Abstract: animalismo ed ecologia cristiana. Il neopaganesimo attuale ha messo sullo stesso piano uomini e animali. Ma in principio non era così. stiamo dimenticando: che l’uomo emerge sulla natura perché ha ricevuto il soffio vitale impresso da Dio. Prima di ogni ecologismo, ritrovare l’equilibrio anche religioso è indispensabile.
Blog di Alfredo Tràdigo 27 maggio 2023
Dopo il caso dell’orso di Caldes
la proposta di una nuova ecologia cristiana
Il neopaganesimo attuale ha messo sullo stesso piano uomini e animali. Ma in principio non era così. Nel libro più diffuso al mondo – la Bibbia – nelle prime pagine della Genesi è scritto: “Dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”. Questo stiamo dimenticando: che l’uomo emerge sulla natura perché ha ricevuto il soffio vitale impresso da Dio. O per dirla con don Luigi Giussani: “l’uomo, è quel livello della natura in cui essa si accorge di non farsi da sé”. La coscienza appunto, distingue l’essere umano dall’animale, e lo porta a intuire di venire da molto lontano, dal mistero di Dio, da un “Qualcuno” che lo ha fatto, creato.
Tutto questo non è ben accetto da una cultura e da un’opinione pubblica che ha staccato la presa di corrente da Dio, e difende un orso quasi fosse una divinità pagana. Tutto ciò riporta indietro la lancetta della storia di millenni. Così, non si pone tanto l’accento sulla pericolosità sull’orsa che ha ucciso il 26enne Andrea Papi nei boschi sopra Caldes, in val di Sole. Anzi, si pensa che forse sia stato Andrea a provocarla, ad essergli finito addosso, in una zona dove ci sono cucciolate di orsi. Tra l’altro, come raccontano alcuni testimoni locali, si tratterebbe di una strada molto accessibile anche a famiglie e gitanti. Alcuni giornali titolano “l’orso è innocente” quasi che l’orso fosse un soggetto di diritto e che la vittima sia l’orsa e non l’uomo. L’orsa voleva allontanare l’uomo dai suoi cuccioli e non uccidere. E allora cosa cambia? Chi ha segnalato il pericolo al povero runner? Responsabile di questa morte non è l’orso (lo si difende o condanna come fosse un essere umano) ma il ripopolamento che oggi è il doppio del sostenibile: oltre 110 orsi in una zona troppo limitata di montagna (110 ettari), e con un numero di capi che se andiamo avanti così nel 2026 si prevede sarà raddoppiato.
Ma chi si duole per la sorte di Andrea, unico “innocente”? Chi si preoccupa di tutti quei turisti impauriti che questa estate forse non frequenteranno più la val di Sole, la val Rendena, il comprensorio Adamello-Brenta? Inoltre, al di là del turismo stagionale, chi soffre di più per la presenza di questi enormi plantigradi sono proprio coloro che potremmo definire i “veri operatori ecologici” di queste zone, contadini e allevatori che oggi hanno paura di addentrarsi in boschi che un tempo erano loro familiari. I montanari temono gli orsi e anche i lupi che attaccano le loro greggi e così si ritirano dall’alta quota, e la montagna si spopola di quella preziosa presenza senza di cui anche il più bel paesaggio mancherebbe: l’uomo.
È l’uomo che si vuole espropriare dai suoi territori? È questo il frutto della nuova ecologia? Gli animali sono al servizio dell’uomo o l’uomo al servizio degli animali? Al di là di un’immagine edulcorata e tenera dell’orso che si muove piano, goffamente, in una natura incontaminata, tra boschi, fiumi e laghi. Al di là di questa immagine da documentario, bellissima ma costruita dietro una macchina da presa. Al di là anche dell’immagine dell’orso uscita dai libri di fiabe, dolce e tenera, che si nutre di miele e si gratta la schiena felice contro un albero. O dell’orso Yoghi dei fumetti che parla con il ranger. Sono umanizzazioni, ma l’orso resta pur sempre uno dei mammiferi più pericolosi. Basti ricordare la metafora della “zampata dell’orso” oggi legata a Putin, ieri all’invincibilità dell’esercito russo.
L’orso – trentino, marsicano, sloveno o siberiano che sia –, non è né buono ne cattivo. Sta a noi gestirlo anziché lasciarci dominare. Come del resto per tutti gli animali e i fenomeni della natura. Siamo padroni e custodi degli animali, non sono essi a dover determinare le nostre scelte. Certo, se fossimo santi tutto sarebbe più facile. Si dice che san Girolamo vivesse con un leone a cui avrebbe estratto una spina dalla zampa. E che san Romedio, proprio in Trentino e non lontano da Caldes, si servisse di un orso per i suoi spostamenti, dopo che l’animale gli aveva ammazzato il cavallo. L’esempio più famoso è quello di san Francesco con il lupo di Gubbio. Esempi di animali aggressivi resi innocui dalla fede. È questa che manca: la fede. L’equilibrio uomo-animale si è rotto. Non abbiamo ricette se non il buonsenso di prevenire, anche se l’esempio dei santi è suggestivo, ci fa sognare, ci rimanda a un’età felice, paradisiaca, in cui uomini e animali vivevano in perfetta armonia. Ma siamo noi ad aver staccato la spina da Dio e così qualcosa si è rotto, anche nel rapporto uomo-animale. Se torneremo a quella comunione con il divino forse troveremo la strada per rapportarci meglio anche con il mondo della natura. E ben venga chi, come gli etologi, studiando da vicino e con amore il comportamento degli orsi, ci permetta di conoscere meglio le loro abitudini, fino a poterli avvicinare.
Prima di ogni ecologismo, ritrovare questo equilibrio anche religioso è indispensabile. Ritrovare l’equilibrio tra le attività umane e la salvaguardia degli animali e della natura è un compito difficile, ma entusiasmante. Non si tratta di difesa dei diritti degli animali ma di un’armonia, una comunione da riscoprire con il creato. L’immagine biblica di Noè che fa entrare gli animali nell’Arca, a due a due, maschio e femmina, una coppia per ogni specie per salvare la creazione dal Diluvio, è emblematica. Ma quali sono i nuovi diluvi? L’inquinamento, la siccità, le alluvioni, la caccia indiscriminata, l’abbattimento delle foreste, l’estinzione delle specie a rischio e più delicate? L’estinzione dell’uomo? O più semplicemente la mancanza di un senso da dare alla vita? Ecco, tutti dovremmo fare come Noè. Costruire un’Arca, una casa comune per noi e per gli animali che galleggi sulle acque del Diluvio che verrà, qualunque esso sia. Pensiamo alla Romagna, ci siamo andati vicinissimi e ci siamo dentro ancora. Cosa manca: la sapienza contadina di conoscere e trattare la terra.
Ma dopo ogni diluvio ritorna il sereno. Rieccheggiano le parole stupende di Isaia: “Il lupo abiterà con l’agnello, e il leopardo giacerà con il capretto; il vitello, il leoncello e il bestiame ingrassato staranno assieme, e un bambino li condurrà. La vacca pascolerà con l’orsa, i loro piccoli giaceranno assieme, e il leone mangerà la paglia come il bue”. (Isaia 11, 6-8). E se la vacca pascolerà con l’orsa, natura e cultura, spirito selvaggio (il mito della wilderness americana) e spirito domestico finalmente conviveranno.