Il Timone n. 240 Giugno 2024
Da Città del Messico a Tokyo, da Montevideo a Milano, la grande contestazione fu sorprendentemente smile. E segnata da fatti inquietanti, come la distribuzione gratuita di Lsd e psilocibina che spinse i giovani a un mero vitalismo
di Mario Arturo Iannaccone
Il Sessantotto è uno dei movimenti contemporanei più lodati acriticamente, eppure è un fenomeno ancora non molto decifrato e poco servono le autocelebrazioni di chi vi partecipò. Il movimento coinvolse studenti, operai, intellettuali, gruppi portatori di interessi di minoranza ma soprattutto giovani, al di fuori di precise formazioni politiche, almeno all’inizio. Interessò quasi tutti gli Stati in tutta Europa, Sudamerica, Nordamerica e Oriente.
Il fatto che rivolte violente si siano svolte in un tempo ristretto, contribuì a identificare il movimento con il nome dell’anno in cui si manifestò di più. Il 1968, anche se iniziò nel 1967 e continuò sino al 1977. Si formò per aggregazione spontanea? Difficile crederlo: gli agitatori c’erano davvero, come negli Usa, quando, nel picco della Rivoluzione psichedelica, furono distribuiti a tutti e gratuitamente Lsd e psilocibina gratuita per de-politicizzare i giovani, e così parte della popolazione giovanile uscì dagli schemi della vita regolata senza abbracciare ideologie politiche ma votandosi a un semplice vitalismo.
L’eterogeneità del ’68 attivò il Movimento di volta in volta contro obiettivi che potevano far comodo ai rivali di singoli poteri o categorie. Oggi si sospetta che ci siano stati interessi da parte di precisi centri di potere per orchestrare le rivolte. Altrimenti sarebbe difficile spiegare come esse si siano prodotte con tale sincronia da Città del Messico a Tokyo, da Montevideo a Milano.
Europa, Cina e Italia
Le istanze delle proteste erano molto diverse: a volte la forma politica del Paese, a volte la guerra, i rincari, la povertà, la richiesta di riforme religiose. Il ricambio generazionale è l’unico elemento comune a tutti questi movimenti. Pensiamo a quello che accadde in Cina: gli studenti universitari protestavano contro i privilegi presenti nella società cinese e così Mao, approfittandone, sconfisse l’opposizione interna.
Da qui il fatto paradossale che nella Repubblica Popolare Cinese il Sessantotto rappresentò l’acme della rivoluzione culturale repressiva mentre altrove si presentava come movimento libertario. Tutto il sistema di potere di quel Paese venne trasformato. Nell’estate del 1967 e agli inizi del 1968 lo scontro arrivò sull’orlo di una guerra civile.
In Europa e in Italia il malcontento serpeggiava alimentato da intellettuali, scrittori, ideologi, cineasti e studenti, scoraggiati dal fatto che nel Dopoguerra l’Italia invece che diventare un Paese socialista o comunista come sperato, fosse diventato uno Stato sociale liberal-capitalista.
E’ possibile che in questo caso alcune proteste fossero mosse da agitatori provenienti dall’Urss per infastidire i paesi Nato o che, viceversa, Usa e Gran Bretagna o Francia volessero indebolire l’Italia su questioni come il controllo del petrolio in Libia e i rapporti con i Paesi arabi inscenando proteste o attentati: il capitolo del terrorismo, infatti, è collegato a quello del Sessantotto e ne è la continuazione ancora meno chiara.
Per questo furono promossi movimenti di protesta da parte di gruppi politici talvolta con legami all’estero (Francia, Urss, Paesi dell’Est, Usa) che coinvolsero masse di giovani. In Europa occidentale e orientale e negli Stati Uniti fu come se molti, dopo la Seconda guerra mondiale, si trovassero disillusi, avendo sperato e sognato nella costruzione di società più giuste.
L’industria culturale
Nei Paesi dell’Est, il comunismo formò società chiuse, gli apparati dei partiti erano privilegiati e controllavano libertà personale, informazione e vita culturale. Simili malumori si manifestarono nelle società “aperte” occidentali, dove le ingiustizie di tipo economico tornarono a evidenziarsi dopo il boom postbellico.
A partire dagli anni Cinquanta, si sviluppò la società industriale del “capitalismo avanzato” caratterizzata da consumismo, competitività economica, persuasori occulti capaci di trasformare l’uomo in consumatore diretto, omogeneizzando il gusto e “mercificando” i valori. Questi spetti, additati come elementi di insoddisfazione e infelicità, divennero tipici della critica dell’industria culturale, causa ed effetto nella società odierna di squilibri: quando il mercato dell’arte si allarga, la richiesta dei beni culturali non si diversifica più da quella dei prodotti industriali, poiché anch’essi sono simboli di promozione sociale prima che culturale e questo fa si che l’arte venga a mancare come occasione di sublimazione e idealismo come in precedenza.
Pertanto, il prodotto artistico diviene merce che segue le leggi del mercato. Così l’artista, ridotto a docile produttore di beni di consumo, protesta e scende in piazza. Da qui le proteste di autori e artisti che assunsero una posizione critica nei confronti di una società che andava rigenerata dalla protesta. In Italia le proteste iniziate nel 1967 si estesero all’anno successivo, il 1968, saldandosi nel 1970 con la nascita dei movimenti terroristi che ricorsero alla lotta armata, alimentata anche da altri Stati.
Occupazioni e richieste
Nella cosiddetta “Battaglia di Valle Giulia” gruppi di destra e di sinistra, prima alleati, subirono una carica della polizia. Fino a quel momento le proteste erano state apolitiche e tutto ciò che univa i manifestanti era la giovane età. Dopo si assistette a una divaricazione ideologica fra destra e sinistra.
Nel corso del 1967 ci furono tòrbidi per l’occupazione dell’Università Statale di Pisa, della Cattolica di Milano, della facoltà di Architettura a Milano, Roma, Napoli e nell’Università Statale di Milano. La facoltà di Sociologia di Trento rimase occupata in modo permanente. Occasioni immediate di queste proteste e occupazioni furono i disagi degli studenti universitari di Milano e Torino.
Nel primo caso furono raddoppiate le tasse universitarie mentre a Torino venne deciso il trasferimento delle lezioni alla Mandria, una sede periferica. Nel novembre 1967 entrambe vennero sgomberate dalla polizia. Queste proteste si estesero e si moltiplicarono e le richieste divennero poi generiche: svecchiamento del sistema scolastico-universitario, della televisione, delle strutture politiche, attenzione alle esigenze dei giovani e contestazione dei partiti politici.
Queste istanze populiste e qualunquiste furono rivolte anche contro la televisione, i giornali, i partiti o la Prima della Scala di Milano, il Festival di Sanremo, il Festival di Venezia
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