La Verità lunedì 29 Aprile 2024
Quella mussulmana non è solo una religione, ma una ideologia totalitaria incompatibile con la nostra laicità. Ecco perché i migranti non si adattano alle nostre usanze. Mentre si moltiplicano i segnali di come noi ci stiamo piano piano piegando alla loro cultura.
di Silvana De Mari
Chi pecora si fa il lupo se lo mangia. L’ingenuo e il vile sono sopraffatti dal prepotente. Le persone che tendono ad essere troppo arrendevoli finiscono per essere sopraffatte dalle prepotenze altrui, e non danneggiano solo sé stessi, perché la loro arrendevolezza è acqua e fertilizzante per la prepotenza, così che alla fine essa riuscirà a travolgere tutto e tutti. Il proverbio nasce da Seneca che nel testo Ad Helviam matrem scrive «Nemo ab alio contemnitur, nisia se ante comptempus est» (Chi non stima se stesso non può essere stimato dagli altri).
Dopo aver vietato di dire buon Natale, festeggiamo il Ramadam. Giulio Meotti racconta la resa dell’Europa in un poderoso tomo dal titolo La dolce conquista. E’ un lungo elenco di evidenti senza senso, anzi con un senso preciso.
Una civiltà forte come la nostra non poteva morire per assassinio, sta morendo per suicidio, un suicidio ridicolo basato sul disprezzo del cristianesimo, e quindi sull’odio di sé, cominciato con l’illuminismo, proseguito con il marxismo e i suoi due figlioletti gemelli eterozigoti, comunismo sovietico e nazismo tedesco, trionfante nel ’68 e che ora ha il suo apogeo nella sottocultura woke.
Il libro arriva come ultima puntata di una lunga serie di dolorosi saggi tra cui Evviva! Ci arrendiamo. La dolce resa dell’Europa di fronte all’islam scritto nel 2006 da Henryk M. Broder, i libri di Oriana Fallaci, L’identità infelice di Alain Finkielkraut, i libri di Magdi Cristiano Allam. Tra i primi ne ha parlato René Marchand, che ha affermato che in occasione del ramadan, da noi, l’islam, totalitarismo guerriero, usa la nostra concezione di «religione» come cavallo di Troia per la conquista sovversiva dell’Europa.
Dove ci sia un processo di immigrazione, il peso dell’integrazione dovrebbe gravare interamente sulle spalle del popolo migrante, che deve integrarsi senza violare le regole del popolo di accoglienza. Dove le regole sono diverse, è il popolo migrante che deve modificare le proprie. Le mie amiche andate in Iran a fare le archeologhe o le professoresse, ci sono state con la testa coperta, nessuna ha mai firmato in pubblico (arresto immediato) né si è fatta vedere mangiare in pubblico durante il ramadan.
Dove il peso di modificare le leggi sia sulle spalle del popolo di accoglienza siamo di fronte ad un processo di colonizzazione.
Ogni popolo ha diritto ad una terra dove si parli la sua lingua, dove le sue tradizioni e la sua cultura non siano offese, dove i suoi figli non siano disprezzati, altrimenti quel popolo si sta preparando a diventare un popolo senza terra. L’adattamento non è possibile per l’Islam.
La presenza islamica in Europa non ha come scopo l’integrazione, ma la libanizzazione, prima dell’islamizzazione totale. Col termine libanizzazione si intende una modificazione antropologica mediante immigrazione massiva, come quella che ha trasformato il Libano: mezzo secolo fa era una nazione a maggioranza cristiana, prospera e moderna, definita la Svizzera del Medioriente, ora è una nazione a maggioranza islamica.
Segni come la scelta dei nomi di bambini d’immigrati venuti dal Maghreb, la moltiplicazione delle moschee o il velo per le donne, le aggressioni ai cittadini ebrei, il vandalismo fino al rogo delle chiese, la richiesta (pretesa) del rispetto dei tempi di preghiera e delle festività islamiche nelle scuole e nei posti di lavoro, sono inequivocabili segni di una campagna di islamizzazione del nostro continente.
L’Europa ospita sul proprio suolo una comunità musulmana di più di venti milioni d’individui, peraltro in costante crescita sia per via interna, sia per apporto esterno: «immigrati» stanziali che rifiutano l’assimilazione pura e semplice ai popoli che li hanno accolti, e rivendicano sempre più diritti particolari.
Definire l’islam solo come «religione»: è una trappola mortale. Così facendo proibiamo a noi stessi di esaminare da vicino la sua natura, la sua ideologia, i suoi modi di espressione, i suoi mezzi e i suoi fini, e ci guardiamo bene dall’interferire nelle pratiche dei suoi fedeli, che non sono compatibili né con le nostre costituzioni né con la nostra vita. Un islam laico è impensabile perché contrario ai dogmi più sacri.
Un islam che accetti le leggi e i costumi di un Paese non musulmano, «restituendo a Cesare ciò che è di Cesare», è altrettanto impossibile. O la laicità o l’islam. In tutta la sua storia non appena ne ha il potere, un’autorità fondata sull’islam ha sempre ridotto i non musulmani allo stato di soggetti subordinati e ha loro proibito ogni propaganda della loro ideologia, perché questi sono gli ordini del Corano.
Se lasciamo che l’islam si accomodi confortevolmente sul nostro territorio, con la vana speranza di controllarlo, i nostri governanti non fanno posto a una religione della sfera privata tra tante, ma a un totalitarismo incompatibile con tutto ciò che fonda la nostra civiltà. L’islam nasce espansionista e guerriero e può solo essere espansionista e guerriero.
Tra i mezzi legittimi dell’espansione, figura la guerra, ma c’è anche una espansione sotto una forma sovversiva; l’islam ammette, anzi raccomanda, tutti i mezzi; furbizia, dissimulazione, menzogna (taquiyya, kitmân, makr…). Allah garantisce a colui che svolge questo compito, quest’obbligo, le più grandi ricompense: quando è in vita, il bottino, e se dovesse morire come «martire» nel «cammino di Allah», il Paradiso.
Sin dalla nascita, nel VII secolo della nostra era, l’islam ha diviso il mondo in Casa dell’islam (dar al islam) e Casa della guerra (dal al harb). Sul ruolo della guerra nella storia dell’islam, gli specialisti sono unanimi: in ogni epoca essa fu il mezzo privilegiato della sua espansione. Robert R. Reily nel suo La chiusura della mente musulmana spiega come ogni riforma sia impossibile, la dinamica involutiva si è instaurata nell’XI secolo con la de-ellenizzazione dell’islam, e il rifiuto, anzi la proibizione, della filosofia. Avicenna e Averroé, ultimi filosofi islamici. Sono stati dei dissidenti e non hanno potuto avere seguaci.
La libanizzazione, cioè l’islamizzazione soft dell’Europa, sta avvenendo mediante la squisita contrapposizione di acquiescienza e protervia, due fenomeni che si armonizzano e si combaciano.
L’islamizzazione può avvenire con la guerra come è successo per l’Anatolia cristiana e Costantinopoli, attualmente Istambul. In queste regioni il tasso dei cristiani era in origine il 100% della popolazione: è diventato il 30%. I veterinari si dichiarano obiettori di coscienza per non assistere alla spaventosa crudeltà delle macellazioni islamiche, mentre aumentano i casi di bambini che hanno il divieto di ascoltare musica e quindi tengono le orecchie coperte di tappi durante le lezioni di musica. Nell’islam la musica è vietata.
Molti mi obietteranno che nei quartieri islamici si ascolta sempre musica, ci sono anche cantanti islamici, che fanno parte di un nuovo fenomeno, l’islam glamour, e che si fanno fotografare alla Mecca. Ci sono anche molti islamici che bevono alcol e c’è un gran numero di cattolici che convivono senza essere sposati. Ma il divieto di ascoltare musica esiste. Lo hanno fatto rispettare i talebani e le corti somale.
Alcuni genitori più integralisti vietano ai loro figli di frequentare lezioni di musica. Allah verserà piombo fuso negli orecchi di chi ha ascoltato musica. La musica è riservata al paradiso. Un caposaldo della nostra religione, re Davide danzava al suono del flauto, nelle nostre chiese c’è un organo. Nessuna nostra cerimonia è concepibile senza musica. Chi disprezza la musica, chi la considera impura, disprezza noi.
Ogni popolo che per motivi di interesse, manodopera a basso costo, o buonismo isterico, tollera sul proprio suolo una civiltà che disprezza la sua cultura, la sua religione e i suoi figli. Considerandoli impuri è, per usare un termine della buonanima del principe De Curtis, in arte Totò, una società di fessacchiotti.
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