[Didaché IV, 2; CN ed., Roma 1978, pag. 32].
Tra sante e beate di nome Beatrice, la Chiesa ne annovera ben sedici. Tre sono addirittura parenti tra loro e appartengono al casato degli Este. La Beatrice di oggi nacque a Ornacieu, nel Delfinato, verso l’anno 1260. Nel 1273 entrò nella certosa di Parmènie. Nel 1301 fu inviata a fondare un nuovo monastero a Eymeu, vicino a Valence.
Partì con due compagne: Louise Alleman di Grésivaudan e Marguerite di Sassenaye. Malgrado l’estrema povertà in cui erano costrette a vivere, altre donne arrivarono. Beatrice morì nel 1303 o nel 1309. Quando morirono anche le sue due prime compagne, i tre corpi vennero traslati insieme a Parmènie, dove riposarono nel santuario dei monaci Olivetani.
Da lì, verso il 1901, furono portati a Rancurel. Beatrice di Ornacieu è festeggiata sia nella diocesi di Valence che in quella di Grenoble. Nei documenti si legge che Beatrice fu devotissima alla Passione di Cristo e si distinse per l’amore delle sofferenze. E qui l’occhio del giornalista si fa curioso. Dovrebbe essere abituato, visto che si tratta di santi. Ma quell’”amore delle sofferenze” proprio non va giù. Come si fa ad amare la sofferenza?
Ma le fonti dicono proprio così. Non «sopportare», nemmeno «accettare». Basta una leggera indisposizione, una transitoria emicrania per mandare fuori dai gangheri e far diventare intolleranti, insopportabili, a volte anche cattivi. Invece c’è stato, e c’è, chi le sofferenze le «ama». Qual è il segreto di questa via (si, perché lo è) alla perfetta felicità? Forse è questa l’unica, vera, grazia da chiedere ai santi cristiani. Sì, perché solo loro possono concederla.
il Giornale