle capacità morali nel dominare il mondo in modo produttivo». Lo afferma E. Calvin Beisner. Statunitense, teologo evangelico e studioso di problemi ambientali, Beisner è il fondatore e portavoce della Alleanza della Cornovaglia per la tutela del creato (www.cor-nwallalliance.org), un’organizzazione interconfessionale che riunisce teologi, scienziati ed economisti per difendere un approccio alla questione ambientale a partire da una visione biblica. Una famosa dichiarazione formulata dall’Alleanza nel 2000 ha visto la sottoscrizione di leader della Chiesa cattolica americana come Richard John Neuhaus, del mondo evangelico come Charles Colson, e del mondo ebraico come il rabbino e amico di Benedetto XVI Jacob Neusner.
Prof. Beisner, che cosa comporta per l’ambiente il fatto che l’uomo sia creato a immagine e somiglianza di Dio?
«Gli uomini, a differenza di qualunque altro essere vivente, sono creati a immagine di Dio, lo dice la Genesi al versetto 1,26-27: «Poi Dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza, ed abbia dominio sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e sul bestiame e su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra…». Ma cosa è l’immagine di Dio? Niente in quel versetto lo esplicita. La Genesi però ci suggerisce con forza che la “creatività” e la “legge” sono parti essenziali dell’immagine di Dio. Infatti Dio, creando il primo uomo e la prima donna, dice loro di riprodursi (creatività) e di sottomettere e dominare (legge) la terra. Quindi possiamo sintetizzare che l’immagine di Dio è ragione ed esercizio delle capacità morali nel dominare il mondo in modo produttivo».
Esiste una differenza nell’approccio al problema tra il cristianesimo e le altre grandi religioni?
«Sì, certamente. Molti dei più influenti ambientalisti abbracciano o il secolarismo, negando l’esistenza di Dio, o una visione del mondo ispirata a qualche forma di paganesimo orientale, che sia panteista (Dio è l’universo), panenteista (Dio sta all’universo come l’anima sta al corpo), o animista (gli oggetti materiali sono abitati da spiriti). Sia il secolarismo che il paganesimo orientale hanno un approccio che nega la distinzione tra il Dio creatore e l’universo creato, un errore che – spiega san Paolo in Romani 1,18-31 – porta all’irrazionalità e all’immoralità.
Perché negando il Creatore, a immagine del quale siamo fatti, corrompiamo i due elementi principali di quell’immagine dentro di noi: ragione e norma morale. Questo alla lunga porta a inquinare la nostra relazione con il creato, minando la santità della vita umana e la relazione fra i sessi (due, non molti) voluta da Dio, nonché il disegno di Dio sulla sessualità (intesa come comunione tra un uomo e una donna dentro il matrimonio, che duri per tutta la vita, aperta alla procreazione) e la missione che Dio ha dato all’umanità (popolare e dominare la terra)».
Uno dei padri della visione ecologista, almeno dell’idea che le risorse del pianeta sono limitate e quindi l’uomo è una minaccia per un ecosistema chiuso, è stato Thomas Malthus, che era un pastore anglicano…
«Essere un pastore anglicano non equivale necessariamente a possedere la conoscenza necessaria per sviluppare una precisa teoria della crescita della popolazione e della sua relazione con il consumo di risorse o l’inquinamento ambientale. Malthus si sbagliava, come la storia dell’economia e della demografia ha dimostrato. Per esempio, il prezzo a lungo termine delle risorse estrattive tende a scendere, mentre il prezzo a lungo termine del lavoro umano tende a crescere. I prezzi che calano indicano una maggiore disponibilità, i prezzi che salgono una diminuzione di essa. Il trend dei prezzi a lungo termine ci dice che le risorse estrattive sono meno scarse ora che ai tempi di Malthus. Questo perché gli essere umani non sono in prima istanza consumatori, ma produttori. E nelle società con condizioni economiche sane ed equilibrate essi producono molto di più di quanto consumino, lasciando le nuove generazioni in una situazione migliore delle precedenti».
Lei ha scritto che la teoria del riscaldamento globale è al fondo anti-cristiana, in che senso?
«La concezione biblica ci dice che il mondo è il prodotto di un Creatore onnisciente, onnipotente e del suo sostegno fedele. Da questo consegue, per esempio, il fatto che è improbabile che perturbazioni proporzionalmente piccole all’interno di sistemi naturali possano avere conseguenze catastrofiche: sarebbe un esito incongruente con l’intelligenza del “progettatore”, con la sua potenza e la sua fedeltà. Questa aspettativa del resto è confermata dall’osservazione empirica, dal fatto che i sistemi naturali sono governati da risposte (“feedback”) negative piuttosto che positive, ovvero da meccanismi che rispondono riducendo piuttosto che aumentando l’impatto di uno stimolo esterno.
Le altre forme religiose, che sono moniste (cioè non fanno distinzione tra Creatore e creazione), non portano a pensare al mondo come progettato, creato e sostenuto amorevolmente. Piuttosto inducono a vederlo come fragile, soggetto a conseguenze catastrofiche a partire da cause anche proporzionalmente piccole. Questa visione del mondo porta a ritenere che – contrariamente a quanto apprendiamo dall’osservazione empirica, sottolineo – i sistemi naturali siano caratterizzati da meccanismi di feedback tanto negativi quanto positivi, e che perciò, in seguito a un nuovo stimolo, possano entrare in un “loop”, in un circolo di risposte positive. Ciò aumenterebbe l’impatto del nuovo stimolo, portando a conseguenze catastrofiche.
Un’applicazione delle differenze logiche di queste visioni del mondo è evidente nel dibattito sul riscaldamento climatico indotto dall’uomo. Credere che le emissioni di anidride carbonica possano portare a conseguenze catastrofiche dipende dal credere che il sistema climatico sia caratterizzato più da feedback positivi che negativi. Mentre credere che le emissioni di anidride carbonica portino a un riscaldamento climatico assai inferiore e soprattutto senza conseguenze tragiche, dipende dal credere che il sistema sia caratterizzato più da feedback negativi. L’osservazione dimostra che è questa seconda visione quella giusta.
I modelli elaborati al computer su cui si basano le paure di un riscaldamento pericoloso partono dall’assunto che i feedback positivi superino di gran lunga quelli negativi, calcolando ad esempio che un raddoppio della concentrazione di C02 nell’atmosfera porti il riscaldamento da 1-1.2°C a 2-4,5°C. Il fallimento dei modelli dei computer per calcolare le reali temperature del globo – più del 95% ha esagerato il riscaldamento che si è verificato dal 1980 a oggi – rende estremamente improbabile che le loro ipotesi riguardo ai feedback siano corrette».
Il cristianesimo ha lasciato nella storia una scia di bellezza, pensiamo alle arti figurative e alla musica. È stato così anche nella cura e nella bellezza del paesaggio?
«Molti passaggi della Bibbia – penso specialmente ai Salmi 19 e 104, ma anche Giobbe 38-41 e altri – parlano della bellezza della creazione di Dio e del fatto che l’uomo è chiamato ad accrescerla. Come la visione cristiana ha contribuito alla crescita e allo sviluppo delle scienze, così ha anche contribuito in maniera decisiva alla nascita dei movimenti di cura e conservazione della natura. Non è un caso che la parte del mondo più influenzata dal cristianesimo sia stata la protagonista del progresso scientifico, tecnologico e quindi ambientale».
Possiamo considerare l’ambientalismo come una sorta di nuova religione?
«In un certo senso sì. Anche confrontandolo con il cristianesimo o il giudaismo, che credono in un Eden perduto a causa del peccato, l’ambientalismo presenta tratti marcati di religiosità. Ci porta indietro ad un’età paradisiaca, prima dell’azione dell’umanità peccatrice, che ha rinunciato al “contratto animale” (Desmond Morris) nella transizione dalla caccia all’agricoltura. E l’intensità del nostro peccato è cresciuta con la nascita dell’economia fondata sul commercio e poi sull’industria.
Questi “peccati” porteranno a una catastrofe irreparabile, con la necessità di abbandonare definitivamente l’industria per tornare a una supposta armonia con la natura, tornando all’agricoltura o meglio alla caccia. In tutto ciò, l’ambientalismo somiglia molto a una perversa forma di cristianesimo. Perché l'”armonia con la natura” intesa dagli ambientalisti, più che a uno stile di vita assomiglia a uno stile di morte: con una riduzione drastica dell’aspettativa di vita e un ritorno a un tasso altissimo di mortalità infantile».