di Ettore Gotti Tedeschi
Negli Stati Uniti il debito pubblico ha un tetto massimo, stabilito dal Congresso. Se viene superato scattano misure anti deficit, che sono crescita delle tasse e diminuzione delle spese. Considerato l’attuale debito pubblico (ufficialmente il 73% del PIL, ma in realtà molto, molto di più grazie agli interventi della Fed che ha stampato dollari …), gli aumenti delle tasse ed i tagli della spesa (che avrebbero dovuto essere realizzati entro il primo gennaio 2013), sarebbero stati talmente importanti (stimati in 600 miliardi di dollari) che avrebbero provocato una recessione (crollo PIL e crollo occupazione) insostenibile. La accelerazione del problema nasce a fine 2012, alla scadenza dei benefici fiscali voluti da Bush che non sono, secondo il Congresso, rinnovabili.
Detta crescita del debito pubblico viene originata dalla nazionalizzazione del debito privato delle famiglie americane che per anni ha sostenuto (artificialmente) la crescita del PIL per una percentuale, negli ultimi 15 anni, stimata vicino a un 80%. Quando le famiglie, nel 2008, non hanno pagato debiti e sono andate in banca a riportare i contratti di mutuo e le carte di credito, le banche hanno rischiato il fallimento, il governo americano è intervenuto salvando le banche e, di fatto, nazionalizzando il debito privato. Questa è una lezione importante per chi esaspera il livello del debito pubblico italiano considerandolo insostenibile. Tutti i debiti, privati, finanziari, industriali, se non pagati diventano debito pubblico perché alla fine lo stato per salvare il sistema è costretto a nazionalizzare il debito privato, delle imprese e delle banche.
Esso è diventato un problema nelle seconda parte del 2012 perché i Repubblicani e i Democratici sembravano non mettersi d’accordo nelle soluzioni. I Democratici avrebbero preferito non fare nulla ed evitare la crescita delle tasse e la diminuzione delle spese per non infierire sulla classe media, proponendo solo supertasse ai ricchi. I Repubblicani proponevano interventi, tra cui – e soprattutto – l’incremento del tetto del debito. Lo scenario a fine 2012 lasciava immaginare tre casi alternativi: il caso di compromesso politico con tagli alla spesa ridotti (un terzo del necessario); il caso di disaccordo politico e il conseguente necessario taglio di costi persino superiore al previsto (700 miliardi di dollari); il caso di un accordo ragionato che comprendeva un taglio delle spese per circa la metà del previsto e una crescita tasse non choccante.
Quel che si è fatto per ora, dopo che il Congresso ha votato contro l’aumento delle tasse, è un po’ di dialettica tra Obama ed il Congresso e la previsione di nuove tasse ai più ricchi (oltre 250mila dollari di reddito, crescita del prelievo dal 35 al 40%. Si pensi da noi in Italia a che percentuale siamo) ed il rinvio a fine gennaio per la proposta definitiva. Le spese non sembra si voglia diminuirle e il deficit dovrebbe restare al 7% del PIL. Nessuno capisce perché si sia gridato al successo e le borse abbiano festeggiato. Sarà stato per poter brindare a fine anno incoraggiando la fiducia nel Governo e stimolando i consumi? Ciò che è curioso è che per 30 anni il Congresso ha permesso la crescita dell’indebitamanto delle famiglie per sostenere la crescita del Pil; addirittura dal 2002 al 2008 ha permesso i famosi debiti subprime, ma ora diventa rigido nello sforamento del debito pubblico.
Capiremo mai il comportamento economico originato dalla cultura protestante americana? Ma la lezione americana spiega anche che in Italia il debito pubblico è sì alto, ma abbiamo un ridotto debito delle imprese, delle banche e le famiglie sono pochissimo indebitate. Si pensi che il risparmio delle famiglie italiane è ben 5 volte il debito pubblico. Ma il prelievo fiscale in Italia non è certamente il 35%. Così i futuri governanti magari penseranno di far crescere detto prelievo come ha fatto Obama (con patrimoniali varie), magari ignorando che lo stesso prelievo da noi è già di un 50% superiore. Mentre copieranno il modello USA di non riduzione delle spese pubbliche, dimenticando che da noi sono un 50% (sul Pil) circa più alte. Se in Italia si aumenteranno ancora le tasse, si faranno patrimoniali e non si farà invece una strategia per la crescita del PIL, il fiscal cliff sarà problema nostro. Altro che americano…