Attenzione al “Digital Service Act” e a certa “controinformazione”

Abstract: attenzione al “Digital Service Act” e a certa “controinformazione”  alimentata dagli “anti sistema” a oltranza che inondano il web di notizie spazzatura, bufale ,  e ogni sorta di teorie complottiste non suffragate da fonti i quali offriranno il destro ai censori – con lo strumento messo a punto dall’Unione europea – per colpire e cancellare tutto quello che non è gradito  dai gestori del pensiero unico dominante, soffocando la libertà di espressione sul web

InFormazione cattolica 24 Giugno 2024 

Attenzione al “Digital Service Act” e agli utili idioti di certa “controinformazione”?

Si vogliono colpire i pensieri non in linea con la narrazione ufficiale?

di Matteo Castagna

L’Unione Europea si è dotata di un Regolamento relativo ai contenuti online, al fine di uniformare tutti i 27 stati membri alle medesime regole.

Inizialmente il “Digital Services Act“, entrato in vigore il 25 Agosto 2023, era rivolto alle società con più di 45 milioni di utenti attivi (10% della popolazione della UE).

Dal 17 febbraio 2024 è stato esteso a tutte le piattaforme online raggiungibili in Europa.

Sul merito va riconosciuto uno sforzo nel riconoscere come illegale tutto ciò che lo è anche nella vita comune, impedendo tutte quelle attività che sono proibite dalle leggi. Il D.S.A. impone limiti alla profilazione dei soggetti, vieta manipolazioni verso i consumatori, tutela maggiormente i dati personali, prevedendo sanzioni fino ad un massimo del 6% del fatturato annuo globale per le società che violano le norme. Il Commissario per il Mercato Interno Thierry Breton ha definito queste limitazioni al potere del web come “un’espressione della sovranità digitale europea” – ricorda la Rivista Zenit n. 1 del 30/09/2023.

Leggendo il Regolamento – sostiene sempre la Redazione di Zenit – si trovano problematiche non da poco in merito alla libertà di espressione. Ricorda il punto 84 che chiede alle piattaforme “di concentrarsi anche sulle informazioni che non sono illegali ma contribuiscono ai rischi sistemici”, pertanto raccomanda di “prestare particolare attenzione al modo in cui i loro servizi sono utilizzati per diffondere o amplificare contenuti fuorvianti o ingannevoli, compresa la disinformazione”. Appare molto vaga e interpretabile come affermazione, soprattutto perché i big del mondo hanno tutto l’interesse a bollare come “ingannevoli” i retroscena del giornalismo di inchiesta, così come di bloccare come “disinformazione” ogni notizia che non piace al politico di turno.

Ed è il punto 91 quello che va a colpire, più subdolamente, ogni scritto non in linea con la narrazione ufficiale. Infatti prevede che in stato di “crisi” di qualunque tipo (economica, politica, militare, energetica, pandemica ecc.) le piattaforme devono cooperare con dei non precisati “segnalatori attendibili” e esercitare misure di promozione di informazioni “affidabili”. Zenit osserva, a ragione, che “in scenari emergenziali, tra l’altro sempre più costanti e ravvicinati, si vuole intenzionalmente screditare o addirittura mettere a tacere le voci fuori dal coro”.

In Italia “una ristretta oligarchia di editori ha il possesso dei mezzi di informazione e ciò gli consente di organizzare le opinioni e moderare il dibattito pubblico, quindi plasmare le abitudini delle masse” – prosegue la rivista – mentre tutti gli altri, non omologati a tale sistema, in stato di crisi (stabilita dalla UE) non potrebbero più diffondere le loro idee su internet.

E’ evidente che il Potere non voglia, in momenti delicati, una narrazione parallela che ne metta in dubbio la credibilità, perché vuole pieni poteri nel poter dirigere l’opinione pubblica. Esiste, però, il risvolto della medaglia, più volte denunciato nei miei articoli, che è costituito dagli utili idioti della cosiddetta controinformazione, che ha prodotto tanto di quel “materiale-spazzatura” da ottenere l’inasprimento della stretta sulla libertà d’espressione, perché a Bruxelles come a Londra e Washington taluni non vedono l’ora di partire in quarta con una repressione, cui abbiamo già assistito, ad esempio, durante il periodo Covid, presso la sede della Cgil di Roma.

Sì, perché anche chi si proclama contro il Sistema deve imparare a comunicare nel modo giusto, al momento giusto, per evitare che chi è più forte ne schiacci tutte le istanze e ci rimettano tutti. Imparare dai fallimenti dei vostri progetti socio-culturali, pseudo-politici o anche teologico-morali sarebbe già tanto, ma mai avverrà, perché vi riciclerete con la risibile claque che vi applaude, e tronfi come tacchini ripeterete i medesimi errori perché il vostro reale fine non è la verità ma la visibilità e, perché no, qualche arrotondamento economico tramite conferenze, libri e video.

Il giornalista Alessio Mannino, nell’ultima newsletter di “Libropolis – festival dell’editoria e del giornalismo”, ha colto in profondità l’essenza del problema. “Il dissenso fa abbastanza senso, ragazzi. Questo con cui abbiamo a che fare, almeno. Per un buon 80%, diciamo. Per favore, astenersi da commenti del tipo “sei bravo a parlare, prova tu”, perché di regola è l’argomento di chi non ha argomenti”.

L’incipit è questo: “Noi “anti-sistema” siam liberi e forti, e siamo già morti. Noi vendicatori del popolo, presso cui la nostra importanza è inversamente proporzionale alla prosopopea da depositari del Verbo. Noi, consumati attori nel recitare il ruolo di vittime così da svicolare sui nostri difetti (che, si pensi un po’, abbiamo perfino noi, non c’è umano che non ne abbia uno, anche se noi ci spacciamo da duri e puri, unti e bisunti nell’olio della Verità). Noi agitatori sull’orlo esterno, che la spariamo grossa per contratto – tanto, a chi frega del realismo minimo sindacale? Noi, partiti di avanguardia di inesistenti retroguardie. Noi, avvocaticchi o professorini che ce la diamo da giornalisti, anche se un giorno di gavetta non l’abbiamo sfiorato neppure di striscio”.

Prosegue, con sagacia, Mannino: “Noi, intellettuali incompresi e incomprensibili. Noi, che ci sentiamo immancabilmente migliori dei peggiori (e capirai che fatica…). Noi che mai dubitiamo, mai ci conteniamo, mai accenniamo a un’autocritica, perché siam perfetti (imbecilli). Noi che aborriamo il mainstream perché viviamo nel sottosuolo, reietti e felici – ma tanto, tanto desiderosi di diventare qualcuno. Perché, cari miei, dei nessuno non si può restare tutta la vita, troppo bravi come siamo. Sferzanti, acuti, corrosivi, penetranti, profondi, iconoclasti, lucidi, sottili, coraggiosi e, soprattutto, indispensabili. Nessuno lo è? Mica vero. Noi lo siamo. Noi siamo il sale della terra. Come saliamo noi, nessuno. Siamo delle saliere ambulanti”.

[…] “Preferiamo essere i primi fra gli ultimi, anziché, con umiltà – questa sconosciuta – lavorare da ultimi per raggiungere i primi. E benché spesso la nostra statura sia nanica e il nostro peso specifico equivalente a una particella (ma originale, per dio, mica elementare), ci comportiamo da presuntuosi già arrivati, pur non essendo mai davvero partiti. Ci prendiamo oscenamente sul serio, ce la tiriamo un casino, facciamo i maestrini. Magari, perché no?, ostentando pure simpatia, gigioneggiando. Ma l’ironia e l’autoironia, non sappiamo manco cosa sia”.

“Ci guardiamo in cagnesco con chi accusiamo di rubarci la visibilità di primedonne, fra invidiuzze e rivalità meschine. […] Questa nostra bontà disinteressata, ma interessatissima per le nostre personali sorti, si rovescerà in odio per tutti coloro che non attribuiscono alle nostre fatiche l’alibi di migliorare il mondo. Specialmente se quegli ingrati sono come noi: sgomitanti, ambiziosi, sfrenatamente desiderosi di elevarsi sugli scudi e passare da salvatori della patria”.

“Quanto siamo paghi, noi, nel tagliare la realtà con l’accetta, nel tranciare giudizi apocalittici (ossia molto facili), nel fare a gara a chi è più puro e a vendere e rivendere un’idea, sempre quella, monomaniacale, trasformandola in paranoia ricattatoria – per cui, ci fosse mai qualcuno che non la sottoscrivesse, questo qualcuno diventerebbe per ciò stesso un venduto. Ce la cantiamo e ce la suoniamo, nei nostri fortini d’“area”. Ed è così che ci assicuriamo di avere sempre, fatalmente ragione”. […]

“Sotto sotto sappiamo come finirà, se ci va male. Se ci riterremo sempre e comunque in missione per conto di Dio, se seguiteremo a non farci venire mezzo dubbio sulle nostre reali proporzioni, se confonderemo la guerra al Sistema con la carriera nostra o del codazzo di nostri fedelissimi signorsì, se insomma manterremo intatto lo sprezzo del ridicolo, faremo la fine di molti insigni professionisti dell’anti-sistema: cooptati nel Sistema. Patetici, spudorati peli superflui sulla superficie della cronaca. Siamo gli anti-sistema, noi: così anti, da essere innocui. Gli utili idioti del Sistema.

Mai stufi di noi stessi, è il nostro motto. “Estoy hasta los cojones de todos vosotros”, è invece il motto di chi non ne può più, di chi ne ha abbastanza. Del Sistema, e dei sedicenti anti-sistema””.