Ancora una volta, il cristianesimo è solo imputato, l’ebraismo solo giudice. Si può dialogare, in queste condizioni?
di Franco Cardini
Non c’è dubbio che il mondo dei cristiani abbia, nei confronti di quello degli ebrei, molte e gravi responsabilità. Ne abbiamo riflettuto tutti anche di recente, a proposito del cinquantenario della fine dell’incubo di Auschwitz. Certo, molti cattolici – e anche i vertici della stessa Chiesa – sapevano qualcosa della crudeltà del sistema concentrazionario. Forse perfino dello sterminio: e hanno taciuto. Perché molti cattolici erano filonazisti, perché c’era il rischio di attirare anche sulla Chiesa delle persecuzioni, perché era obiettivamente difficile esser creduti. Oggi sappiamo bene che, mentre quasi tutti i tedeschi ignoravano, i governi inglesi e statunitensi sapevano tutto: e hanno taciuto. Ma questo non scagiona i cattolici.
Antica colpa, del resto, la loro. Certo, con l’antisemitismo – che è una dottrina del tutto “laica”, con pretese di scientificità biologica – non c’entrano. C’entrano però con l’antigiudaismo, la giudeofobìa, l’antipatia storico-culturale nei confronti degli ebrei, le interdizioni antigiudaiche della legislazione medievale, i pogrom dei crociati del 1096, il crescere delle leggende contro gli ebrei (la profanazione dell’ostia, l’infanticidio rituale e via dicendo), la cacciata degli ebrei dalla Francia, dall’Inghilterra e dalla Spagna fra Tre e Quattrocento, la ferocia degli scritti antiebraici di Lutero, il mantenimento delle interdizioni antigiudaiche del Sette-Ottocento.
Ma Patrizia Reinach Sabbadini, nella Lettera ai gentili, va oltre. Essa individua, alla base dei rapporti fra cristiani ed ebrei, un costante pregiudizio antigiudaico che sarebbe il fondamento storico-popolare su cui è cresciuto l’antisemitismo.
Il che, a onor del vero, contrasta con l’evidenza storica: tanto che sono state storicamente le critiche “razionali” mosse agli ebrei dal Voltaire a essere riprese dagli antisemiti fra Otto e Novecento: e il Voltaire, nella sua critica contro l’irrazionalità di miti e di tradizioni religiose, accomunava ad esempio ebraismo e Chiesa cattolica. Strano che la Reinach Sabbadini ignori le accuse che da Lutero ai nazisti sono state mosse alla Chiesa cattolica, rea di essere “giudaizzante”. Strano che eviti di contestualizzare storicamente l’antigiudaismo degli apologisti, motivato dalla necessità di ben distinguere tra cristiani ed ebrei (i quali fra I e IV secolo evidentemente si somigliavano troppo) e di evidenziare come i Padri della Chiesa e tutto l’Alto Medioevo siano invece tornati alla piena coscienza della continuità tra il Vecchio e il Nuovo Israele.
Ora, non è senza interesse e senza divertimento che un cristiano può leggere il pamphlet anticristiano della Reinach Sabbadini. Ma lo si legge – diciamo la verità – anche con rammarico: ché, se un cristiano osasse scrivere sull’ebraismo tante e tali inesattezze quante essa ne scrive sul cristianesimo, si beccherebbe una pesante accusa di antisemitismo che lo condannerebbe forse per sempre alla morte civile.
Del resto, le genericità dell’autrice non hanno per obiettivo il solo cristianesimo. Come si può ad esempio dire che al “paganesimo” mancarono sempre, “in campo morale, la sicurezza, la purezza, l’elevatezza e l’indipendenza”? A quale paganesimo si allude? Si ignorano forse stoicismo, scetticismo, neoplatonismo, orfismo, misteri eleusini, mithraismo?
Peggio che andar di notte dinanzi alla protesta di Gesù di voler adempiere la legge ebraica (ma ciò polemicamente si definisce “pretesa di esserle superiore”). Gesù calunnia o dimentica la legge?, si chiede l’autrice scandalizzata sì dall’idea che i cristiani potessero accusare gli ebrei di deicidio, ma del tutto disposta ad ammettere poi che Gesù fosse un millantatore e stupita che si possa pensare a Lui come al Salvatore. Che, in materia di etnocentrismo e d’incapacità di comprensione dell’Altro, è un bel punto fermo.
La verità si potrebbe forse coglier in tutti i suoi aspetti rileggendo Il Vangelo del ghetto d’un intelligente studioso, il rabbino Riccardo di Segni. Le storie ebraiche sull’impostore Gesù, spesso magari divertenti, non meraviglieranno certo chi ben conosce le sofferenze che le comunità ebraiche dovevano sopportare da parte dei cristiani: ma davvero è da meravigliarsi che esse provocassero odio e indignazione? Quello fra ebrei e cristiani nell’ancien régime è stato un discorso fra sordi: non però tra sordi alla pari, ché questi avevano la società e il potere nelle mani e quelli no. Ma quando nella storia si danno un persecutore e un perseguitato, si può ben avere maggior comprensione per il secondo: non si può tuttavia sostenere ch’egli abbia sempre e comunque ragione.
Ma l’ebraismo era concreta adesione alla realtà storica, continua la Reinach Sabbadini, laddove il cristianesimo fu utopìa della carità universale. Il fallimento del cristianesimo, essa commenta, è “l’impossibile amore universale”; non accettando di ammettere ch’esso è irraggiungibile, il cristianesimo ha dato la colpa del suo insuccesso all’ebraismo come “nemico religioso”. E per questa via è pervenuto all’intolleranza.
A questo si giunge attraverso il sistematico misconoscimento della storia e la programmatica negazione del fatto evidente che il cristianesimo, rampollato dall’ebraismo, ha nondimeno accolto altre sollecitazioni e altre tradizioni. Ancora una volta, il cristianesimo è solo imputato, l’ebraismo solo giudice. Si può dialogare, in queste condizioni?