Tratto dal sito Comunità Ambrosiana (Alleanza Cattolica Milano) aprile 2016
Marco Invernizzi
I corpi intermedi sono una caratteristica della società occidentale che la rendono diversa non soltanto dai regimi totalitari, ma anche in generale dal “dispotismo orientale“, titolo di un libro di Karl August Vittfogel di tanti anni fa che spiegava come in Oriente la società si fosse sviluppata poco, sostituita dalla burocrazia dello Stato, ancora prima che il comunismo facesse il suo lavoro di invasione dello Stato sulla società.
I corpi intermedi costituiscono lo scheletro di una società, la sua articolazione fra la persona singola e lo Stato. Il primo di essi è ovviamente la famiglia, ma tutte quelle forme di aggregazione che gli uomini organizzano fra loro per raggiungere i diversi obiettivi, sociali, economici, politici, culturali o ricreativi, possono a buon titolo essere annoverati fra i corpi intermedi; fra questi bisogna ricordare gli ordini professionali e le diverse associazioni di categoria. Il fatto che spesso si siano comportate e quindi appaiano al cittadino come realtà parassitarie, che pensano soltanto ad autoalimentarsi, non deve fare dimenticare la legittima e necessaria funzione originaria di diffusione e di coinvolgimento della società nell’esercizio del potere, secondo il principio di sussidiarietà insegnato dalla dottrina sociale della Chiesa.
Corpi intermedi sono anche i sindacati, che hanno preso il posto dopo la Rivoluzione francese delle antiche corporazioni sebbene con la non piccola differenza che queste ultime univano insieme datori di lavoro e lavoratori, mentre il sindacato organizza solo gli appartenenti a una classe. Sono in qualche modo corpi intermedi anche i partiti politici, sebbene essi nella loro accezione moderna siano nati come portatori delle diverse ideologie della modernità e quindi non possano essere messi sullo stesso piano di quelle realtà sociali “naturali“, come possiamo chiamare appunto i corpi intermedi.
Ebbene, tutti questi corpi intermedi stanno scomparendo. Lo ha avvertito con la consueta acutezza di analisi Giuseppe De Rita scrivendone sul Corriere della Sera del 14 aprile scorso. In nome del decisionismo, dal governo Monti in poi sono in via di smantellamento tutte le forme e i luoghi della riflessione e della decisione politica: il massimo è stato raggiunto con l’imposizione da parte del governo Renzi del voto di fiducia sul disegno di legge che colpisce la famiglia equiparandola ad altre forme di convivenza, in particolare fra persone dello stesso sesso.
In pratica, in una Repubblica parlamentare il Parlamento è stato umiliato dal governo, anche se a sua volta non ha opposto una adeguata resistenza all’umiliazione subita. Su una legge così importante è stato impedito al Senato di esaminare e votare anche su un solo comma e sembra che anche alla Camera il governo voglia porre la fiducia.
Ma non si tratta soltanto di questo evento, che pure colpisce tutti coloro che hanno a cuore la famiglia come cellula fondamentale della società e che offende i milioni di italiani che hanno riempito piazza San Giovanni e il Circo Massimo. È tutta la linea di tendenza che accompagna gli ultimi governi a preoccupare perché manifesta una volontà di sopraffazione con la scusa di dare al potere esecutivo la capacità di prendere decisioni in tempi brevi.
Abolito il Senato, eliminate le Province, ci sarà pure una legge elettorale che attribuisce un premio di maggioranza al primo arrivato che di fatto eliminerà il ruolo delle opposizioni. Se il potere è molto diffuso sul territorio e se esistono contrappesi diventa difficile governare velocemente, ma se accade il contrario c’è molto da preoccuparsi per il futuro delle nostre libertà.
Si dirà che l’impotenza del potere esecutivo è stata denunciata da tanti governi, sia di destra che di sinistra; tuttavia c’è una differenza sostanziale perché negli ultimi 20 anni si parlava di rinforzare il potere esecutivo nell’ambito di una Italia che sarebbe diventata sempre più federalista e appunto il federalismo avrebbe dovuto diffondere il potere e impedirne la centralizzazione, attribuendo competenze e poteri ai tanti corpi intermedi.
Oggi invece il federalismo è scomparso, lo Stato si riprende i poteri che aveva concesso alle regioni e i comuni possono poco o niente. Il centralismo dello Stato ritorna a essere l’orizzonte della politica nazionale, con un esecutivo sempre più potente. E peraltro questo neocentralismo non produce e non produrrà una maggiore efficienza, come sempre avviene quando ci si allontana dalla concretezza del problema da risolvere, secondo la logica di trasferire la soluzione dei problemi dalla periferia al centro.
Ricordiamocelo nel prossimo ottobre, quando dovrebbe esserci il referendum confermativo della legge che riforma la Costituzione in una direzione ancora più statalista.