Libero quotidiano 21 gennaio 2018
di Antonio Socci
C’è una piaga sociale che dovrebbe allarmare quanto l’esplosione della povertà fra gli italiani e in parte è amplificata proprio dalla massiccia caduta nella povertà di una grossa fascia del ceto medio. Questa nuova piaga potrebbe diventare altrettanto drammatica e costosa socialmente: si tratta della solitudine.
Secondo un’indagine Istat circa 9 milioni di italiani temono di ritrovarsi soli in un eventuale momento di bisogno dovuto a malattia o altri gravi problemi. La domanda è stata così formulata: «Ha la certezza di poter contare su un certo numero di persone (senza quantificare quante) in caso di gravi problemi personali? Gli altri sono attenti a quanto le accade? In caso di necessità è facile per lei avere aiuto dai vicini di casa?».
Ai nove milioni di italiani che ritengono di poter avere un supporto «debole», cioè temono di trovarsi da soli, si aggiungono poi i ventotto milioni di connazionali che danno una risposta «intermedia». Solo quattordici milioni affermano di poter contare su un sostegno «forte». Sono dati riportati dal sito Quotidiano sanità secondo cui «dai 35 anni in su la paura di restare da soli colpisce quasi un italiano su cinque».
Ovviamente fra gli anziani e i più poveri c’è una maggiore incidenza della solitudine. È infatti una situazione dovuta all’invecchiamento della popolazione e al crollo demografico, due fenomeni che in Italia sono particolarmente gravi, ma anche alla contestuale e progressiva dissoluzione della famiglia che, in questi anni, nel nostro Paese, ha svolto una straordinaria funzione di supplenza dello «stato sociale» ormai sfasciato.
La famiglia ha rappresentato il «welfare state» che ha funzionato nel quindicennio del massacro sociale europeo ed è stato tutto a carico dei cittadini.
Si pensi solo all’enorme disoccupazione giovanile: se non si è trasformata (ancora) in un fenomeno esplosivo e di ordine pubblico lo si deve esclusivamente alle famiglie che hanno tenuto botta. Perfino in Italia, però, dove la famiglia ha retto più che in altri Paesi, adesso si cominciano ad avvertire inquietanti scricchiolii.
INVERNO EUROPEO
D’altronde tutta l’Europa sta facendo i conti con il crollo demografico, con l’invecchiamento della popolazione e con la dissoluzione della famiglia.
Il «ministero per la solitudine» varato nei giorni scorsi dal governo britannico si riferisce allo stesso problema sociale che anche nel Regno Unito riguarda circa nove milioni di persone e che sta diventando esplosivo: la condizione di solitudine che vivono molti anziani, ma anche giovani disabili e altre categorie di persone.
Da un’indagine condotta nel Regno Unito è emerso addirittura che 200 mila anziani per più di un mese non hanno avuto un dialogo con qualcuno (parente o amico). Questa condizione di isolamento ha una pesante ricaduta sulla salute delle persone (anche sulla salute psicologica e mentale). Quella britannica è la prima avvisaglia di un fenomeno che diventerà generalizzato in Occidente. La dissoluzione della famiglia è un evento epocale perché la famiglia è – di fatto – la più antica istituzione umana, precede tutte le organizzazioni sociali (tribù, stati, imperi, regni, repubbliche) e a tutte era finora sopravvissuta.
Nel Novecento è stata aggredita dai diversi totalitarismi che trovavano in essa un ultimo argine al dilagare del loro indottrinamento ideologico verso le nuove generazioni. Sta riuscendo invece nell’opera di demolizione il nichilismo relativista esploso con il ’68. Sta vincendo anche in Italia dove la storica solidità della famiglia era già criticata da certe correnti ideologiche che ne hanno fatto a lungo una grottesca caricatura fino a considerarla un fenomeno di arretratezza civile e di asocialità.
Adesso il nostro Paese – nel disinteresse assoluto dei governanti – ha il record nella triste classifica europea del crollo demografico. Secondo alcuni studi, con gli attuali tassi di natalità, entro la fine di questo secolo l’Italia perderà l’86 per cento della sua popolazione. Il canadese Mark Steyn sostiene che nel 2050 il 60 per cento degli italiani non avrà né fratelli né sorelle, né cugini, né zii o zie. Significa la sparizione, per sempre, della grande famiglia italiana che scompare dalla scena della storia.
È una sorta di «genocidio» culturale e spirituale che preluderà alla vera e propria estinzione degli italiani. Nelle residuali famiglie a figlio unico la «solitudine» sarà il convitato di pietra abituale già per «il figlio» e poi per il naturale invecchiamento dei genitori o per le situazioni drammatiche della vita come la malattia o la spaccatura dell’unità familiare dovuta a separazioni o divorzi.
C’è però anche un altro aspetto che di solito non si considera. Non poter più fare l’esperienza della «fratellanza», perché quasi nessuno più avrà fratelli o sorelle, cosa significherà? Non c’è solo il valore educativo per l’individuo dell’avere fratelli e sorelle (ciò che ti abitua a condividere e a non sentirti come il centro dell’universo), ma anche la perdita di significato generale della parola «fraternità».
È noto che, con il cristianesimo, la parola «fraternità» ha denominato specialmente la vita religiosa (basti pensare a san Francesco e ai suoi seguaci che si chiamano «frate» e «sorella»). Ma la fratellanza ha connotato più in generale tutta la comunità cristiana e quindi tutta la società. Per influsso del cristianesimo la «fraternità» è diventata un valore sociale riconosciuto perfino nella modernità laicista e anticlericale, che non sarebbe nemmeno immaginabile senza il cristianesimo. Infatti ritroviamo la «fraternità» nel linguaggio della massoneria e nella famosa triade della rivoluzione francese, «libertà, uguaglianza, fraternità». Magari veniva proclamata mentre nelle piazza si tagliavano le teste (specie di preti e suore), ma proveniva comunque dalla storia cristiana (come pure libertà e uguaglianza).
La ritroviamo poi – pacificamente – nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 che all’articolo 1 recita: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza».
RICHIAMO ASTRATTO
Ma se andiamo – velocemente – verso un mondo senza veri fratelli e vere sorelle, senza l’esperienza concreta della fratellanza – non diventerà sempre più astratto il richiamo alla fratellanza universale? Se la solitudine comincia ad avanzare, come un deserto che divora la costruzione umana, già nelle famiglie, e anche i legami comunitari un tempo formati dal cristianesimo non ci sono più, se già oggi milioni di persone in un Paese come l’Italia, temono di trovarsi da soli o sono soli, che senso ha proclamare a parole la fraternità e la solidarietà?
Infine c’è da chiedersi come e perché si è verificata, in questi anni, una così vasta rivoluzione antropologica, che sta mettendo fine alla più antica e solida istituzione umana, la famiglia, che è l’alveo concreto della fratellanza.
Ma non è poi così difficile capire quali ideologie e quali poteri hanno assecondata questa rivoluzione. Anche se magari sono gli stessi ambienti che predicano – a parole – l’ideologia della fraternità e della solidarietà.