di Giuliano Ferrara
La verità sta dentro di noi Cara Ritanna, grazie per la lunga lettera. La molta dei tuoi ragionamenti e sentimenti è che io condanno le donne, accuso le donne, giudico le donne che abortiscono.
Io giudico solo me stesso, accuso e condanno solo me stesso, e qualche volta sono come tutti straordinariamente indulgente.
Quando ho risposto a Sofri e alle sue troppo umane provocazioni sulla vita personale, mi sono esposto per complicità in un triplice delitto d`aborto. Leggendo ora i tuoi ragionamenti sulle colpe della società, che condanna le donne ad abortire, mi sono accorto di essermi assolto in poche righe usando uno stile dolcificante che anche tu usi, e per giunta di avere pensato inconsciamente che fosse possibile cavarmela con una dieta liquida e con una buona azione.
E ho fatto pure lo spiritoso e il cinico e il mondano prendendo in giro la mia stessa buona azione, scrivendo che non mi capacitavo di tanta audacia. Ma nella questione che si è aperta ironia e pudore sanno di zolfo.
Non essendo mai entrato in un confessionale, fuori dalla comunione con una chiesa che assolva, io mi sono assolto da solo con un espediente sofistico, retorico, della cui miseria mi accorgo solo adesso che tu mi riproponi la storia privata da me raccontata.
Pensavo subliminalmente, aprendomi a me stesso e agli altri, di rendere chiare le responsabilità della cultura, dell`ambiente e dell`ideologia del tempo in cui quei tre delitti sono stati commessi con la mia attonita ma indifferente complicità, e che questo servisse a spiegare le ragioni della mia rivolta contro la strage degli innocenti. Subliminalmente, cioè con una falsa coscienza della cosa, cioè ideologicamente.
In realtà io ho personalmente concorso a uccidere tre persone che oggi avrebbero dai venti ai trentacinque anni. La scienza genetica oggi me lo dice a chiare lettere, ma lo sapevo già senza bisogno del microscopio del genetista, dell`ecografia e dell`amniocentesi. Lo sapevo, e tacqui perché non ero un giusto, e non lo sono tuttora. E ho usato violenza su tre donne, con il loro consenso, lasciando che usassero violenza contro di sé e contro il loro e mio amore.
E per lo stesso motivo: perché non ero, e non sono, un giusto. Affetto come sono dal complesso latino di Don Giovanni, dunque incapace di pentimento, mi sono inflitto una piccola punizione a me utile, non esente da orgoglio e narcisismo, nel quadro di una polemica pubblica con tutto il suo effimero trascinato dietro. E mi sono intimamente compiaciuto che molta gente scrivesse al giornale di pregare per me. Un orrore.
Da un certo punto di vista, che è quello personale e non quello di una campagna di informazione e cultura sacrosanta, il dramma del mio chiostro senza Dio e senza direttore spirituale è poco più di una farsa. Qualcosa di perfettamente corrispondente al mio uso paradossale della frase irridente sugli atei devoti.
Tutto questo non era nelle mie intenzioni, ma che cosa contano le intenzioni? Il riscatto è la grazia, di questo sono certo. La frase giusta, che non si declina né al femminile né al maschile, ma nel caso neutro e universale e pluripersonale della condizione umana e creaturale è questa: mea culpa. Ma la grazia fa quello che vuole. E la sincerità di quella frase, che è un credo, dalla grazia dipende.
Altro che società. Ogni generazione si fa la società che sa e che desidera: la nostra si è fatta la società del miliardo di aborti, alcuni per rispetto della privacy individuale, altri per liberare la Donna dall`obbligo procreativo, come si dice.
Infine, ora e domani per migliorare la razza umana e se- lezionare i figli. Io non ci sto più. Punto.
Dunque non condanno le donne e le loro coscienze, le loro decisioni, le loro scelte. Né condanno la società e la sua scala di valori, che è importante ma alla fine solo un elemento parziale nella vita di questo mondo. Che la speranza non sia destinata a chiudersi nella riforma delle strutture sociali, nella soluzione politica, nell`utopia dì un pacifismo che si astrae per comodità morale dalla realtà della condizione umana e del suo disordine, credo sia una testimonianza del nostro tempo, del secolo trascorso e di quello che ora avanza, più ancora e prima che una splendente predicazione di Benedetto XVI.
Giusto battersi per definire meglio la vita, dal concepimento alla morte naturale, nella Dichiarazione universale dei diritti dell`uomo di sessant`anni fa. Giusto correggere; nel senso che anche tu suggerisci, con Ruini e molti altri laici e cattolici e altrimenti credenti, le legislazioni abortiste.
Giusto applicare il compromesso della 194 in modo non indifferente al valore della vita umana, strappando quella legge alla sua condizione totemica di idolo dell`autodeterminazione assoluta di una Donna che, ripeto, non esiste se non nel fumo ideologico che l`ha inventata. Giusto considerare con orrore la pillola Ru486
Giusto non tornare indietro dalla tutela della salute contro l`aborto clandestino. Giusto contemplare casi di legittima difesa nello stroncare una vita nascente. Giusto rafforzare con ogni mezzo i volontari della vita, e tutti coloro che si impegnano nella professione medica e nel grande giro di cura della maternità, considerando le donne incinte “soggetti sociali privilegiati”.
Giusto mettere le politiche familiari antinataliste e omicide degli stati asiatici di fronte alle loro responsabilità da sostenere davanti al tribunale del valore universale della libertà di nascere e del valore della differenza. Ma tutto questo non servirebbe a niente, e sarebbe impossibile da realizzare, se non trovassimo, se non troveremo, un pallido sostituto significativo alla grazia che ci è mancata o che non abbiamo riconosciuto, al mea culpa che siamo incapaci di pronunciare con sincerità di testa e di cuore.
Questo sostituto significativo, cosa minima ma indispensabile, è la decisione infine razionale, alla quale ti associ nella tua lettera e di cui conosci le conseguenze, di stabilire, ristabilire, in modo certo e consequenziale, dentro le fibre della cultura e della pratica di vita che abbracciamo, che l`aborto è un male, che la soppressione del diritto alla nascita è da combattere “in modo intransigente”, come disse quel vecchiaccio inascoltato e illuminato di Bobbio, e per lo stesso principio, come lui concludeva, che ha indotto l`assemblea generale delle Nazioni Unite a chiedere la moratoria della pena di morte. Senza scantonare, cara Ritanna.
Tu usi una parola che sembrava esclusa, insieme con il professor Buttiglione, dal vocabolario della gente civile che in Europa piace e si piace: la parola peccato. Dici: peccato d`omissione. Ma non si tratta di completare con una sfumatura di nuova ipocrisia un percorso di civiltà, mettendo insieme una cultura abortista e una nuova cultura della maternità, eliminando in tutta fretta il peccato di omissione. Si tratta bensì di rovesciare la scelta di ieri.
Come diceva Rilke, es war nur die Strasse von Gestern, era solo la strada di ieri. Quella di oggi è diversa, è un`altra, va nella direzione opposta, ed è destinata a tutti noi, maschi e femmine. Non desiderare la vita d`altri, non confondere la tua con la vita di un altro se non sei disponibile alla vita di un altro ancora. Fate l`amore, non l`aborto.
(A.C. Valdera)