Ricognizioni 14 gennaio 2020
di Antonio de Felip
Uno degli argomenti che gli immigrazionisti portano a sostegno dell’invasione e dell’innocenza, se non santità, dei cosiddetti “migranti”, è la narrazione di “colpe” dell’Occidente, anzi di più: di “colpe” dell’uomo bianco, intrinsecamente malvagio perché colonialista e neo-colonialista, schiavista, massacratore, imperialista, distruttore dell’ambiente.
Questa immigrazione distruttiva di popoli, civiltà e culture sarebbe quindi una conseguenza delle “colpe dell’Europa” e l’accoglienza incondizionata e sottomessa un “nostro dovere” come risarcimento per lo “sfruttamento” e la “depredazione” compiuta dall’uomo bianco nei confronti degli africani, degli asiatici, dei nativi americani.
È una falsificazione che si affianca alle altre che ci vengono sistematicamente imposte dai propagatori della dissoluzione immigrazionista, come quella del “ci pagheranno le pensioni”, o del “fanno i lavori che non vogliamo più fare”.
Questo veleno instillato lentamente è un subdolo senso di colpa, di vergogna di noi stessi, della nostra storia, della nostra civilizzazione che si alimenta attraverso meccanismi di auto-colpevolizzazione obbligatori e orwelliani imposti dalle agenzie educative, dai media e dalla pressione della politically correctness.
È un veleno che rappresenta uno dei pericoli maggiori per la nostra società, perché non solo riduce le nostre difese intellettuali contro l’invasione e impedisce una doverosa, efficace reazione, ma soprattutto distrugge la nostra autostima come etnia e come popoli e instilla disprezzo e vergogna nei confronti della nostra storia.
Questo processo di autodemolizione, di colpevolizzazione e di demonizzazione della civiltà europea non nasce di recente: senza citare gli anticipatori deliri rousseauiani sul “buon selvaggio” e gli innamoramenti senili e naïf di alcuni europei ottocenteschi per le “culture” tribali, lo troviamo già potente e formato nell’antropologia di Lévi-Strauss, apologeta di un assoluto relativismo culturale e nemico del cosiddetto “etno-centrismo”.
L’antropologo strutturalista così si esprimeva: “Quel mostruoso e incomprensibile cataclisma che fu, per una tanto larga e innocente frazione dell’umanità, lo sviluppo della civiltà occidentale”.
Una sintesi di questo pensiero e di queste pratiche auto-flagellatorie che affliggono, mortificano e paralizzano l’intellettualità europea, ce la offre Raffaele Simone che, stigmatizzandola, definisce nel suo recente testo L’Ospite e il Nemico questa posizione ideologica “opzione dell’Europa Colpevole” che, in sintesi, può così essere espressa: “la Grande Migrazione è la risposta, tardiva ma inevitabile, ai secoli di sfruttamento, angherie, prepotenze e crudeltà che l’Occidente ha inflitto a tutto il pianeta […] sotto forma di colonialismo predatorio, schiavismo e sfruttamento di risorse naturali”.
Questa tesi, entrata purtroppo nel sentire comune di molti semi-colti anche in Italia (affermazione udita da una conduttrice di una emittente sedicente cattolica, TV2000: “Se fuggono è perché noi occidentali abbiamo desertificato i loro paesi”), è stata denunciata come “etno-masochismo” da un intellettuale francese, tra l’altro non certo di destra, Pascal Bruckner (suoi testi sull’argomento tradotti in italiano: La tirannia della penitenza e Il singhiozzo dell’uomo bianco).
Qualche frase esemplificativa del suo pensiero: “Su tutto l’Occidente grava una presunzione di colpa. Noialtri europei siamo stati cresciuti nell’odio nei confronti di noi stessi”; “Il mondo intero accusa l’Occidente e molti occidentali partecipano a questa campagna: la nostra responsabilità viene affermata con indignazione, con disprezzo. Nessun discorso sul Terzo Mondo può concludersi o cominciare senza che riecheggi questo Leitmotiv: l’uomo bianco è malvagio. Che cosa ci rimane, a noi figli e nipoti dei barbari che hanno depredato terra e mare?”; “Conclusione: la nostra esistenza è un affronto alla creazione, e abbiamo un solo dovere: scomparire, cancellarci dalla faccia della Terra. L’avvenire dell’emisfero Nord è il suicidio”.
È ancora un altro intellettuale francese, Jean-Louis Harouel, a denunciare in un testo titolato I diritti dell’uomo contro il popolo le accuse dei liberal antirazzisti secondo cui “le colpe dell’uomo bianco” sono così gravi da imporci come unica via per la remissione dei nostri peccati il suicidio etnico.
Scrive Harouel: “La virtuosissima religione secolare dei diritti dell’uomo indica agli europei il dovere di scomparire sorridendo per far posto ad altri popoli e ad altre civiltà”. Molti sono, di conseguenza, gli obiettivi dell’odio anti-bianco di quelli che compongono il “Club Radicale”, per usare la definizione del già citato Raffaele Simone, ma tra questi primeggia, come simbolo rappresentativo della malvagità europea, dello schiavismo, del colonialismo, Cristoforo Colombo.
Mai nessun personaggio storico ha suscitato tanto disprezzo come il navigatore genovese nelle frange, minoritarie ma dominatrici attraverso le Università e i media, dei fanatici intolleranti della correttezza politica. E questo non solo negli Stati Uniti.
Che il grande e geniale navigatore avesse un cattivo carattere, come tutte le persone di carattere, è cosa ben nota. Ma sentite gli epiteti con cui lo apostrofa elegantemente Jacopo Fo, “intellettuale” per diritto di nascita e di discendenza: “cane rognoso”, “spregevole incursore”, “assassino, torturatore, schiavista”, “c’è da vergognarsi che fosse italiano, tale quale a Totò Riina”.
In quanto a feroce odio storico, un livello ineguagliabile. Lo riporta Massimo Arcangeli in un bel libretto titolato Una pernacchia vi seppellirà. Contro il politicamente corretto. È certamente negli Stati Uniti ove si manifesta l’odio più viscerale, profondo e violento degli antirazzisti contro il grande genovese.
Sono innumerevoli i libri scritti contro Colombo, considerato genocida e padre storico di genocidi. La feroce America precolombiana, incaica, maya, azteca, quella delle continue e crudelissime guerre tribali, dei milioni di immolati sugli altari di divinità sanguinarie, degli infanticidi, della schiavitù di intere popolazioni, tutte pratiche fatte cessare dai Conquistadores cattolici incoraggiati dai reali spagnoli, viene invece descritta come un giardino dell’Eden, in cui uomo e natura convivevano in perfetta armonia.
Menzogna a cui non si è sottratta, purtroppo, la Chiesa con la sanguinosa dea incaica Pachamama che è stata posta sugli altari di alcune chiese romane e, con decisione al contempo tragica e ridicola, ma certamente blasfema, indicata ai fedeli quale degna di idolatria. In decine di Stati e di città USA, tra le quali Los Angeles, Seattle e Minneapolis la festa del Columbus Day è stata abolita e sostituita con una “Indigenous People Day” tra le deboli reazioni delle comunità italo-americane, intimorite della violenza ideologica (e talvolta non solo) dei liberal fanatizzati dalla politically correctness.
Si moltiplicano gli atti vandalici contro le statue del navigatore genovese, come a Baltimora, dove il più antico monumento dedicato a Colombo negli USA, un obelisco del 1782, è stato gravemente danneggiato da attivisti antifa.
A New York il sindaco di sinistra Bill De Blasio ha istituito una commissione per decidere la rimozione delle opere che possono “incitare all’odio”, tra cui il monumento a Cristoforo Colombo. Nell’Università (cattolica!) di Notre Dame dell’Indiana la figura di Colombo è stata cancellata dagli affreschi che ornano i muri dell’Ateneo.
Questa violenza è pari solo a quella rivolta contro i monumenti dei Confederati. Per quanto incredibile, questa “Colombofobia” si è persino manifestata in Spagna, dove i governi socialisti, che stanno imponendo una gigantesca negazione e falsificazione della memoria (la profanazione della tomba del Generalissimo Franco ne è un esempio) è stata imposta un’assurda censura di Stato verso Colombo e la regina Isabella di Castiglia.
D’altronde non fu l’anticattolicissimo Zapatero a presentare le scuse della Spagna per gli arabi espulsi da Isabella? La “tirannia della penitenza”, la patologica, insana pulsione all’auto-flagellazione di alcuni bianchi ha raggiunto punte grottesche e da patologie psichiatriche.
Testimonia Douglas Murray, nel suo “La strana morte dell’Europa”, di tale Hawkins, regista teatrale che, scoperto di discendere da un mercante di schiavi, partecipò a un “viaggio del pentimento” in Gambia nella cui capitale sfilò, assieme ad altri 26 discendenti di schiavisti, con catene ai polsi, giogo al collo e una maglietta con la scritta So sorry.
Arrivati allo stadio riempito di spettatori, i “pentiti” si inginocchiarono e tutti insieme, piangendo, si scusarono in inglese, francese e tedesco davanti ai presenti. Meno tragico, ma altrettanto ridicolo è il racconto di uno sghignazzante Arafat che narrava di una delegazione americana che si era recata da lui per “chiedere scusa delle Crociate”.
In Australia, dove il primo ministro ha chiesto perdono agli indigeni, come il suo collega canadese, per le “colpe” dei bianchi, nelle scuole si insegna che la nazione fu fondata sul genocidio e sull’appropriazione e ogni anno si organizza una “giornata del pentimento”: il National Sorry Day.
D’altronde questo auto-disprezzo, questa negazione del valore della propria etnia e della propria cultura, cioè della propria casa, che il filosofo britannico Scruton, morto nei giorni scorsi, definisce “oicofobia”, è ormai dilagante. In molte università di lingua inglese si allunga di giorno in giorno la lista degli autori definiti spregiativamente DWEM (Dead White European Males, Uomini bianchi europei morti) e per questo messi al bando dagli antirazzisti e antifascisti.
Massimo Arcangeli, ne suo libro sopra citato, ce ne propone una lista: Euripide per misoginia, Ovidio per affermazioni che ledono la dignità femminile, Dante per aver sprofondato Maometto all’Inferno, Shakespeare per sessismo e antigiudaismo, Ariosto egualmente per antigiudaismo, e poi Edgar Allan Poe per razzismo, Oscar Wilde perché misogino, Pirandello e Ungaretti perché fascisti e via ostracizzando. D’altronde, la duchessa Meghan Markle, attrice e moglie del principe Henry, si è lamentata: “Ci sono troppi uomini bianchi nelle università”.
Anche nelle Università francesi le cose non vanno meglio: sono innumerevoli gli episodi di conferenze, rappresentazioni teatrali, lezioni annullate, talvolta anche con la violenza, perché sgradite alla gauche antirazzista.
Recentemente, tale Maboula Suomahoro, di origine ivoriana, docente all’Università di Tours, che si dichiara “afro-femminista”, ha apoditticamente affermato: “L’uomo bianco non può aver ragione contro un nero o un arabo. Bisogna davvero che la Francia se ne renda conto”.
Ci racconta Adriano Scianca su LaVerità che l’atmosfera negli Atenei d’oltralpe si è fatta talmente pesante che un centinaio di docenti e intellettuali ha trovato il coraggio, sfidando l’intolleranza e le intimidazioni di “antifascisti, antirazzisti, “decoloniali”, comunisti, femministi”, di firmare, su Le Figaro, un manifesto per il ripristino della libertà d’espressione.
Paradigmatico per auto-disprezzo è il caso della Svezia, dove gli autoctoni saranno minoranza in una generazione: Frederik Reinfeldt, primo ministro appartenente a un partito “moderato”, aveva dichiarato nel 2006: “Solo la barbarie è autenticamente svedese. Tutto il resto è stato importato da fuori”.
Nel 2014 rincarò la dose dicendo che gli svedesi “non erano interessanti”. Tale Ingrid Lomfors, capo di un’istituzione svedese per “l’educazione all’Olocausto” ha candidamente affermato che “non esiste nulla che si possa chiamare cultura svedese”. E Mona Sahlin, Ministro all’integrazione, ha confessato la sua ammirazione per la ricchezza della cultura dei curdi, mentre gli svedesi “non hanno che qualche festa come la Notte di Mezza Estate”.
Nel 1899 Rudyard Kipling (la cui celebre poesia If è stata cancellata da un muro dell’Università di Manchester e sostituita con quella di una sconosciutissima “poetessa” militante africana) scriveva un famoso poema Take up the White Man’s burden, Raccogli il fardello dell’Uomo Bianco.
Quel fardello di civilizzazione è oggi stato trasformato in un fardello di colpe e di peccati e noi, pentiti e penitenti, c’inchiniamo sotto il suo peso davanti a coloro che, inevitabilmente, se non reagiamo, sostituiranno noi, la nostra cultura e la nostra civiltà tra non molti decenni.