Lavaggio del cervello dal nido alla tomba. Arresti arbitrari e torture atroci. Prigionieri morti di fame. Bambini dati in pasto ai cani. Dopo il rapporto Onu sui gulag di Pyongyang nessuno potrà più dire «Se solo avessimo saputo»
Leone Grotti
Le storie degli internati stroncati dalle torture, dalla fame e dalle violenze disumane degli ufficiali del dittatore Kim Il-sung prima, Kim Jong-il poi e Kim Jong-un oggi, compaiono alla spicciolata sui giornali da anni, grazie ai disertori che hanno cominciato a parlare pubblicamente degli orrori del regime comunista. La prima inchiesta ufficiale mai condotta dalle Nazioni Unite sulle violazioni dei diritti umani in Corea del Nord, durata oltre un anno e sfociata in un rapporto di 372 pagine appena pubblicato, ha però il pregio di mettere a disposizione di tutto il mondo oltre 50 anni di abusi raccontati in prima persona da più di 300 testimoni.
Il documento riporta minuziosamente atrocità e orrori che per il giudice australiano a capo delle indagini Michael Kirby «sono incredibilmente simili a quelli del nazismo e rappresentano uno shock per la coscienza lei mondo intero». Non è un compendio di storia o un freddo elenco dei più sofisticati metodi di repressione di un popolo, sono centinaia di storie di uomini, donne e bambini che hanno sperimentato sulla loro pelle gli apici della malvagità dell’uomo e della sua follia ideologica.
Un applauso troppo poco convinto
Storie come quella raccontata dalla signora L. (molti testimoni hanno voluto mantenere l’anonimato per sicurezza), costretta ad allenarsi «per 10 ore al giorno, tutti i giorni per sei mesi» al fine di preparare i Mass Games, la più importante parata che si tiene ogni anno a Pyongyang, per l’occasione affollata di turisti, e dove centinaia di giovani si muovono all’unisono realizzando spettacolari coreografie.II mio istruttore mi spronava portando l’esempio di un bambino di sette anni, obbligato ad allenarsi nonostante soffrisse di un’appendicite acuta.
È morto per non essere stato curato in tempo e il governo lo tratta da allora come un eroe perché ha dedicato la sua vita a uno spettacolo per il caro leader Kim Jong-il».Questo non è strano perché a scuola i bambini viene insegnato ad «adorare la faimiglia Kim» e a «emulare Kim Il-sung», il Presidente eterno che ha instaurato il regime nel 1948. Ottenere buoni voti in matematica o in geografia non conta nulla, perché gli insegnamenti di “storia rivoluzionaria” e “ideologia” sono i più importanti. Ogni azione della vita è subordinata a «rendere gloria al Partito e alla famiglia Kim».
Racconta un testimone: «Mio padre è stato rinchiuso in un campo di lavoro per aver asciugato il pavimento con un giornale usato, su cui compariva l’immagine di Kim Jong-il». «Ti fanno il lavaggio del cervello da quando impari a parlare», riassume un altro intervistato. «All’asilo, a scuola, per strada, perfino a casa».
In Corea del Nord non esiste nessun tipo di libertà ma tanti atteggiamenti codificati che bisogna assumere. «Se un cittadino che partecipa alle riunioni di massa quando passa Kim Jong-un non grida “man se” (“Possa vivere 10 mila anni”) viene inviato in un campo di rieducazione», ricorda A. Il controllo sulla vita è capillare, tanto che una delle accuse con cui Kim Jong-un ha messo a morte suo zio Jang Song-thaek pochi mesi fa è di «applaudire malvolentieri».
Difficile non ripensare a quello che raccontava Solzenicyn sui paesini remoti della Russia sovietica, dove, ogni volta che partiva un applauso per il compagno Stalin nessuno aveva il coraggio di smettere per primo, per il terrore di essere definito “controrivoluzionario”, e gli applausi si protraevano per più di dieci, venti, trenta minuti.
Alla base della più totale mancanza di rispetto per la vita umana sta l’atteggiamento del regime verso la religione. Come spiega il signor A., «in Corea del Nord l’unica religione permessa è l’adorazione di Kim Il-sung». La signora X. conferma che «l’intera società è come un gruppo religioso dove Kim è Dio e la Juche (l’ideologia del regime, ndr) è la Bibbia. Ogni altra religione come il cristianesimo è un’eresia».
Essere cristiani un crimine che porta alla condanna a morte o al gulag. Il cristianesimo è paragonato «alla droga e al peccato», i missionari «ai vampiri che succhiano il sangue». Chi crede in Gesù è accusato di «non adorare il leader», a conferma dell’intuizione del giornalista polacco Kapuscinski, che entrato tra i primi in Unione Sovietica capì che il comunismo non voleva eliminare la religione ma sostituirsi ad essa.
B. ha passato sette anni a Kaechon perché cristiano: per umiliarlo gli facevano trasportare il contenuto delle latrine e le guardie si divertivano a farglielo leccare; Timothy è stato rinchiuso in un gulag a 14 anni perché figlio di un cristiano; la madre di Kim Song-ju, condannata nel 2006 a tre anni di campo di concentramento, è stata lasciata morire di fame legata con le corde a un letto; secondo una donna della provincia di Ryanggang, chi non veniva giustiziato doveva tradire gli amici sotto tortura.
Donna, affoga tuo figlio
II giudice Kirby ha paragonato il regime dei Kim a quello nazista non per strappare un facile titolo ai quotidiani. Ad oggi non più di 30 mila nordcoreani sono riusciti a scappare dal paese attraverso il confine con la Cina, ma sono tantissimi quelli che Pechino scova sul suo territorio e rispedisce indietro.
Qui i disertori vengono interrogati e torturati e la sorte peggiore tocca alle donne, specialmente quelle incinte. I bambini concepiti in Cina sono uccisi per non correre il rischio che «la pura razza coreana venga contaminata». «Gli ufficiali pensano che sei stata messa incinta da un cinese, per questo ti obbligano ad abortire». Secondo un ex ufficiale «una donna che concepisce un figlio non coreano al 100 per cento viene considerata sub-umana». Le guardie commentano spesso: «Questo bambino non è umano e non merita di vivere, è impuro».
Gli aborti vengono provocati a suon di calci e pugni o con il lavoro forzato. Jee racconta: «Hanno scoperto che ero incinta e hanno rimosso il feto con un’operazione legandomi a un tavolo. A un’altra donna il feto è stato estratto senza anestesia». Gli infanticidi sono all’ordine del giorno e il giudice Kirby è scoppiato a piangere davanti a un’altra testimonianza di Jee: «C’era una donna al nono mese che facevano lavorare tutto il giorno, ma il suo bambino è nato vivo. L’agente è arrivato e ha detto che doveva essere affogato.
La madre lo implorava: “Vi prego, mi avevate detto che sarebbe morto, sono stata fortunata, lasciatemelo tenere, perdonatemi”. Ma è stata picchiata, costretta a prendere il neonato e ad affogarlo. Queste cose succedevano di continuo». Dice Kim Young-hwan che «i bambini appena nati vengono uccisi anche con un’altra tecnica: messi a testa in giù perché soffochino».
Chiunque può essere arrestato senza neanche sapere perché. Secondo le parole di Ahn Myong-chol, ex guardia in un gulag, «la maggior parte degli internati con cui parlavo non aveva la minima idea del perché fosse stato rinchiuso». Per essere prelevati da casa nottetempo e portati in un centro di detenzione per l’interrogatorio basta dire qualcosa di sbagliato sull’economia, sul partito, sul leader, sulle condizioni di vita o magari guardare un film sudcoreano.
Kim Song-ju dopo l’arresto è stato prima portato in una prigione sotterranea, poi trasferito in una piccolissima cella con altre 40 persone, la cui porta era alta appena 80 centimetri, per cui Bisognava «entrare carponi». Le guardie lo insultavano così: «Quando entri in prigione non sei più umano, sei un animale e quindi devi andare a quattro zampe».
La “tortura del piccione”
Il cibo per i prigionieri è così poco che Jong Kwang-il è passato in dieci mesi da 75 chili a 36. I metodi di tortura sono tanti e sofisticati ma secondo Jeong, più dei pestaggi, la “tortura del piccione” è insopportabile: «Ti ammanettano le mani dietro la schiena e ti appendono al muro. Non puoi sederne stare in piedi. Nessuno ti guarda, non c’è nessuno, non puoi dormire: pisci, caghi, vomiti, sei comletamente disidratato. È così doloroso che ho desiderato ripetutamente di morire».
Come tanti altri, dopo tre giorni in quella posizione, Jeong ha confessato il falso secondo il desiderio agli aguzzini ma prima di essere inviato i un gulag è stato torturato ancora.
Degli almeno 12 lager voluti da Kim II-sung a partire dagli anni Cinquanta oggi ne restano quattro (ma potrebbero essere di più). Nel 2012 è stato chiuso anche quello di Hoeryong, troppo vicino al confine con la Cina. Nel 2009-2010 aveva tra i 30 mila e i 50 mila detenuti.
Dalle immagini dei satelliti non risultano trasferimenti di prigionieri in altri campi: potrebbero essere morti di fame oppure sterminati in pochi giorni. Quest’ipotesi non è remota visto che, come racconta l’ex guardia Ahn, «ci avevano istruito a eliminare tutti gli internati in caso di guerra per cancellare le tracce dei gulag» (parole simili le usò Hitler parlando dell’attuazione del “programma di eutanasia” che culminò con lo sterminio delle camere a gas).
Nei campi di concentramento tutto è permesso: «Sei tu a decidere della vita dei detenuti, non ci sono altri criteri: ci insegnavano che erano animali ed è previsto che muoiano». Nei gulag vengono rinchiuse intere famiglie perché se una persona è “colpevole”, anche i suoi parenti finiscono dentro, secondo il monito dello stesso Kim Il-sung: «I nemici di classe devono essere eliminati fino alla terza generazione».
Kim Hye-sook è stata portata nel gulag numero 18 a 13 anni con la sua famiglia: non le hanno mai detto perché. «Mio padre è stato ucciso per averlo chiesto a una guardia. Dopo 28 anni, nel 2001, quando sono uscita perché il campo doveva chiudere ho scoperto che pagavo la colpa di mio nonno, fuggito in Corea del Sud durante la guerra».
I detenuti arrivano nei gulag stipati nei treni: «Quando è crollata l’Unione Sovietica – spiega Ahn – ci hanno mandato treni con sei vagoni pieni di gente per sei giorni consecutivi». Il cibo fornito dalle guardie ai detenuti è così poco che «qualcuno muore di fame ogni giorno» e chi vuole sopravvivere deve cercare altro, come descrive Kim Young-soon: «Cucinavamo serpenti e topi per i bambini e se riuscivamo a catturare un ratto, era un giorno speciale. Dovevamo mangiare di tutto per restare vivi, ogni tipo di carne o erba».
Poiché i prigionieri non sono esseri umani, la loro vita non ha valore. Quasi si stenta a credere ai ricordi dell’ex guardia Ahn: «Un giorno per sbaglio sono stati liberati nel campo i cani addestrati a uccidere i fuggitivi, che hanno divorato tre bambini. Il capo del campo ha criticato il responsabile, poi però gli ha fatto i complimenti per avere addestrato bene i cani».
Agli ufficiali è concesso fare sesso con le prigioniere, che non devono restare incinte. Come racconta Ahn, il suo comandante ha stuprato una donna. Lei in seguito ha partorito e per questo è stata imprigionata nell’edificio delle torture con il neonato. Qui, davanti ai suoi occhi, il piccolo è stato gettato nella ciotola dei cani, che lo hanno divorato. Le testimonianze sono troppe per citarle tutte, i delitti disumani pure.
Il giudice Kirby spera che questo rapporto «sproni la comunità internazionale» ma è difficile che una causa possa essere istruita contro i responsabili del regime davanti alla Corte criminale internazionale, dal momento che serve il via libera del Consiglio di sicurezza dell’Onu dove risiede la Cina, che difende da sempre Pyongyang.
È probabile, perciò, che questo rapporto cadrà nel vuoto anche se adesso nessuno, ammonisce Kirby, potrà far finta di niente: «Alla fine della Seconda guerra mondiale molte persone dissero: “Se solo avessimo saputo i mali che venivano compiuti nei paesi delle forze ostili. Se solo avessimo saputo”. Bene, ora tutti sanno».