di Augusto del Noce
Non ha mai avuto paura di andare contro-corrente. «Ho sempre avuto una certa simpatia per i perdenti» spiega Augusto del Noce, 75 anni, filosofo. le sue prime interpretazioni del fascismo risalgono già al ’45. Il tentativo era di condurre un’analisi culturale del fenomeno, il più possibile oltre la polemica del momento. «Preparai alcuni articoli per il “Popolo Nuovo”, l’allora quotidiano torinese della Dc – racconta – . ma solo i primi vennero pubblicati. Forse non erano troppo in sintonia con la linea del giornale». Perché? «Ho sempre negato che l’unità antifascista fosse un’unità di valore, era essenzialmente un’unità contro il nazi-fascismo»
Ma professore, oggi, dopo 40 anni, la parola antifascismo cosa le suggerisce?
«Beh, oggi questo termine ha cessato di avere significato. Storicamente, a mio parere, sono esistiti tre tipi di antifascismo: quello delle forze politiche sconfitte nel ’22, lo stato d’animo dei rari giovani contrari al fascismo degli anni Trenta e Quaranta, infine la Resistenza. Quando, insomma, si parla di antifascismo occorre fare questa distinzione»
In cosa si differenziano, secondo lei, questi antifascismi?
«I giovani ventenni degli anni Trenta e Quaranta non si riconoscevano nello Stato precedente al fascismo, non pensavano più al fascismo come parentesi, caduto il quale si sarebbe ripreso come prima. In questo, il loro antifascismo era diverso da quello della generazione degli anziani, aventiniana. Per i giovani i germi del fascismo andavano anche ricercati nello Stato prefascista e, quindi, per il futuro era necessario, dopo il fascismo, una soluzione nuova. per quanto riguarda la Resistenza del Cln, bisogna dire con chiarezza, come ha scritto Montanelli, fu una guerra civile. Fu un’unità di fatto contro un comune avversario, non come dicono di pensare comunisti, ex azionisti e anche una parte dei cattolici, un’unità di valore, per cui le varie forze politiche sarebbero state trasformate da questa collaborazione nell’antifascismo. Cioè i comunisti avrebbero assimilato il valore della democrazia e avrebbero cessato la loro posizione antireligiosa, dall’altro lato i cattolici avrebbero rinunciato alle loro prevenzioni sul comunismo e sul mondo moderno. Questa tesi riaffiorerà in occasione di questo quarantennale, ma è falsa e pericolosa…».
Addirittura, vuole spiegare perchè?
«Falsa perché, come ho detto, si ebbe un’unità di fatto e nemmeno molto stretta. perché i modi di intendere la Resistenza erano diversi. Invece la trasformazione in unità di valore corrisponde a quel mito della Resistenza che accomuna ex azionisti, comunisti e cattolici di sinistra».
Eppure, professore, quest’unità antifascista si organizza subito dopo la Liberazione nei primi governi unitari del Cln, che durarono almeno due anni, dal ’45 al ’47…
«Si ci fu questa collaborazione. L’unità resistenziale va al governo con Parri che praticamente viene estromesso da De Gasperi. Si trattava di un’alleanza comunque di forze non omogenee ma diverse. Infatti la collaborazione non durò a lungo, e alla fine prevalse l’impostazione dell’unità di fatto su quella di valore. tant’è vero che l’esperienza si concluse con l’esclusione dei comunisti e dei socialisti dal governo e ci fu, non dimentichiamolo, anche la scissione nello stesso partito socialista».
Torniamo alla Resistenza, lei ha detto prima che è stata una guerra civile. Approfondiamo un attimo questo aspetto, tutt’altro che trascurabile. Non fu invece una lotta per liberare un Paese occupato e oppresso?
«E’ un discorso complesso. molte responsabilità spettano alla monarchia, a cui durante il fascismo si era sostituita di fatto (forse anche sul piano costituzionale) una diarchia. Cioè la monarchia era diventata un organo del regime fascista. Era quindi un organo che non poteva determinare la caduta del fascismo, come determinò, senza annullare se stessa. Dunque, a mio parere, nel ’43 gli italiani si trovarono senza autorità legittima. Non si può pensare infatti alla caduta del fascismo come a quello di un governo qualsiasi, il fascismo era un regime.Senza un’autorità legittima, quindi, si poteva arrivare a posizioni diverse. Poteva esserci chi voleva il rovesciamento delle alleanze e la partecipazione a fianco degli alleati per partecipare alla rivoluzione mondiale contro il nazismo e per ottenere migliori condizioni per l’Italia al trattato di pace. Poteva anche esserci anche chi riteneva che la guerra è sempre guerra tra nazioni e occorre mantenere la fedeltà all’alleato».
Era stato però il fascismo a condurre l’IItalia in guerra, caduto il fascismo anche la partecipazione alla guerra doveva essere rivista, non le pare?
«C’era infatti una terza posizione che nessun partito ufficialmente portava avanti, ma che aveva una grande seguito in buona parte del mondo cattolico. vale a dire la posizione paragonabile a quella del “vescovo-defensor civitatis”. In altri termini, la consapevolezza di evitare innanzitutto la guerra civile e di fare una resistenza solo difensiva. il problema più importante da risolvere era l’uscita dalla guerra e l’assoluta volontà di perseguire la pace. Ad esempio, questa era soprattutto la posizione di Papa Pio XII. Una posizione, questa, che si tradusse, per quanto riguarda la Chiesa, nel dare soccorso a tutti i perseguitati e agli handicappati, agli ebrei, nell’assistenza spirituale ai partigiani come ai fascisti sbandati, senza distinzione di parte. da qui anche la crescita di credibilità e di peso della Chiesa nel ‘45»
Forse questa autorevolezza derivava anche dal fatto che la Chiesa, almeno una parte significativa di essa e dei cattolici, si erano sempre opposti al fascismo, magari cercando di convivere, ma comunque in una posizione diversa…
«Anche su questo tema occorre essere chiari. il fascismo nel primo dopoguerra nasceva come un fatto nuovo rispetto al periodo precedente e non nasceva certo dal pensiero cattolico. Il fascismo è il risultato della crisi della modernità, intendendo per modernità tutto quanto era nato nella cultura e nella società dalla Riforma protestante in avanti. ora per una serie di circostanze storiche il fascismo si trovava a combattere gli stessi avversari del cattolicesimo. il positivismo, il socialismo, il comunismo, la massoneria. la difesa, quindi, dei valori nazionali coincideva con la riscoperta degli storici avversari del cattolicesimo. per cui bisogna dire che una parte del mondo cattolico. senza essere fascista, tuttavia vide nel fascismo qualcosa che serviva a distruggere gli errori dell’età moderna e a preparare la restaurazione cattolica. C’è inoltre da ricordare che all’inizio degli Anni Trenta nessuno poteva prevedere gli esiti ulteriori del fascismo, l’alleanza con il nazismo e la guerra mondiale».
Questa certa convivenza (se così si può chiamare) tra la Chiesa e il regime non fu comunque senza conflittualità anche aspre…
«Certo, ma in linea di massima la Chiesa aveva fatto una scelta, in un certo senso religiosa, decidendo di abbandonare il terreno politico e indirizzandoci nella salvaguardia dell’autonomia del religioso rispetto alla tentazione totalitaria del fascismo, che in definitiva viene sconfitta».
Però quando il fascismo decise di imporsi non esitò a usare violenza contro i cattolici e le associazioni di ispirazione cristiana…
«Questi, a mio avviso, furono episodi limitati, l’opera di qualche fascista fanatico. e con questo non voglio affatto difendere il fascismo . Ci fu una durezza persecutoria contro i comunisti, ci fu una maggiore durezza in generale negli anni della guerra coloniale, ma non mi sembra che ci furono nei confronti dei cattolici persecuzioni, tranne qualche episodio limitato. Certo, bisogna sottolineare il fatto che non c’era comunque libertà di espressione. Ma cosa dire allora della violenza dello Stato unitario nell’800 contro le plebi meridionali?».
Come bisogna ricordare, dunque, a suo giudizio l’anniversario del 25 aprile?
«Ho l’impressione che ci sarà un’offensiva per questo quarantennale. per dimostrare che la legittimità della Repubblica italiana è fondata sull’unità delle forze politiche, nata dalla Resistenza. Un’impostazione che tende a riportare il problema alla legittimità del Pci a governare e tende ad annullare tutte quelle posizioni di anticomunismo democratico. Un’impostazione che tende a distrarre l’attenzione dai veri problemi contemporanei»
Allora bisogna dimenticare l’antifascismo?
«Oggi, credo, parlare di antifascismo non ha più molto senso. Avrebbe senso parlare di antiasburgismo? Ma il problema è il modo con cui se ne parla. E cioè la tendenza a considerarlo come una unità di valore e di valori, con la tendenza a unificarli. Così non si rivelano i veri caratteri delle forze in gioco e ad esempio si smorza il reale carattere del comunismo e delle forze legate al laicismo massonico»
Ma, secondo lei, oggi il fascismo è realmente scomparso?
«Il fascismo non esiste più, ci credono ancora solo alcuni vecchi nostalgici»
Nel paese comunque sembra a volte riemergere la cultura di una nuova destra
«E’ vero, ma bisogna prima di tutto discutere se il fascismo è stato un fenomeno di destra.Comunque questa, questa cultura di destra è un’altra cosa rispetto al fascismo, a cui è riconducibile solo una parte del Msi, del resto non rinnegare il proprio passato non vuol dire che si possa riprendere oggi. ma uno degli autori preferiti dalla nuova destra, Evola, è un pensatore che c’era già al tempo del fascismo e allora non enne nessuna influenza. poi la nuova destra ignora Gentile. Direi che questo movimento oscilla tra il tradizionalismo (mettendo da parte il rivoluzionarismo fascista) e il biologismo alla Lorenz. Ma non ha nulla a che vedere con il fascismo e rispetto al fascismo esprime tuttalpiù un giudizio storico».
Qual è il suo giudizio invece sui cattolici che fecero la Resistenza?
«Non furono molti, se parliamo di Resistenza offensiva. Ad esempio a Roma l’attentato di via Rasella, un attentato oltretutto inutile, fu opera dei comunisti. In Italia Settentrionale ci furono molti altri attentati di questo tipo, ma non furono certo dei cattolici, che si mossero soprattutto con un atteggiamento difensivo. Mentre la lotta armata fu condotta essenzialmente da comunisti, azionisti e in qualche caso anche da monarchici»
Professor del Noce, lei perché divenne antifascista?
«Sono sempre stato antifascista. Ero studente, ebbi la fortuna di fare delle letture e di avere degli amici come Aldo Capitini. La guerra d’Etiopia fu poi un altro momento in cui il regime mi apparve in tutta la sua emblematicità. Poi ancora lessi “Umanesimo integrale” di Maritain, che mi arrivò direttamente dalla Francia. Voglio aggiungere anche che ho sempre avuto una certa simpatia per i perdenti e invece antipatia per gli speculatori»
Poi arrivò la Resistenza, la Liberazione. Senza questo movimento di libertà ci sarebbe stata lo stesso la democrazia, così come si è sviluppata in Italia?
«Sostanzialmente credo di si. La democrazia ci sarebbe stata comunque. Si pensi alla Germania. Era una scelta che avevano già fatto le forze alleate vincitrici. Non possiamo, infine, dimenticare che la parte rivoluzionaria della Resistenza fu sconfitta».