Si dice spesso che il progresso – sociale, economico e persino culturale – è messo in moto dallo sviluppo tecnologico. Circola anche una spiegazione alternativa, vale a dire che esigenze, bisogni e desideri, nati per inspiegabili motivi, generano le tecniche necessarie per soddisfarli. In altre parole: o “dove c’è il mezzo c’è la volontà”, oppure “dove c’è la volontà c’è il mezzo”. La produzione semi-industriale di bambini sembra appartenere alla prima categoria
Erwin Chargaff (traduzione di Aldo Piccato)
Si dice spesso che il progresso – sociale, economico e persino culturale – è messo in moto dallo sviluppo tecnologico. Circola anche una spiegazione alternativa, vale a dire che esigenze, bisogni e desideri, nati per inspiegabili motivi, generano le tecniche necessarie per soddisfarli. In altre parole: o “dove c’è il mezzo c’è la volontà”, oppure “dove c’è la volontà c’è il mezzo”. La produzione semi-industriale di bambini sembra appartenere alla prima categoria: l’esigenza era senza dubbio meno impellente del desiderio che gli scienziati avevano di mettere alla prova le loro nuove tecnologie.
I bambini generati in provetta sono qualcosa di più di un semplice sottoprodotto, e hanno contribuito a finanziare, attraverso i loro “genitori” e altri fondi pubblici, la ricerca sui feti.
Un i termine come “tecnologia riproduttiva” è in realtà una definizione di comodo, che comprende diverse attività, alcune delle i quali probabilmente non molto edificanti. i Comprende infatti ogni genere di ricerca sulla fertilità, la patologia fetale, il trapianto di embrioni e così via. Per come la vedo io, include anche casi strazianti come quello riferito sul numero del 5 giugno 1986 della rivista Nature a proposito di una donna schizofrenica incinta che era stata persuasa o costretta ad acconsentire a un aborto per permettere ai medici di esaminare a fondo il feto.
Comunque, non è questa l’impostazione che ho scelto per il presente articolo. Ciò che intendo fare è esprimere le mie personali obiezioni nei confronti di vari tipi di ricerca oggi condotti nel campo della riproduzione umana. Lo faccio come un vecchio biochimico i cui specifici interessi (la chimica cellulare) toccano da vicino il tema delle mie presenti obiezioni. Ma, ancor più, lo faccio come un uomo che vuole protestare contro la sempre più grave decadenza di una società che viene ingannata da fantastiche prospettive, al solo scopo di tenere nascoste azioni riprorevoli.
Credo sia giunto il momento di sostituire la massima comunemente accettata dalla nostra civiltà scientifica, “è il fine che santifica i mezzi”, con quest’altra: “Sono i mezzi che demonizzano il fine”.
La chimica delle obiezioni
Voglio sottolineare che le mie non sono le parole di un esperto. Abbiamo dato troppo valore alla nostra ammirazione per la competenza specifica e professionale in una data materia. I giudici, dopo tutto, non sono degli esperti in furti e scassi. La competenza professionale spesso paralizza e annulla ogni tipo di common sense. Serve per sapere come si fanno certe cose, ma non a stabilire se queste cose sono auspicabili o discutibili. In altre parole, è assolutamente cieca di fronte a simili distinzioni.
Quando, grazie a una qualsiasi delle nuove tecnologie riproduttive ora in corso di sperimentazione, si riuscirà a generare un bambino, dovremo dire che l’operazione ha avuto successo. Ma non è forse una conclusione troppo affrettata? Il destino di un essere umano comincia con il concepimento, ma non termina con la sua nascita. Quanti anni dovranno passare – dieci, quindici, venti? – prima di poter annunciare di avere avuto successo? E’ davvero insensato pensare che, nel caso di un concepimento normale, entrano in gioco dei fattori che non possono essere riprodotti nell’ambiente sintetico in cui avviene la fecondazione in vitro? (E non sto pensando a influenze mistiche , bensì a concreti processi chimici).
Quando si manipolano meccanismi che la natura, nella sua saggezza, ha elaborato nel corso di milioni di anni, bisogna essere consapevoli del pericolo che le nostre scorciatoie Possono costarci molto care. Nel concepimento normale l’ovulo femminile viene inondato da un enorme numero di spermatozoi. La fecondazione può allora sembrare un fatto puramente casuale o, in alternativa, può essere considerata come un processo in cui l’ovulo seleziona lo spermatozoo con il quale congiungersi.
Non si tratta di un cavillo metafisico, anche se, al momento, sembra essere un problema al quale non si può dare ancora una risposta precisa: siamo davvero sicuri che la sequenza nucleica del Dna contenuta in due diversi spermatozoi sia assolutamente identica, anche se entrambi sono provvisti di tutti i geni necessari per la definizione della specie? A una gran parte del Dna umano non è ancora stata assegnata una precisa funzione genetica.
I biologi parlano del “genoma umano” e di un “Dna privo di funzione e significato”; ma forse sono loro a fare affermazioni prive di senso. E’ piuttosto probabile che queste porzioni di Dna siano responsabili di funzioni che non sono ancora state individuate. Non sappiamo che cosa sia la vita, ma ciononostante la manipoliamo come se fosse una soluzione salina di composti inorganici.
Quando aggiungiamo del cloruro di sodio a una soluzione di nitrato d’argento, riteniamo giustamente che non ci siano differenze fra gli atomi d’argento che si sono disciolti e quelli rimasti nella soluzione. Ma quando facciamo una fecondazione artificiale, non cacciamo forse le nostre maldestre dita nella rete incredibilmente fine e complessa del destino umano? Facciamo nascere un bambino che altrimenti non sarebbe forse mai nato.
Il termine “pre-embrione” mi sembra del tutto ingiustificato. Temo che serva soltanto da alibi. La vita dell’embrione comincia con la fecondazione dell’ovulo, nel quale si trovano tutte le potenzialità dell’organismo. Il tentativo di determinare con mezzi scientifici il momento in cui fa la sua comparsa quella che da tempo immemore è stata chiamata l’anima umana è ovviamente ridicolo. Stabilire una data serve soltanto a permettere l’esecuzione di esperimenti che un normale rispetto per la vita umana avrebbe dichiarato illegali. Esperimenti che fino a pochi anni fa sarebbero stati, di fatto, nemmeno immaginabili.
Embrioni congelati
Oggi esistono tecniche per congelare e conservare gli embrioni. Si è dimostrato (anche se non so con quale percentuale) che questi embrioni possono essere trapiantati, dopo essere stati scongelati, nell’utero della “madre”, vale a dire la stessa donatrice dell’ovulo, oppure nell’utero di un’altra donna, la “madre sostitutiva”. Poiché con questa tecnica sono nati bambini sani, la si considera un successo. Ma il rapido congelamento dei tessuti e la loro conservazione a temperature bassissime non sono sempre dei procedimenti innocui per quanto riguarda le macromolecole, come ad esempio gli acidi nucleici. La concentrazione elettrolitica in continuo cambiamento durante la fase di congelamento e la trasformazione dei liquidi interni in ghiaccio possono causare effetti negativi.
Sebbene il valore di un neonato – a differenza di quello di una minestra – non si basi sulla sua, per così dire, “commestibilità”, ossia sulla possibilità di essere usato e consumato, ovunque si continuano a fare tentativi per dimostrare che ciò che va bene per le verdure va bene anche per gli esseri umani. La vita dell’uomo è, tuttavia, un esperimento irripetibile: nessun controllo, nessun placebo.
Sebbene le aspettative che ha davanti a sé un allevatore di uomini, e che gli impongono certi limiti, dovrebbero essere essere più alte di quelle che frenano un allevatore di animali, non ci sarà nessuno a fare i conti quando sarà giunto il momento. L’allevamento umano è, una professione così nuova che la società non ha ancora imparato come difendere se stessa.
L’etica è un ramo della filosofia, e dovrebbe essere lasciata al suo posto. Fino a poco tempo fa nessuno si sarebbe aspettato che fosse applicabile alla pura ricerca scientifica. L’etica della chimica o della geologia non sembrerebbero avere maggiore significato dell’etica degli scacchi o del violino. E “non etico” non equivale a “criminale”. Quando un’industria scarica prodotti inquinanti in un fiume agisce non in modo “non etico” ma semplicemente “criminale”.
Soltanto recentemente, parallelamente all’affermarsi della nuova professione dell’etico, alcune applicazioni pratiche della ricerca scientifica hanno incominciato a essere classificate come etiche o non etiche: classificazione che dimostra l’inadeguatezza del nostro codice criminale. Così, in un recente numero della rivista Nature (19 settembre 1986) è stato pubblicato un articolo intitolato: “Proposte di principi etici per la tecnologia riproduttiva”. Questo articolo, scritto da Gina Kolata, riassume una serie di raccomandazioni adottate dalla American Fertility Society.
Un manuale di giardinaggio scritto dal peggior caprone non avrebbe potuto essere più permissivo.
Si distinguono quattro categorie: 1) eticamente accettabile; 2) adatto per esperimenti clinici; 3) adatto per ricerche scientifiche; 4) eticamente inaccettabile. Le prime tre categorie includono praticamente tutto ciò che viene fatto al momento. Eticamente inaccettabili sono il brevetto di procedimenti medici e l’utilizzo di madri “sostitutive” per ragioni non mediche.
Quanto possano essere disinteressati gli scienziati, con la testa e gli occhi rivolti all’empireo della conoscenza e della verità, si può capire dal fatto che nessuno sembra aver considerato che in tutte queste varie operazioni notevoli somme di denaro passano di mano in mano, cosa che spesso finisce per far scomparire ogni senso etico. La confusione in cui cade la società quando deve esprimere un giudizio su alcuni risultati della ricerca scientifica contemporanea non mi sorprende.
C’è stata abitudine, in questo secolo, di considerare la scienza come la più elevata e pura impresa dell’uomo. La scienza era l’incessante ricerca per scoprire i veri segreti della natura, una ricerca che ci avrebbe aiutato a capire il funzionamento del nostro pianeta. Questa fiduciosa speranza è scomparsa, io credo, con la fusione atomica, la manipolazione del nucleo cellulare, la capacità di manipolare l’eredità genetica.
E’ cominciata una nuova era: la scienza è ora l’arte della manipolazione, modificazione, sostituzione e ridefinizione delle forze della natura. Ciò non vale, naturalmente, per tutte le discipline scientifiche, ma vale senza dubbio per quella che sto discutendo in questo articolo, una forma di biologia applicata che rischia di farci compiere brutalità che la società, quando aprirà gli occhi, forse non sarà facilmente pronta a tollerare.
Se i controlli arrivano tardi
A questo punto devo fare una precisazione. Con le mie parole non intendo affatto stabilire una distinzione tra una società incolpevole e una scienza malvagia. La scienza, ovviamente, è un prodotto della società e non potrebbe esistere senza il suo sostegno. E’ infatti proprio in virtù di questo sostegno che la società, per mezzo dei suoi rappresentanti, può esercitare forme di controllo. Ma di solito i controlli arrivano troppo tardi per la gente comune.
Per tutti noi, cresciuti in un ambiente che garantisce la libertà di pensiero ed espressione, sembra impensabile che ci possano essere eccessi nella ricerca scientifica. La tecnologia riproduttiva, nella forma in cui mi viene descritta, sembra rappresentare un esempio di questo genere. Non sono in grado di fare una discussione filosofica su ciò che si intende per destino umano; una discussione che dovrebbe affrontare inoltre la questione se, e fino a che punto, le “arti curative” del passato fossero anch’esse una lotta contro il destino.
Mi sembra che la stessa inefficacia di quelle arti faccia automaticamente sparire il problema. I confini di ciò che è curabile sono stati estesi lentamente e con fatica. La prevenzione sanitaria pubblica e l’uso degli antibiotici ha per- messo di sconfiggere molti virus, ma il corpo umano è rimasto il veicolo del proprio destino. Il destino doveva essere accettato, proprio come si accettava, e si accetta ancora, il decreto stabilito da quella inesorabile Signora che si chiama morte. Ma se la medicina continua a seguire la strada sulla quale sembra essersi ora incamminata, ben presto sentiremo dire che la sua grande e più autentica missione è la sconfitta della morte, una prospettiva che persino il più convinto degli ottimisti esiterebbe a concedere ad altri fuorché a se stesso.
Se una delle numerose Accademie delle Scienze che in passato organizzavano competizioni a premi per il miglior saggio su una determinata questione fosse stata abbastanza stravagante da proporre il tema “Come rendere innecessari i rapporti sessuali senza pregiudicare la riproduzione umana?”, le attuali tecniche innovatrici di riproduzione sarebbero state certamente degne di vincere la medaglia d’oro. Che una domanda del genere non fosse a quel tempo neanche pensabile non dipende soltanto dallo stato ancora arretrato della ricerca scientifica, ma anche dal fatto che gli scienziati di allora erano meno intriganti di quelli di oggi, e preferivano evitare l’inevitabile. Non so dire se il loro senso etico fosse più sviluppato di quello attuale; ma lo era certamente il loro senso estetico: si tenevano lontani da ciò che era indecente e mostruoso.
Non posso nemmeno immaginare che un von Baer o un Virchow avrebbero mai accettato la produzione di embrioni umani al solo scopo di distruggerli. Se la decisione spettasse a me, proibirei senz’altro la produzione di embrioni umani a scopo d’esperimento. La curiosità scientifica non è un impulso al quale non si debbano mettere limiti, benché non neghi che, ad esempio, il problema della differenziazione cellulare durante la crescita embrionale sia di grande interesse.
Imporre un limite alle proprie domande è un sacrificio che anche uno scienziato deve essere pronto a fare in nome della dignità umana. Ci sono ancora così tante cose che non sappiamo: cominciamo da quelle. Ritengo si debba condannare anche l’uso delle madri sostitutive, soprattutto nel caso sia fatto per guadagno. E’ vero che il capitolo 30 della Genesi offre una vivace descrizione di una situazione alquanto confusa; ma lasceremo a quell’antico popolo del deserto il compito di mettersi a posto con la propria coscienza, sebbene si debba osservare che questo celebre racconto descrive in realtà una forma di adozione impiegata in una comunità primitiva poligamica.
Gli straordinari progressi che ha compiuto la scienza (soprattutto nelle sue applicazioni pratiche) nell’era moderna sono il risultato di un’infinità di piccoli passi in avanti, ognuno dei quali appare alla gente innocuo o persino vantaggioso. Aiutare qualche coppia che altrimenti sarebbe condannata a restare senza figli o a ricorrere all’adozione può sembrare una cosa giusta e meritevole agli occhi del medico. Ma stiamo già assistendo a una forma incipiente di allevamento umano, con la creazione di fattorie degli embrioni.
E chi potrà impedire la produzione di massa e lo sfruttamento industriale degli embrioni umani, la nascita di un nuovo settore della biotecnologia? E chi potrà negare l’interesse scientifico rappresentato dalla produzione di chimere, dallo studio della crescita di un embrione umano nell’utero di un animale?
Ebbene, io penso che la società potrebbe impedire questo e anche altro; ma temo che non lo farà. Quello che vedo nel prossimo futuro è un gigantesco mattatoio, una Auschwitz molecolare, in cui, anziché denti d’oro, verranno estratti enzimi e ormoni. “Nulla rimarrà invendicato”: così ci assicura un celebre verso del “Dies Irae”. Ma quel giorno non è ancora arrivato e, tenendo conto della natura umana, io vedo soltanto due modi per impedire che accada il peggio: mettere un freno alla cupidigia e mettere un freno all’ambizione degli uomini.
Se la prospettiva del guadagno fosse del tutto eliminata, e l’utilizzo della tecnologia riproduttiva concesso gratuitamente, con vero spirito samaritano; e se fosse imposta una completa anonimità, in modo tale che ogni nuova scoperta fosse resa nota senza citare il nome del suo autore, credo che quasi tutti i peggiori eccessi potrebbero essere evitati. Il carattere ridicolmente utopico di questi miei suggerimenti deve essere considerato direttamente proporzionale alla mia mancanza di speranze.