La vicenda della conversione di Abdul Rahman fa discutere anche il mondo arabo
Samir Khalil Samir
Si cerca di mostrare un volto più tollerante dell’islam per renderlo attraente. Qualcuno suggerisce d’integrare elementi positivi dalle altre fedi, senza per questo cambiare religione. Altri, affermano chiaramente il loro diritto a scegliere la propria fede. L’islam dei giovani non è monolitico, ma pluralista. Eccone alcuni esempi.
Scrive Jimmy Yussuf dall’Egitto: «Il Creatore ha dato alla creatura ragionevole la libertà di scelta. Non ha distrutto Adamo ed Eva, ma li ha espulsi dal paradiso. Questa è la giustizia! Uccidere chiunque a causa del suo rapporto con Dio è contrario alla giustizia divina!».
Dal Kuwait, ecco Bassam: «Guardate i musulmani in Occidente: vivono bene, acquistano la cittadinanza e sono proprietari, e c’è pure chi siede in Parlamento. Qui invece, vivi e muori e non ottieni un soggiorno permanente. I diritti più naturali non sono garantiti: puoi nascere e vivere cinquant’anni nel Paese e poi essere espulso!»
Incalza Sanâ’ ‘Azar, dalla Siria: «Perché il musulmano che si fa cristiano diviene miscredente e deve essere ucciso, e il cristiano che si fa musulmano non lo è? Quale religione autorizza l’uccisione? Interrogatevi sul motivo della conversione, prima di esigere l’uccisione!».
Non manca la testimonianza di un convertito, Layth, da Baghdad: «Anch’io ero musulmano e mi sono fatto cristiano, ma in segreto, ovviamente per paura d’essere ucciso! Dico a tutti i musulmani: se fossi tornato all’islam per paura che mi uccideste, sarei stato nel mio cuore un credente musulmano? Adottare una religione può essere frutto di minaccia, oppure di una scelta esistenziale?».
C’è però chi – come Nâfi’ al-Naddâwi, che interviene da Baghdad – la pensa molto diversamente: «L’islam è venuto a portare a compimento le religioni che l’hanno preceduto. Perciò il musulmano può, se lo vuole, prendere dal cristianesimo o dal giudaismo ciò che gli sembra utile e che non trova nell’islam. Ma la conversione non fa parte della libertà di scelta, perché la religione non è un partito, ma è una legge divina che deve essere osservata».
Islam Mahmud, che sta ad Alessandria d’Egitto, afferma di voler chiarire alcuni punti. «Nel Corano ci sono decine di versetti che affermano la libertà di credere, lasciando a Dio di castigare chi pecca. Aderire a una religione è un atto libero, e abbandonarla è un diritto. Il Profeta non ha punito gli ipocriti miscredenti, malgrado i versetti del Corano contro di loro: si è accontentato di non pregare per loro. Quanto alle guerre dell’apostasia intraprese dal califfo Abu Bakr, erano guerre politiche, non religiose!».
«È da molto tempo che studio il problema dell’apostasia», afferma Ragi Hassan, dal Cairo. «La mia convinzione personale è che non è lecito uccidere l’apostata, per due motivi. Primo: non esiste un testo rivelato chiaro che lo dice, anzi: afferma il contrario “non c’è costrizione in religione”. Secondo motivo: quanti occidentali saranno scandalizzati se un uomo viene ucciso? Se così accade, avremo perso noi. Per me, è l’occasione per far sapere al mondo che l’islam è la religione della tolleranza».
Dall’Iraq interviene Umar Muhammad ‘Abdallah: «Sono musulmano. In possesso di tutte le mie facoltà mentali, voglio passare al buddhismo che è più conforme moralmente alle mie convinzioni e alla mia educazione umana. Che ne dicono i fratelli wahhabiti e salafiti che condannano gli altri come miscredenti?».
Dal confronto tra queste varie opinioni, si può rilevare che all’interno del mondo islamico sono ben vivi gli interrogativi a proposito della conversione dall’islam a un’altra religione. In questo senso, la vicenda di Abdur Rahman, in sé amara, si rivela un’occasione preziosa per l’islam, nel suo cammino di elaborazione di un rapporto con la modernità. Quanto a noi cristiani, tale vicenda ci fa capire la necessità di dare testimonianza del Vangelo, con chiarezza e dolcezza, senza offendere nessuno e senza aver paura delle conseguenze… proprio come Abdul.