[Didaché IV, 2; CN ed., Roma 1978, pag. 32].
L’immenso territorio del Brasile era toccato all’impero coloniale portoghese quando il papa Alessandro VI, col suo arbitrato internazionale, aveva diviso le terre da scoprire oltre l’Atlantico tra i portoghesi e gli spagnoli. A patto di evangelizzazione. E i due re erano stati ai patti, inviando e sostenendo i missionari.
Andrés de Soveral, uno di questi, era nato nel 1572 a São Vicente, in Brasile. Nel 1593 si era fatto gesuita e, siccome conosceva la lingua tupi, fu mandato tra gli indios del selvaggio Nordeste. Giunse al Rio Grande do Norte nel 1606 e nel 1614 era già parroco a Cunhaú, importante centro di canna da zucchero. Ma quel commercio faceva gola anche agli olandesi, protestanti, che nel 1630 sbarcarono a Pernambuco e cominciarono a invadere la regione.
Nel 1645, di domenica, attaccarono Cunhaú, circondarono la chiesa dov’era radunata la gente per la messa e trucidarono tutti, il parroco per primo. Qualche mese dopo toccò al gesuita Francisco Ferro, nato nelle Azzorre. Era parroco a Natal quando gli olandesi attaccarono. Il gesuita guidò la fuga degli abitanti, ma il gruppo venne intercettato e portato sul Rio Uruaçu.
Qui i calvinisti chiesero loro di rinnegare il cattolicesimo in cambio della vita. Al rifiuto generale, procedettero al massacro. Nei due eccidi perirono oltre centocinquanta persone, anche donne e bambini. Nessuno degli uccisi era indio: erano tutti brasiliani discendenti da portoghesi, più qualche spagnolo e qualche francese. Tra loro, giudici, proprietari terrieri, amministratori comunali, semplici contadini e pescatori. Con mogli e figli.
Il Giornale 16 giugno 2005