Nella giornata di preghiera dedicata al tema, è passata l’immagine di una Chiesa Papa compreso – accodata ai movimenti ecologisti. Ma la visione cattolica è diametralmente opposta all’ambientalismo dominante. Ecco perché….
di Riccardo Cascioli
Prova ne è che le parole pronunciate per l’occasione dal Papa e il messaggio dei vescovi italiani sono stati riportati dai mass media nazionali in un modo da far pensare all’ennesima festa dell’ambiente con l’unica differenza che è organizzata dai cristiani con il loro linguaggio particolare e – diciamocelo pure – un po’ demodé. Lo stesso Benedetto XVI, grazie anche alle prese di posizione del WWF e del ministro dell’Ambiente Pecoraro Scanio, è stato arruolato d’ufficio nell’esercito ambientalista.
A maggior ragione dunque è necessario soffermarsi sul significato di questa celebrazione che, malgrado le apparenze, è in totale controtendenza rispetto all’ecologismo dominante. Non c’è dubbio infatti che quest’ultimo discende da una visione negativa dell’uomo, elemento di disturbo di una natura che – sottinteso – sarebbe in condizioni molto migliori se l’uomo non ci fosse.
L’ambiente così inteso è perciò sostanzialmente “altro” rispetto all’uomo, e quest’ultimo ci può vivere a patto che non si muova, che faccia meno attività possibile, e soprattutto metta al mondo meno figli possibile perché – si sa – ogni persona che si aggiunge è un altro carico che pesa sulla natura. Attenzione: il problema non è l’uomo cattivo, ma l’uomo in sé, per il solo fatto di esistere. Si comprende allora perché e in che senso si parla di “difesa” dell’ambiente: c’è un aggressore, l’uomo, e va messo in condizione di non nuocere.
D’altronde, la Terra è vista come un organismo vivente autosufficiente (Gaia) che quindi si “ribella” davanti ai soprusi dell’uomo (terremoti e altri disastri naturali). Siamo di fronte quindi a una visione neo-pagana, con una differenza importante rispetto al paganesimo classico: allora la divinizzazione della natura nasceva da una riflessione sulla natura stessa, che veniva percepita come enormemente più grande dell’uomo e inspiegabile. Oggi, invece, la divinizzazione della natura nasce da una riflessione negativa sull’uomo, considerato “aggressore” e “parassita”, tanto per usare due espressioni molto ricorrenti.
Ben diversa la concezione ebraico-cristiana: l’osservazione della realtà e la rivelazione spingono a parlare di creato, il che pone in rilievo anzitutto l’esistenza di un Creatore da cui tutto dipende. La terra non è dunque un organismo autonomo che reagisce alle aggressioni come il corpo umano fa con i virus, ovvero con la “febbre” (non a caso il riscaldamento globale viene spesso descritto come “la febbre del pianeta”), ma è dono di Dio all’uomo. L’uomo, dunque, non solo è parte del Creato, ma è la prima tra le creature.
Ne discende, tra l’altro, che esiste una gerarchia ontologica tra l’uomo e gli altri esseri viventi; cioè la superiorità dell’uomo non nasce da un più avanzato livello di evoluzione – essenzialmente prodotto dal caso -, ma da una diversità che c’è proprio all’origine dell’essere. D’altro canto proprio perché è creatura, l’uomo deve rendere conto al Creatore. Cioè, la superiorità sugli altri esseri non è disponibilità assoluta che legittimi lo sfruttamento selvaggio; al contrario è una responsabilità di fronte agli altri uomini e a Dio; l’uso che viene fatto della natura deve essere in accordo con il piano di Dio.
Ma qui nasce un’altra importante differenza con la mentalità ambientalista odierna: mentre questa parla di “difesa” dell’ambiente, il linguaggio cristiano usa il termine “salvaguardia”. Anche qui siamo in presenza di concetti radicalmente diversi.
Difesa, in effetti, non solo rimanda al fatto che ci sia un aggressore, ma anche al fatto che l’obiettivo è la conservazione, mantenere le cose così come sono, intatte. Tanto è vero che si fa spesso riferimento al “mantenere” le cose per le generazioni future così come noi le abbiamo ricevute. Non stupisce dunque che i primi movimenti ecologisti, alla fine dell’Ottocento, sono in realtà organizzazioni per la conservazione della natura.
E tuttoggi la politica delle riserve naturali, sia terrestri che marine, è uno dei pilastri dell’ambientalismo. Non è però questa la visione cattolica del rapporto uomo-natura. L’uomo, infatti, come ricorda anche l’enciclica di Giovanni Paolo II Laborem Exercens (n 25), partecipa alla creazione. Anzi, è chiamato a questa collaborazione; ed è qui che si gioca la sua libertà: se segue il progetto di Dio l’uomo rende la creazione più bella e più umana; se persegue il proprio progetto invece “sfigura” la creazione.
La storia da ragione a questo approccio cristiano: non c’è dubbio che ad esempio tanta della bellezza d’Italia – dalle città d’arte alle località turistiche in montagna o al mare – sia dovuta proprio alle mani dell’uomo. Basti pensare ai lavori di bonifica avviati già dai monaci benedettini nell’Alto Medioevo per non parlare delle grandi opere di idraulica e canalizzazione volute dai Papi, fino alla lenta ma progressiva trasformazione della montagna grazie alle popolazioni locali.
In questo senso, allora, il termine “salvaguardia” rimanda al concetto di “custodia”, dove il custode è chiamato a far crescere e ad abbellire il terreno che il padrone gli ha affidato. In questo modo la preoccupazione non è tanto quella di mantenere qualcosa per delle ipotetiche generazioni future, ma vivere nel modo corretto e responsabile il presente per rispondere ai bisogni delle concrete persone di oggi; è con questa posizione che nell’Occidente cristiano storicamente si sono sempre create maggiori e migliori risorse per le generazioni future. Perché, come nella parabola dei talenti, chi cerca di conservare finisce di perdere anche quel poco che ha.
Ricorda:
«La via cristiana rimane l’unica che veramente salva. In essa è presente la convinzione che possiamo essere realmente “creativi” solo in unità col Creatore del mondo. Possiamo servire veramente la terra solo se ci poniamo di fronte ad essa secondo le indicazioni della parola di Dio. Allora possiamo realmente far progredire e perfezionare noi stessi e il mondo”.
(Joseph Ratzinger, Creazione e peccato, Lindau, 2006)