Nel referendum astenersi non è una “frode alla Costituzione”, come ha affermato La Stampa ma un diritto dell’elettore riconosciuto dalla stessa carta costituzionale .
di Dino Boffo
Anzi, diceva di più: «È una frode della Costituzione». Ora, siccome è di sacrosanta importanza che in democrazia sia dato spazio ad ogni parere, saremmo tentati di pazientare che nei giorni prossimi l’inclito direttore di quell’augusto giornale faccia intervenire un giurista di scuola opposta a dire il contrario. A quel punto, secondo la più squallida degenerazione cui è pervenuto il cerchiobottismo italico, dovremmo dirci tutti stupidamente felici e contenti. Un giorno si accontentano gli uni, l’altro giorno si rimedia con gli altri. Perché prendersela? La ritualità è salva.
E invece no, salvo è un bel nulla. Crediamo che in ogni vera democrazia, in ogni democrazia che abbia il coraggio di se stessa, nella quale i cittadini pur mossi da idee opposte sono fieri di guardarsi negli occhi, in una democrazia insomma civilmente nutrita non tutte le opinioni abbiano la stessa dignità. Crediamo piuttosto che ce ne siano di così palesemente false, di così pacchianamente ruffiane verso il Potere mediaticamente costituito da non poter avere impunemente corso. Crediamo cioè che ci sia un livello oltre il quale vada pagato un dazio. Il dazio della gogna, quanto meno.
La tesi che quel signore ieri ha sostenuto è semplicemente un’impostura. Un’impostura che si spi ega, lo sappiamo bene, con il nervosismo che egli stesso tradiva a proposito di una diffusa volontà che si registra in giro di non andare al voto: “astensionismo militante” l’ha chiamato, ed era come se dalle righe rimbalzasse una punta di ribrezzo. Ebbene, che si dia una calmata, magari prenda in mano qualche buon trattato di diritto costituzionale, di quelli aggiornati però, dal quale potrà facilmente evincere che il voto è un diritto-dovere quando a chiamare è lo Stato, e si tratta di scegliere i rappresentanti del popolo sovrano nel Parlamento o nelle assemblee regionali (provinciali e comunali).
Quando a convocarci invece sono poco più di 500 mila cittadini, sui 50 milioni con diritto di voto, beh, quest’obbligo evidentemente non esiste. Posso personalmente riservare rispetto per l’opinione di questi cittadini, ma la loro iniziativa non assume per me un valore di vincolo. L’onere della prova – dimostrare cioè che si tratta di un’iniziativa condivisa – resta tutta loro. La Costituzione infatti mi dice che ho pieno diritto a non andare alle urne qualora io non condivida che venga sottoposta a tranciante giudizio una legge delicata, scrupolosamente varata dal Parlamento.
Ecco, questo non è un parere, tanto più il parere infimo di chi scrive, non è un’interpretazione tra mille, tutte ugualmente valide. Questa è l’interpretazione più accreditata perché più accreditabile. E vorremmo pregare che si spostasse finalmente in là il dibattito, facendola finita con gli spartiti dell’intimidazione o, all’opposto, del camuffamento buonista. «Se passano i sì, nessuno sarà sconfitto» dice l’angioletto tenerissimo che si cela sotto le sembianze dell’onorevole Barbara Pollastrini. Nessuno? E quell’individuo di specie umana che ha cominciato a vivere al momento dell’incontro tra ovulo e spermatozoo, che lei vuol congelare, o vivisezionare, o manipolare, anche quello vince? Ecco, piantiamola davvero con i trucchi, ed entriamo civilmente nel merito.