di Massimo Introvigne
Quattrocento bambini molestati, un’intera zona infestata da ministri di culto pedofili che i superiori per quarant’anni si limitano a trasferire da una parrocchia all’altra, ostacolando in ogni modo le indagini della polizia. Una commissione d’inchiesta, condanne, scuse pubbliche che secondo le vittime non possono bastare, un vescovo che si dimette.
Nel giorno di venerdì santo del 2002 William Persell, vescovo di Chicago della Chiesa Episcopaliana – la branca statunitense della Comunione Anglicana – dichiarava in un sermone: “Saremmo ingenui e disonesti se dicessimo che quello della pedofilia è un problema della Chiesa Cattolica e non ha nulla a che fare con noi anglicani perché abbiamo preti sposati e donne prete. Non è così”.
Per questo i commenti dell’arcivescovo di Canterbury e responsabile mondiale della Comunione Anglicana, Rowan Williams, che il 3 aprile ha scatenato un attacco senza precedenti contro la Chiesa Cattolica, unendo la sua voce all’assalto di una lobby internazionale contro Benedetto XVI, sono apparsi a molti specialisti di abusi compiuti da religiosi come un pesce d’aprile di cattivo gusto e in ritardo di due giorni. Ma come? Il capo di una comunità dove gli abusi sono iniziati addirittura nel XIX secolo e continuano ampiamente ancora oggi si permette di attaccare il Papa? Non conosce forse la pagina del Vangelo sulla pagliuzza e sulla trave?
Statisticamente, Williams – che contrappone i protestanti ai cattolici – non potrebbe avere più torto. Secondo il sociologo Philip Jenkins, uno dei maggiori studiosi mondiali della questione degli abusi pedofili, il tasso di sacerdoti condannati per abusi su minori a seconda delle aree geografiche varia dallo 0,2 all’1,7% del totale, mentre per i ministri protestanti va dal 2 al 3%.
Un rapporto del 2002 di un’agenzia protestante americana, Christian Ministry Resources, concludeva che “i cattolici ricevono tutta l’attenzione nei media, ma il problema è maggiore nelle Chiese protestanti” dove le accuse (certo da non confondersi con le condanne) negli Stati Uniti erano arrivate al bel numero di settanta alla settimana. Nella sole congregazioni della Comunione Anglicana i siti specializzati riportano centinaia di casi.
Questo dimostra, fra l’altro, che il celibato non c’entra: la maggior parte dei pastori protestanti in genere e anglicani in specie è sposata. Nel 2002 in Australia il pastore anglicano Robert Ellmore, sposato, fu condannato per avere abusato di numerosi bambini, fra cui la sua nipotina di cinque anni. Un pastore episcopaliano di Tucson, in Arizona, Stephen P. Apthorp, nel 1992 era stato condannato per avere violentato 830 volte la figliastra, inducendola a tentare il suicidio, a partire da quando aveva dieci anni.
In Australia nel 1995 la Chiesa Anglicana aveva deciso di occuparsi del problema costituendo un “Comitato della Chiesa sugli abusi sessuali”. Uno dei membri più noti del comitato era il canonico anglicano Ross Leslie McAuley. Quando lo nominarono, i vertici della Chiesa Anglicana sapevano già che era sotto inchiesta per diversi casi di abusi omosessuali.
Più tardi sarebbe stato descritto dai suoi stessi superiori come “un predatore sessuale”. Il 12 marzo 2009 in Australia un ex responsabile della Church of England Boys Society è stato condannato a diciotto anni di carcere per una lunga catena di abusi sui bambini. E le condanne continuano.
Sarebbe sbagliato qualunque atteggiamento del tipo “mal comune, mezzo gaudio”, né certamente la Chiesa Cattolica intende assumerlo. Al contrario, il Papa è impegnato a denunciare – come ha scritto nella “Lettera ai cattolici dell’Irlanda” – “la vergogna e il disonore” dei preti pedofili.
Ma il capo anglicano Rowan Williams – che mantiene aperto il sacerdozio e l’episcopato agli omosessuali e ha auspicato l’introduzione in Gran Bretagna della legge islamica, la shari’a, per i musulmani – dovrebbe smetterla con il patetico tentativo di usare la questione della pedofilia per frenare la massiccia emorragia di anglicani che tornano alla Chiesa di Roma disgustati dalla sua gestione, lasciare al Papa il suo lavoro e occuparsi semmai di fare pulizia in casa sua.