Libertà e Persona 14 febbraio 2025
Su invito della redazione, ripropongo un mio articolo pubblicato due giorni fa sul blog di Sabino Paciolla ‘Oltre il giardino’
Roberto Allieri
Premessa
Metto le mani avanti: non posso caldeggiare la lettura di questo articolo a coloro che sono agnostici o non credenti. Certo, posso pur sempre proporre loro un’opportunità di riflessione e così pure a quei cattolici orgogliosamente tiepidi che professano una fede convintamente superficiale. Voglio però specificare che ciò che tenterò di dire presuppone, per essere capito pienamente o almeno intuito, un certo percorso di fede abbastanza approfondito.
Il cristiano sa, o dovrebbe sapere, che il sacrificio di Gesù Cristo è una eucatastrofe, una tragedia purificatoria. A Gesù non è stato risparmiato alcun dolore ma le sue sofferenze estreme in croce sono diventate moneta sonante per il riscatto dell’umanità dal peccato originale. È il mistero della sofferenza vicaria, che può essere in parte compreso trovando qualche risvolto anche nelle esperienze di ogni persona responsabile: i sacrifici nello studio, nel lavoro, in famiglia e in ogni campo sono strumenti per ottenere gioie e benefici. Semi gettati con fiducia per avere un buon raccolto.
Chi intuisce questo mistero può arrivare a capire che anche le croci degli uomini (stenti, prove, malattie e dolori che imperversano nella nostra ‘valle di lacrime’, che non è un paradiso) possono avere un potere salvifico. Se offerte in unione ai patimenti in croce di Cristo, possono avere una funzione positiva: quella di arginare il male o favorire un bene. Perché il male arretra laddove progredisce il bene.
Ciò che dà valore all’offerta è l’intenzione, espressa con libertà e piena convinzione, ma anche il fatto che l’offerente abbia la disponibilità di ciò che vuole donare, cioè la propria sofferenza. Deve avere quindi una vita, una sofferenza e una capacità di fare una scelta.
Interruzioni volontarie di vite umane
Fatta questa premessa, posso ora andare a parare un po’ più in là, avvicinandomi al dunque. Ovvero a situazioni che riguardano i protagonisti di questo discorso: i bambini concepiti che vivono nel grembo materno.
Parlerò, in particolare, di quelli che vengono rifiutati perché hanno la colpa di esistere e di voler venire al mondo. Di quelli che finiscono vittime di una pratica da qualcuno asetticamente definita I.V.G. Una procedura, questa, che spesso si ritiene opportuno ridurre ad una sigla, per mascherare ciò che la parola aborto potrebbe evocare. Una pratica che, per sottrarre la vittima all’attenzione, si vorrebbe definire ‘interruzione volontaria di gravidanza’ ma che sarebbe più onesto definire ‘interruzione volontaria di vita umana’. Perché questo incontrovertibilmente è. Ma, come diceva il giornalista Paul Greenberg, qui e altrove il verbicidio precede l’omicidio.
Il contrasto fra i ‘pro-life’ e i propugnatori della ‘libertà di scelta obbligatoria’ (da imporre senza alternative, in caso di dubbio o difficoltà della madre) verte tutto sulla natura del concepito. Tutto lo scontro si gioca lì: o è uno scarto assimilabile ad un ammasso di cellule, e allora può essere smembrato e distrutto senza scrupoli, oppure è un essere umano, una persona, e allora è equiparabile ad uno di noi, con uguale dignità e dovuto rispetto.
Non è mia intenzione qui cercare di convincere gli abortisti sulla dignità e sulla natura umana del concepito. Mi rivolgo piuttosto ad un target specificamente credente che dovrebbe avere chiare le idee in proposito e in linea con quanto la Chiesa proclama.
Requisiti di un atto libero di coscienza
La questione che propongo nasce da una intuizione e da una domanda, rilanciata da padre Serafino Tognetti in questo filmato di sette minuti: i bambini concepiti, che hanno un’anima, possono compiere un atto libero di coscienza di disposizione di sé nel momento in cui vengono uccisi?
In altri termini, hanno la capacità di offrire il loro sangue innocente per la remissione dei peccati o per combattere il male?
Il dubbio è tutt’altro che ozioso e campato per aria e Padre Tognetti, infatti, accenna ad approfondimenti teologici, evidenziando che non ci sono preclusioni in merito da parte del Magistero o pronunciamenti contrari a questa possibilità da parte della Chiesa.
Ovviamente, la capacità di disporre di sé di cui trattasi non è una capacità giuridica e non è neanche ricollegabile alla facoltà di intendere e volere. È invece una capacità che discende puramente da un attributo: quello di avere un’anima infusa e quindi un destino di vita ultraterreno. Un dono così immenso non può essere minimizzato e apre il discorso a scenari, teologicamente poco sondati, di misericordia e beatitudini (chi, più dei bimbi non nati, può rientrare a pieno titolo tra le categorie elette e beate che Gesù elenca nel discorso della montagna?).
C’è un pensiero che ho trovato, che getta una luce di comprensione su un ponte che ogni essere umano, al momento del trapasso, si trova a dover attraversare. Lo esprimo con le medesime parole con cui è stato formulato da un certo Fabiano (mantengo l’anonimato per discrezione), a cui sono debitore per la sua acuta intuizione; un seme, il suo, gettato nel mare magnum di qualche gruppo social e da me raccolto e custodito. Dice, dunque, Fabiano:
‘Forse sbaglio, ma ho sempre coltivato la speranza (e quest’anno è proprio l’anno della Speranza) che il buon Dio, nella sua infinita misericordia, un infinitesimale attimo prima di morire possa offrirci un’ultima possibilità di pentimento per i nostri sbagli, sufficiente ad assicurarci – se non il paradiso – almeno un temporaneo “soggiorno” in purgatorio.
E se auguro questa possibilità a me stesso, mi sembra giusto e doveroso augurarla anche a tutti gli altri’
Anch’io nutro la speranza che una possibilità di scelta, nel momento cruciale del passaggio ad altra vita, sia concessa a tutti. Anche a chi muore improvvisamente o impreparato o addirittura suicida. In quell’istante supremo credo che il tempo si fermi, che si fermi un attimo… Che ci sia un istante che si ferma un istante, galleggiando sospeso tra il tempo e l’eternità.
Nell’abbandonare la nostra condizione spazio-temporale, prima di entrare in un eterno presente, l’anima deve affrontare il suo giudizio particolare. Ma, prima ancora, può forse usufruire di una estrema chance: quella di esprimere una scelta nell’ultimo istante utile, ancora agganciato alla vita. Poi verrà il giudizio e andrà incontro alle conseguenze. Non credo che questa possibilità che prospetto sia un’eresia. La ritengo una semplice speranza, un auspicio che ci sia un ultimo appello di misericordia. Il che non esclude la giustizia che interverrà (del resto, chi siamo noi per misurare la giustizia divina?).
Qualcuno potrà obiettare che, per scegliere, bisogna avere un minimo di lucidità e questa considerazione taglierebbe fuori gli embrioni nelle prime settimane, quando hanno il cervello in formazione. Non è così. Occorre distinguere tra le condizioni cerebrali (in senso materialistico) che una persona ha l’istante prima del trapasso, da quelle che la sua anima si ritrova ad avere in quel momento, già quasi al di fuori del tempo ma non ancora. Perché in quell’istante che galleggia sulle soglie dell’eternità qualunque persona, per il solo fatto di avere un’anima, può esprimersi con tutte le potenzialità di cui è stata dotata.
Mi spiego meglio con un esempio concreto. Anche chi è in coma profondo non ha funzionalità cerebrali adeguate ad esprimersi e non ha capacità di intendere e volere davanti agli uomini. Ma al cospetto di Dio sì. Nel momento del trapasso potrà dunque manifestare la sua scelta, colloquiando con Lui con tutta la lucidità necessaria. Insomma, una cosa è il cervello un’altra è l’anima.
Se così è, anche l’embrione di pochi giorni può compiere un atto libero di coscienza prima di varcare la soglia del fine vita. E il suo sacrificio offerto nel calice di Cristo sulla mensa dell’altare è quanto di più potente possa operare per il bene dell’umanità.
Padre Tognetti, nel filmato che ho sopra riproposto, ribadisce quindi l’importanza di quelle messe nelle quali si concede la possibilità che il sangue crudelmente versato da una moltitudine immensa di bambini abortiti venga offerto in riparazione dei peccati.
Ad avvalorare questa convinzione sulla preziosità dell’offerta ci sono, su un versante opposto, quei cruenti e sanguinari riti satanici che apprezzano al massimo grado l’uccisione di innocenti, a volte provocandola. Il famoso slogan pubblicitario ‘…perché io valgo’ o quello politico ‘black lives matter’ (le vite dei neri contano), trovano qui corrispondenza in una analoga declinazione (che diventa riconoscimento di valore) per la categoria delle creature abortite.
Grazie bambini per le Grazie!
Venendo poi all’effusione di grazie particolari, in conseguenza di queste intenzioni di messa, alle quali allude il filmato, sarebbe importante verificare e approfondire questo splendido corollario di cui Padre Tognetti è meravigliato testimone.
I preti che accolgono le offerte di celebrazioni eucaristiche per i bambini non nati sperimentano in modo accentuato e sensibile la presenza e il conforto delle anime innocenti beneficate. C’è quindi un’esplosione di bene che ha riflessi concreti nei sacerdoti e nelle comunità che celebrano convintamente queste messe, in comunione di fede. Rendiamocene conto e.… approfittiamo di queste grazie!