di Andrea Teli
“Governare significa proteggere la gente da se stessa” (Antonio de Oliveira Salazar). Ci è parso che nulla più di questa affermazione, da “schock” anafilattico per il pensiero terminale odierno, possa esprimere la grandezza umana e l’irresistibile fascino antimodernista di Antonio de Oliveira Salazar.
Se i Fascismi europei del ‘900, con le loro affinità e discordanze, hanno comunque rappresentato politicamente l’ultima grande sfida contro la modernità, ovvero – come scrive Zeev Sternhell – “il rifiuto del materialismo cioè dell’essenza dell’eredità intellettuale sulla quale vive l’Europa dopo il XVII secolo”, non vi è dubbio che di questa rivolta ideale l’”Estado Novo”, cattolico e corporativista, antidemocratico, antiliberale e anticomunista, ha incarnato l’anima più reazionaria e medievale, più vicina all’idea di una restaurazione della Weltanschauung anteriore alla rivoluzione francese, con caratteri che ne fanno un “unicum” e sono strettamente legati alla profonda spiritualità cattolica sia del fondatore che del popolo lusitano.
“Il Portogallo – ha sempre riconosciuto lo statista – è nato all’ombra della Chiesa Cattolica, fin dall’inizio essa fu l’elemento formativo della nazione e il tratto dominante del carattere del popolo portoghese”. La resilienza contro la repubblica atea e massonica proclamata nel 1910 affonda le sue radici in questa profonda religiosità, premiata dal cielo con le Apparizioni di Cova da Iria del 1917. “Tutta la mia esperienza politica, da quando sono al governo – dirà ancora il dittatore – mi ha mostrato che il potere temporale non è in grado di compiere la sua missione senza il sostegno del potere spirituale”. Questa è politica, non “partitica” fatta di affarismo, corruzione, trasformismo. Politica come “missione”, in senso anagogico e nella consapevolezza che “nulla potestas nisi a Deo”. Questa è luce del Medioevo, che non conosce la scissione tra sacro e politico.
Fra i cosiddetti “dittatori neri” del XX secolo, la figura di Salazar, nonostante la longevità del governo che ha guidato come Presidente del Consiglio, è quella di un perfetto sconosciuto. Liquidata con poche righe di esecrazione su qualche testo scolastico, è ignota alle giovani generazioni e obliterata dai massmedia. “Damnatio memoriae” indubbiamente facilitata dal fatto che il Portogallo è stato ai margini degli eventi della guerra civile spagnola e di quella mondiale, ma anche dalla personalità singolare di un politico che condusse un’esistenza quasi ascetica e, avverso per natura ad ogni forma di esibizionismo e cesarismo, fece uso del potere in modo silenzioso e discreto, con quello stile di evoliana impersonalità attiva proprio delle antiche corporazioni medievali.
È lui stesso a descrivere in terza persona la sua incredibile ascesa al potere nella prefazione al libro del giornalista Antònio Ferro che intervistò più volte il dittatore fra il 1932 e il 1938: “Quest’uomo che fa parte del governo non voleva governare. Deputato, ha assistito ad una seduta e non è mai più tornato in Parlamento. È stato ministro per cinque giorni; se n’è andato e non voleva tornare. Gli è affidato il governo, non l’ha conquistato. Non ha cospirato, non ha comandato nessun gruppo, non ha intrigato, non ha vinto nessun avversario con la forza organizzata o rivoluzionaria. Restare o andarsene sembra gli sia indifferente e, tuttavia, resta”.
Tuttavia, scrive uno dei suoi detrattori, “Quest’uomo così poco dittatore nei modi e nei costumi, così schivo, pio, riservato, dalla conversazione raffinata e cordiale, durò più di qualsiasi capo di governo ed ebbe la non consueta ventura di morire nel proprio letto e di continuare a governare da quel letto per quasi due anni allorché una emorragia cerebrale ve lo aveva inchiodato” (Libero Montesi).
Siamo ben lontani dalle vicende convulse e tragiche che hanno segnato la vicenda umana e politica di quasi tutti gli altri grandi “leader” fascisti del ‘900, dalle dimostrazioni grandiose e tumultuose del Fascismo italiano o del Nazismo. Salazar si propone come un “normalizzatore” (così ama definirsi), un uomo d’ Ordine (perché “l’ordine è bellezza”), non cerca il contatto inebriante con le folle (“Preferisco il rispetto alla passione. È così incostante e pericolosa. Quelli che oggi mi applaudono forse che esiterebbero a voltarmi le spalle se fossero vinti da un’altra passione?”).
Detesta i viaggi e non visiterà mai nessuna delle province d’”Ultramar”. Rivive in lui il Portogallo della “Reconquista”, ancora immune dal fascino dell’oceano. Eppure stupiva i suoi interlocutori dimostrando di conoscere luoghi e persone di quelle province nei minimi dettagli, come se ci fosse nato e vissuto. “La sua testa conservava quasi un archivio totale dei portoghesi che vivevano nella madrepatria e nell’Oltremare” (Marco Ferrari).
È celibe (secondo alcune testimonianze morirà vergine per un voto fatto alla Madonna in Seminario), vive modestamente, mangia poco, si alza presto, dorme poco, non partecipa a feste, evita, nei limiti del possibile, di farsi fotografare. “Invisibile come un eremita”, “Asceta del potere assoluto”, “Filosofo della politica”, “Professore emigrato nella politica”, il “Quasi dittatore” governa con polso mite ma fermo per quarant’anni l’ultimo grande impero coloniale del pianeta (Capo Verde, Guinea, São Tomè e Principe, Angola , Mozambico, Goa, Macao, Timor est ), unico baluardo rimasto, alla fine degli Anni ’60, contro il materialismo e il neo-colonialismo sia comunista che americanista, perché ormai “L’Europa si vergogna di professare la sua alta missione educatrice e civilizzatrice cui Dio l’ha chiamata”.
Antonio de Oliveira Salazar nasce il 28 aprile 1889 a Santa Comba Dão, in una delle più belle regioni lusitane. Ancora oggi, per chi l’attraversa in macchina, è possibile assaporarne l’atmosfera di stregante arcaicità. Si viaggia su strade senza traffico, disertate dai turisti, tra uliveti, campi di grano, vigneti, pini marittimi e macchie di sugheri a perdita d’occhio; qua e là ci si imbatte in piccole città fortificate bianche come lenzuoli, stracariche di storia (ognuna col suo Conquistador, senza macchia e senza paura, nelle epiche, secolari battaglie contro mori e spagnoli), castelli e monasteri (come quello di Alcobaça, con le tombe di Pedro I e Ines de Castro, i due amanti infelici protagonisti di una tragedia così simile a quella di Mayerling), cattedrali in stile arabeggiante, chiese gotico-barocche con pareti interamente rivestite di ceramica (i famosi “azulejos”), dove la gente, quando hai finito di pregare, ti ferma per chiederti da dove vieni e regalarti un’immagine della Madonna che ti accompagni nel resto del viaggio.
È il cuore del Portogallo rurale con le sue secolari tradizioni, abitato da gente silenziosa e laboriosa “così vicina alla terra e al Cielo” ( M. Eliade), come “os tres pastorinhos” di Fatima. Una evoliana civiltà del Tempo, che sfugge tuttora ai tentacoli della globalizzazione, nella quale rispetto al Medioevo sembra mutato davvero poco.
In questo “Paradiso perduto”, Antonio de Oliveira (Salazar è il cognome della madre), ultimogenito maschio con quattro sorelle di poco più grandi, trascorre l’infanzia e assimila dai genitori, di umili condizioni, quella fede che informerà tutta la sua vita e la sua azione politica, “una fede del tutto priva di drammaticità, che ha imparato da ragazzo e ha compreso da adulto”, che ha appreso “amandola così come fanno i bambini con altri aspetti fondamentali, come camminare, parlare, giocare, cantare” (M. Eliade). Il mondo contadino dove è nato e cresciuto rimarrà per lui l’icona di una vita “secundum naturam”, aliena dalle degenerazioni e dalla frenesia epilettoide della modernità.
A undici anni è nel Seminario gesuita di Viseu e vi rimane fino ai venti approfondendo gli studi di teologia (in particolare San Tommaso d’Aquino). Rinchiuso nel suo guscio di discrezione e ritrosia, non fa nulla per attirare l’attenzione degli insegnanti, che solo tardi si accorgono delle sue eccezionali qualità. “Non gli usciva mai dalle labbra una frase inutile; nascondeva il suo grande valore intellettuale sotto una modestia così profonda da confondersi con la timidezza”, così lo ricorda un coetaneo.
La sua vocazione, contrariamente alle aspettative dei genitori, non sarà tuttavia quella del sacerdozio; la sua vera passione è l’insegnamento (la scopre impartendo lezioni ai condiscepoli durante il doposcuola). All’Università di Coimbra – dove matura definitivamente l’amore “verso le cose che durano: la Chiesa, la gloria del Portgallo e le opere del pensiero” (Eliade) – sarà prima studente e poi professore di Economia politica.
Nel frattempo il Paese precipita nel caos. La repubblica demo-liberale, proclamata nel 1910 due anni dopo l’assassinio del re Carlo I, e che ha visto succedersi 45 governi nel giro di tre lustri, è allo sbando e l’economia in “default”. Con il colpo di stato del generale Carmona del 1926 i militari si sono impadroniti del potere, ma, non sapendo come fronteggiare la disastrosa situazione economica, si rivolgono al giovane professore di Coimbra per offrirgli il ministero delle finanze.
Nonostante la pubblicazione di un paio di monografie, non è certo una celebrità. “Non lo conosceva nessuno – scrive Antònio Ferro – tranne nelle intime e discrete viuzze di Coimbra e nei corridoi dell’Università, nei quali si perde l’eco dei passi…”. Accetta dopo molti dinieghi solo dopo aver ottenuto, come “condicio sine qua non”, carta bianca, vale a dire i pieni poteri. Non intende essere ostaggio del Parlamento. “Sono profondamente anti-parlamentare, perchè detesto i discorsi oziosi, verbosi, le interpellanze ampollose e vuote”.
Nella “palude di rospi gracidanti” (così ben descritta da Leon Degrelle), dove ha assistito a una sola seduta come deputato del CCP (Centro Catòlico Português), non vuole più tornare. Si assume lui ogni responsabilità decisionale. La sua prima mossa (straordinariamente attuale, “mutatis mutandis”…) è quella di rifiutare il prestito della Società delle Nazioni che avrebbe comportato, con la presenza di una commissione di controllo, sottomissione a interessi stranieri e perdita di sovranità per il Paese (“è sempre possibile tappare un buco aprendone un altro. Non è il mio modo di procedere”); preferisce rivolgersi all’orgoglio del suo popolo e chiedere in modo trasparente i sacrifici necessari.
Nell’arco di un biennio riesce nell’impresa miracolosa di ripianare, riportandolo in attivo, un bilancio che pareva irrimediabilmente compromesso. “Il Portogallo, grazie alla dittatura del grande cristiano Salazar è il solo stato del globo il cui bilancio si chiude, in questi ultimi anni, con un’eccedenza di entrate e con le tasse più leggere d’Europa”. Così si esprimeva lo storico Gonzague de Reynold negli Anni 30.
È il preludio alla realizzazione di quella rivoluzione politica che ha in animo e si compie nel 1933 con l’approvazione, mediante plebiscito, della nuova Carta costituzionale antidemocratica e filo- fascista. I vescovi portoghesi hanno da poco consacrato il Portogallo al Cuore Immacolato di Maria (il 13 maggio1931). Nasce “O Estado Novo”, che, sulle orme del Fascismo di Mussolini, supera la liberal-democrazia e ripudia il modello social-comunista. Il nuovo assetto gli consentirà, rimanendo però sempre dietro le quinte (non sarà mai Presidente della Repubblica), di governare con pieni poteri, grazie alla fedeltà dell’esercito, per quasi un quarantennio.
Sono messi fuori legge scioperi e serrate, cancellata la partitocrazia. È lo stato organico e corporativo che abolisce i conflitti sociali. L’unico partito ammesso è l’“União Nacional”, un raggruppamento che dovrebbe accogliere tutti coloro che sono interessati al progresso spirituale e materiale della nazione. “Todo pela Nação, nada contro a Nação”.
La repubblica atea e massonica è spazzata via, e con essa la feroce persecuzione della Chiesa cattolica paragonabile a quella avvenuta nel Messico dei Cristeros e che sta per abbattersi sulla Spagna repubblicana. La Pide (“Polícia Internacional Defesa Estado”) sventerà i conati eversivi di Massoni (messi fuori legge nel 1935) e Comunisti, e veglierà costantemente sulla sicurezza con una azione preventiva e discreta, ma capillare, senza dover ricorrere a forme di particolare repressione, anche per l’assenza sostanziale di un vero dissenso. Alla Legiâo Portuguesa (milizia popolare) spetterà il compito di “difendere il patrimonio spirituale del Portogallo”.
Si comprende veramente la portata rivoluzionaria e antimodernista dell’Estado Novo solo partendo dalla domanda che nel 1942 si era posto Mircea Eliade (il quale visse a Lisbona dal 1941 al 1945) nel suo libro Salazar e la rivoluzione in Portogallo: è realizzabile una rivoluzione che abbia come protagonisti uomini che credono nel primato spirituale? Salazar ritiene la democrazia il nemico naturale dello spirito. Ma per lui “solo un’autentica e fertile vita spirituale è in grado di garantire l’ordine politico” (Eliade). Quando parla di “spirituale” egli non usa il termine in modo vagamente nostalgico, ma – come ci invita a osservare ancora Eliade – si richiama esplicitamente alla tradizione spirituale portoghese, che è cristiana, latina ed europea.
Da essa discende il fondamento morale della sua rivoluzione sociale: non bisogna aspirare al Potere come a un diritto, ma accettarlo ed esercitarlo come un dovere, considerando lo Stato come “il ministero di Dio per il bene comune”. Siccome poi, per Salazar “è la crisi morale prima ancora che materiale a rendere infelice il mondo”, nessuna soluzione politica può risultare efficace senza un profondo rinnovamento interiore. “Ricchezza, beni, produzione non costituiscono per sé fini da raggiungere… e non significano nulla se non sono atti alla conservazione e all’elevamento umano”. Gli stessi tracolli economici e i deficit finanziari sono dovuti “non soltanto a una detestabile amministrazione, ma anche a una falsa visione della vita”.
È inutile cambiare i governi o risanare l’economia se non si cambia l’uomo. L’”homem novo” deve precedere “l’estado novo”. Il politico deve essere quindi soprattutto un pedagogo, un formatore di uomini, che tiene conto dei loro limiti dovuti al peccato originale (“non si governano angeli nel cielo ma uomini sulla terra”) e l’educazione, soprattutto dei giovani, deve avere un ruolo primario nello stato, perché a essa è affidato il compito di riplasmare le persone e di elevarle spiritualmente (“l’uomo deve essere educato a dominare il proprio corpo, i sentimenti e le passioni, e realizzare la sua finalità nella società in cui vive”).
“Da professore vivevo per i miei allievi… mi sforzavo, per quanto possibile, di fare dei miei discepoli degli UOMINI, nell’accezione più alta della parola, e dei buoni portoghesi – ciò di cui aveva bisogno il Portogallo per prosperare”.
Professore, Salazar lo rimarrà per tutta la vita. “Deus”, “Patria”, “Familia” devono rappresentare l’orizzonte esistenziale della Nazione, insieme all’orgoglio per la sua storia gloriosa. Ne consegue la necessità e l’importanza della censura perché i giornali “sono alimento spirituale del popolo e devono essere sottoposti a vigilanza come tutti i generi alimentari”. Felismina de Oliveira, amore platonico della sua adolescenza di seminarista, rimasta poi amica e confidente, sarà la prima donna ad assurgere al ruolo di ispettrice di tutte le scuole. Diventerà il ministro ombra dell’educazione, “una delle informatrici più acute della guida dell’”Estado Novo” ( Diane Ducret).
Se il riferimento politico prossimo è sicuramente la “Carta del lavoro” del Fascismo italiano del 1927, i presupposti metapolitici su cui si regge l’Estado Novo sono essenzialmente due: la dottrina sociale della chiesa, esplicitata nelle tre encicliche” Rerum Novarum” (1891), “Quadragesimo anno”(1931), “Divini Redemptoris” (1937), e l’idea di famiglia concepita come il vero fondamento dello stato.
La famiglia è – sono sempre parole del dittatore – la “cellula sociale irriducibile, nòcciolo originale della parrocchia, del comune e, ovunque, della Nazione. Essa è dunque, per natura, il primo degli elementi organici dello Stato costituzionale… e solo chi sia capofamiglia gode di diritti politici; solo chi ha cura di un focolare domestico è considerato capace di scegliere i rappresentanti nelle camere corporative o nell’assemblea nazionale”. Siderale la distanza dal Liberalismo che genera al contrario “il cittadino, individuo smembrato dalla sua famiglia, dalla sua classe, dalla sua professione, dalla sua cerchia culturale, dalla collettività economica a cui appartiene”. L’uomo atomizzato di oggi, automa (trans-umano o sub-umano) senza identità alcuna, neppure sessuale, animale da lavoro e consumatore compulsivo.
Frontale anche l’attacco allo pseudo-concetto di libertà delle democrazie liberali: “La libertà predicata e reclamata dagli individualisti è una figura retorica, una semplice immagine letteraria. La libertà garantita dallo Stato, regolata dall’autorità è la sola possibile… L’adulazione della folla, con la creazione del cosiddetto popolo sovrano non ha portato al popolo, aggregato nazionale, né influenza nella condotta degli affari pubblici né ciò di cui, sovrano o non sovrano, ha più bisogno: ESSERE GOVERNATO BENE”.
Stato sociale, nazionale, cattolico, corporativo, fondato, come nel Medioevo, sulla famiglia, sulla parrocchia, sui comuni e le corporazioni, ma non teocratico o clericale. Lo stato non cede neppure una minima parte della sua sovranità alla Chiesa e un partito come la Democrazia Cristiana italiana non sarebbe minimamente concepibile. Netta sarà la disapprovazione da parte di Salazar del Concilio Vaticano II e aspre le critiche alla visita di Paolo VI in India, dopo l’occupazione “manu militari”, da parte di quest’ultima, di Goa, (la “Roma d’oriente” che conserva, nella chiesa del “Bom Jesus”, le spoglie di San Francesco Saverio e da secoli è abitata solo da portoghesi).
In Africa come in Asia per Salazar il Portogallo deve continuare quella missione civilizzatrice ed evangelizzatrice che dal XVI secolo aveva portato i missionari e gli intrepidi navigatori lusitani sull’oceano salato dalle loro lacrime (come nei commoventi versi di Fernando Pessoa: “ó mar salgado, quanto do teu sal são lagrimas de Portugal!”).
Il lusotropicalismo, superando ogni pregiudizio di razza, attribuisce agli abitanti d’oltremare gli stessi diritti di un cittadino di Lisbona o di Oporto (“muitas raças, uma naçâo”) e il governo investe somme ingenti per la costruzione di strade, ferrovie, fabbriche, dighe, centrali elettriche, scuole, missioni. La fatica secolare dei coloni, l’antichità del loro insediamento e il sangue versato dai soldati che vanno all’attacco al grido di “aqui è Portugàl” contro guerriglieri e terroristi pagati e armati dal KGB e dalla CIA, costituisce il “sigillo materiale” del possesso. L’Africa non è terra da esplorare o saccheggiare, “è il Portogallo che rivive”.
Salazar si spegne il 27 luglio 1970 assistito da Dona Maria de Jesus Caetano Freire, la “governanta do Professor” che lo aveva accudito devotamente per 35 anni (e amato segretamente, rimando vergine per lui). Secondo Gonzague de Reynold, il dittatore “aveva sopportato il potere come un cristiano sopporta la croce”, rinunciando al matrimonio per dedicarsi interamente all’opera di restaurazione morale e materiale del Portogallo.
Il cardinale Cerejera, che era stato suo condiscepolo in seminario, ci ha lasciato questo giudizio: “Apprezza la compagnia delle donne e la loro bellezza, eppure (o forse proprio per questo, n.d.r) conduce la vita di un monaco”. Si era sempre rifiutato di accettare titoli come Duce, Caudillo, Führer, si firmava semplicemente “doutor” (il nostro “dottor”).
Viveva da scapolo insieme alla governante (come un canonico con la perpetua) e quando conobbe, tramite Dona Maria, il caso di due bambine rimaste orfane dei genitori, non esitò ad adottarle, incurante della propria tranquillità domestica e trovando il tempo per insegnare loro a leggere e scrivere.
Nonostante le simpatie per l’Asse, aveva tenuto prudentemente il Portogallo fuori dalla guerra, convincendo Franco a fare lo stesso e riuscendo, alla fine del conflitto, a salvare le colonie, a differenza di quanto avverrà per Inghilterra, Francia, Belgio e Olanda. La sua capacità di leggere gli eventi è, come sempre, eccezionale.
Grazie alla sua neutralità, persino ebrei, massoni e comunisti, i peggiori nemici dell’”Estado Novo”, avevano ricevuto “in questo vecchio paese cristiano un’ospitalità d’altri tempi” (J. Ploncard d’ Assac), mentre alla morte del Führer, Salazar sarà l’unico capo di stato ad inviare le condoglianze a Dönitz e a far esporre le bandiere a lutto.
Nel 1945 così Suor Lucia di Fatima benedice il dittatore, incoraggiando i vescovi a sostenerlo: “Salazar è la persona che Dio ha scelto per continuare a governare la nostra patria e a lui saranno accordate la luce e la grazia per condurre il nostro popolo lungo la strada della pace e della prosperità”.
Il Portogallo di Salazar, uscito indenne (anche se isolato politicamente) insieme alla Spagna franchista dalla “Crociata delle Democrazie contro il Fascismo” (Ploncard d’Assac), non ha conosciuto la cosiddetta “prosperity” dei paesi occidentali, col suo tragico prezzo esistenziale, ma ha goduto di un lungo periodo di stabilità e serenità (il Fascismo delle tre “F”, Fado, Futebol, Fatima…) oltre che dei benefici di rilevanti opere nel campo dell’istruzione, delle infrastrutture, dell’assistenza medica e della previdenza sociale.
Non ha conosciuto il disordine morale, la caduta di “livello interiore” delle persone, le disuguaglianze sociali e soprattutto la corruzione patologica delle plutocrazie. Quando si viaggia in Portogallo, ancora oggi, in un certo amore per l’ordine e la puntualità, per la serietà anche nelle piccole cose, nella correttezza, nella dignitosa riservatezza, nella capacità di distinguere istintivamente fra “turista” e viaggiatore alla ricerca di bellezza e verità, nel modo di accogliere col sorriso non sulle labbra ma nel cuore, non si può non intravedere l’impronta, persistente nonostante tutto, lasciata dal Salazarismo. Ci si sente a casa propria, perchè “nell’Idea va riconosciuta la nostra patria, non nell’essere di una stessa terra o di una stessa lingua” (J. Evola).
L’ esempio di onestà e dignità veniva da chi era alla guida dello Stato. “Un appartamento modesto, senza pretese, senza nascondigli, senza segreti; un salottino senza anticamera, uno studio: un completo sobrio di un sarto modesto, una giacca, ma niente portafogli, occhi puri, chiari, ordinati, sul disordine di un popolo… Inutile cercare la camarilla degli amici oziosi, compromettenti, poco onesti, scandalosamente protetti… Forse un ostinato, forse un visionario, forse un orgoglioso, forse un insensibile, forse un disadattato, ma indiscutibilmente un uomo onesto e intelligente. Impossibile anche prenderlo di mira. Non lo si era mai visto per strada, né a teatro, né in una qualsiasi festa. Si sarebbe detto che dirigesse gli affari dello stato dal fondo della cella di un monaco”. Così lo ricorda Antònio Ferro, nel suo libro di interviste.
Un carisma sottile, nascosto, ma straordinario, a cui non si sottraevano i privilegiati che riuscivano ad avvicinare il dittatore. Henri Massis, capo della destra giovanile francese, ricevuto da Salazar nel 1938, dopo aver descritto la stanza in cui era stato introdotto, somigliante “più all’ufficio di un Preside di facoltà o anche di un direttore di convitto, che allo studio di un dittatore” si sofferma anch’egli sugli occhi “dalla luce vivida e pura”.
Quegli occhi che sedussero, con un solo sguardo, Christine Garnier, la giornalista francese che riuscì a intervistarlo e alla quale fece trovare, al suo ritorno in camera, uno splendido mazzo di rose (“di questo viso sconosciuto non vedo che gli occhi. Gli occhi nerissimi triangolari, intensi”). Le aveva ribadito, poche ore prima, che l’emancipazione femminile avrebbe disgregato la famiglia e reso infelici le donne…
Sullo scrittoio del suo ufficio conservava gelosamente una fotografia autografata di Benito Mussolini e sulle pareti disadorne erano appese due cornici, una del Sacro Cuore di Gesù e l’altra con un sonetto di Christophe Plantin, “La felicità di questo mondo…” Ecco i versi più belli:
Volere poco e non sperare niente da nessuno.
Vivere affrancato e senza desideri troppo grandi.
Scegliere la devozione senza tentennare.
Domare le passioni, renderle ubbidienti
Conservare libero il pensiero e saldo il giudizio.
Sussurrare una preghiera coltivando il frutteto.
Questo vuol dire aspettare, tranquillamente,
La morte a casa propria.
Il 25 aprile del 1974 un “golpe” militare socialista (la rivoluzione dei “garofani”) pone fine all’Estado Novo e l’Africa portoghese è abbandonata al suo destino. La Provvidenza ha risparmiato a Salazar di assistere da vivo al macabro obbrobrio. Il processo di dissoluzione antropologica, oggi sotto gli occhi di tutti, è già in atto in un mondo minato dalla sovversione comunista e dall’allucinazione americanista dell’homo dollaricus uniformis.
Nel 1953, al filosofo cattolico Gustave Thibon, aveva confidato: “Ciò che mi angoscia è che nessuno degli uomini politici attuali sembra preoccuparsi di questa perdita di sostanza e di vita interiore, di questo crollo dei costumi e di questa rottura dei legami vitali che colpiscono tutte le nazioni… Non vedono che è l’uomo ad essere minacciato nelle sue fonti e nelle sue opere vive”.
Molti anni dopo – ricorda don Curzio Nitoglia – a un cronista che gli chiedeva se non si pentisse di aver tenuto lontano il Portogallo dal Progresso e dalla Modernità, il “professore” rispose: “E le pare poco?”.