Il Foglio quotidiano giovedì 2 luglio 2015
Massimo Introvigne
Ferve negli Stati Uniti, dove mi trovo, il dibattito sull’Opzione Benedetto proposta da Rod Dreher, che il Foglio ha avuto il merito di fare conoscere in Italia. La tesi di Dreher va capita bene. Non è una “scelta religiosa” che invita i cristiani a ritirarsi nelle sagrestie. Non chiede di disinteressarsi dei grandi problemi antropologici e morali. Ma sostiene che interessarsene è possibile solo con una lunga marcia che parta, nello stile di san Benedetto, dalla formazione e dalle piccole comunità.
Lo scontro frontale porterebbe invece alla sconfitta. La culture war – pensa Dreher – è stata combattuta con onore ma è finita e, come dimostra la sentenza della Corte suprema sulle nozze gay, i cristiani l’hanno persa. In Italia queste tesi sembrerebbero portare acqua al mulino di chi ha scelto di non partecipare alla manifestazione del 20 giugno a piazza San Giovanni e anche di qualche ecclesiastico d’alto bordo che la pensa nello stesso modo. Ma non è colpa di Dreher.
Vorrei dunque esaminare la sua tesi prescindendo, almeno in prima battuta, dal caso italiano.
Leggendola da sociologo, penso anzitutto che la strategia Dreher possa sedurre e sembrare inizialmente ragionevole: anche perché ha un precedente storico di successo. L’ha adottata, di fronte alle sconfitte politiche e militari, il fondamentalismo islamico. Negli anni Ottanta, dopo l’assassinio di Sadat (1918-1981) in Egitto (1981) e il colpo di stato militare in Turchia (1980), le dittature militari medio orientali hanno sconfitto il fondamentalismo islamico sul piano della repressione e della polizia. Molti suoi leader sono stati impiccati.
Mentre una minoranza ha reagito con il terrorismo, la dirigenza più avveduta dell’islam politico, almeno in Egitto e in Turchia, ha proposto un patto non scritto al laicismo dominante dei regimi militari. Il patto suonava più o meno così: voi gestite lo stato in modo (più o meno) laico, con leggi che ci ripugnano, e noi non reagiamo a queste leggi con la violenza. In cambio, tacitamente, ci lasciate creare degli spazi islamizzati, delle micro società dove noi e i nostri figli possiamo vivere in pace secondo la nostra interpretazione del Corano.
Questo patto è poi saltato nel XXI secolo – anche se oggi in Egitto, a fronte di un terrorismo che il regime non riesce a controllare, c’è chi pensa di riproporlo – ma è andato avanti per decenni con risultati perfino spettacolari. I regimi laicisti sono sopravvissuti senza scossoni per molti anni, e nel frattempo le micro società islamizzate dei fondamentalisti sono cresciute e sono prosperate.
Non credo affatto che Dreher abbia consapevolmente in mente i Fratelli musulmani o l’islam politico turco negli anni precedenti alle vittorie elettorali di Erdogan, ma oggettivamente una somiglianza c’è. Ed è un modello che a lungo ha funzionato. Tutto bene, allora? Non proprio. Per due motivi. Il primo è che il relativismo occidentale è molto più raffinato e intrinsecamente malvagio della logica da caserma, sia pure talora condita con una salsa massonica, di qualche dittatura militare medio orientale.
Non a caso Papa Francesco ha paragonato più di una volta la dittatura del “pensiero unico” in occidente con il regime dell’Anticristo nel vecchio romanzo “Il padrone del mondo” di Robert Hugh Benson (1871-1914). Questo significa che, a differenza di un qualche generale del medio oriente, i “padroni del mondo” occidentali capiranno il pericolo, anzi lo hanno già capito, e – san Benedetto o no – stroncheranno senza pietà i ridotti alternativi dove si vive e si forma in modo diverso dal pensiero unico. Ce ne sono già le avvisaglie nel nord Europa, dove i protestanti fondamentalisti e conservatori fanno esattamente quello che suggerisce Dreher: non partecipano al gioco politico, non contestano in modo militante le leggi ostili alla vita e alla famiglia ma cercano di vivere in pace, formarsi e formare altri in comunità e scuole protette e separate.
Di recente ho intervistato i responsabili di due di queste comunità protestanti. Entrambe sono continuamente vessate da ispezioni della polizia e delle autorità scolastiche. In un caso – una scuola svedese – le ispezioni hanno ammesso che il livello dell’insegnamento è ottimo, ma hanno minacciato la chiusura se l’uniforme scolastica continuerà a essere diversa per ragazzi (pantaloni) e ragazze (gonna), il che è contrario all’ideologia di genere il cui insegnamento teorico e pratico è obbligatorio in Svezia anche nelle scuole non statali.
Nell’altro caso, in Germania, il fatto che i bambini siano talora corretti con punizioni corporali – non si tratta di chissà quali tremende violenze, ma di qualche sculacciata – ha portato alla sottrazione ai genitori dei figli, che sono stati dati in affido a famiglie “normali”. In una serie di raid poliziotti tedeschi in assetto di guerra hanno messo a soqquadro la comunità e portato via i bambini.
Si dirà che si tratta di “sette”: ma è il principio che conta, e comunque per un certo laicismo è una “setta” chiunque insegna ai bambini cose che non piacciono ai poteri forti. Non illudiamoci.
Nell’Europa del politicamente corretto le isole di vita alternativa non saranno tollerate. E neppure negli Stati Uniti. Anche lì ci sono già le avvisaglie, con pasticcieri cristiani costretti a preparare torte per i “matrimoni” omosessuali e i primi pastori denunciati perché si rifiutano di “sposare” persone dello stesso sesso.
Un secondo motivo che mi rende perplesso sulla proposta di Dreher è che, quand’anche i “padroni del mondo” stipulino una qualche sorta di patto non scritto per lasciare sussistere le isole “benedettine”, questi patti non sono mai stipulati senza riserve mentali. Era successo così anche in medio oriente. Il laicismo dominante fingeva di tollerare gli spazi islamizzati ma nello stesso tempo metteva in atto tante piccole strategie per farli sparire.
Come accennato, queste strategie da noi sono molto più raffinate e nello stesso tempo talora più brutali. Quanto agli islamici, non pensavano di rimanere nelle loro riserve islamizzate in eterno. Di lì un giorno volevano uscire per prendere il potere. Ha funzionato – e continua, con qualche scossone, a funzionare – in Turchia. Ha funzionato per poco in Egitto, dove i Fratelli musulmani hanno prima conquistato e poi perso il potere. Ma la strategia era chiara. Il patto c’era, ma nessuno lo aveva stipulato in buona fede.
Questa è, ultimamente, la domanda da porre a Dreher. Spazi di libertà, soprattutto formativi, educativi e scolastici, per fare che cosa? Semplicemente per sopravvivere? Non funzionerà. Verrà la polizia a scuola per portarci via i bambini, magari inventando maltrattamenti e preti pedofili inesistenti.
E se anche questo non dovesse succedere, la stretta dall’esterno si farà sempre più soffocante, fino a uccidere. Diamo retta a Papa Francesco: rileggiamo “Il padrone del mondo” e sapremo che ci aspettano, come ha detto il Pontefice, i “sacrifici umani”. Oppure, come per i Fratelli musulmani o l’islam politico turco, pensiamo a spazi da fare crescere in silenzio per trasformarli un giorno in un progetto politico che punti all’egemonia sulla società? In questo secondo caso, la domanda ulteriore è se è possibile immaginare la riconquista, a partire da spazi che crescono, di una società che nel frattempo si sarà moralmente sfasciata.
Comunque lo si giri, un patto che preveda di accettare senza combattere – in piazza e nella politica, non solo in piccoli mondi alternativi – processi socialmente distruttivi come il “matrimonio” e le adozioni omosessuali sembra infilare i “buoni” che lo sottoscrivono in una trappola per topi da cui non c’è via d’uscita. E dove non c’è neppure molto formaggio.
Altrove, invece, il formaggio c’è. Non un sondaggio, ma i risultati dei referendum celebrati
negli anni scorsi negli Stati Uniti hanno rivelato che in Mississippi l’86 per cento dei cittadini si oppone al “matrimonio” omosessuale, e in Georgia – dove c’è una delle grandi tecno-metropoli americane, Atlanta, sede di quella società Coca-Cola che ha celebrato in modo particolarmente enfatico la sentenza della Corte suprema – il 76 per cento. I sondaggi sono meno certi dei dati elettorali, ma da uno affidato dal Mattino di Napoli alla Ipr Marketing quattro giorni dopo piazza San Giovanni è emerso che l’85 per cento degli italiani è contrario alle adozioni omosessuali, cioè – almeno implicitamente – alla legge Cirinnà, che di fatto apre alle adozioni.
Prima di dire che gli oppositori – cristiani e non – si sono ridotti a una piccola minoranza, proporrei di ripetere certi conteggi.
L’Opzione Benedetto è allora totalmente sbagliata? No, se integra prima san Benedetto con Benedetto XVI e poi Benedetto XVI con Papa Francesco. Benedetto XVI, almeno per l’Europa, aveva in mente anche lui un cattolicesimo di minoranza che trovasse la sua forza nella cultura e nella formazione, ma – dove si poteva, come nell’Italia del Family day del 2007 – non era contrario a che si scendesse in piazza. E prima di dichiarare perdute le battaglie le combatteva: pensiamo ai suoi interventi sul caso Lautsi, cioè sulla decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo di vietare la presenza del crocefisso nelle scuole italiane, poi rovesciata in Appello grazie anche all’attivismo della Santa Sede.
Certo, per combattere le battaglie ci vogliono persone disposte ad ascoltare il richiamo della chiesa secondo cui un mondo diverso è possibile. Ce ne vogliono di più. E qui Benedetto XVI va integrato con Papa Francesco, che ha ripreso nell’enciclica Laudato si’ la grande lezione di Papa Ratzinger sul dominio della tecnocrazia e dei poteri forti e la necessità di resistere. Distratti dal dibattito sul clima, molti non hanno visto che sta lì il cuore dell’enciclica.
Come resistere però alla tecnocrazia? Papa Francesco propone due vie: riscoprire l’amore di Dio a partire dalle prime verità della fede e riscoprire la bellezza. A questo servono le comunità “benedettine” di Dreher: ben vengano. Ma poi, per ripetere la parola più usata da Papa Francesco, da queste comunità bisogna “uscire” per giocare la partita e cercare di vincerla.
Senza farsi imporre dai poteri forti la tesi secondo cui non c’è più nessuna partita perché è stata fischiata la fine e si tratta solo di accettare la sconfitta. Papa Francesco ripete spesso che “il tempo è superiore allo spazio”. Non siamo topi in un labirinto il cui percorso è già stato stabilito per noi dai poteri forti, ma uomini e donne liberi di creare il nostro futuro. Basta crederci. Il tempo non è scaduto.