Andando di questo passo, la popolazione mondiale raggiungerà la crescita zero attorno al 2100 e stabilizzerà la sua taglia a poco meno di 11 miliardi di persone.
Contro le più fosche profezie degli anni Settanta, l’aumento della popolazione non ha comportato la temuta apocalisse planetaria: le risorse, sia energetiche che alimentari, mondiali anzichè svanire sono aumentate grazie alle innovazioni tecnologiche; il numero e la gravità delle carestie non sono cresciuti, se non in aree di guerra; il rapporto percentuale fra ricchi e poveri è rimasto più o meno lo stesso.
Non solo: il tasso di incremento demografico ha cominciato a rallentare senza che in nessun luogo, tranne la Cina comunista, siano stati adottati i provvedimenti drastici e illiberali proposti dal Club di Roma e dai neo-malthusiani (seguaci di Thomas Malthus, il demografo settecentesco che teorizzava l’inconciliabilità fra aumento della popolazione e aumento della ricchezza generale) negli anni Settanta.
Mentre negli anni Sessanta la popolazione mondiale aumentava del 2% all’anno, oggi la crescita è solo dell’1,4%. In termini assoluti, l’anno che ha visto il maggior aumento di popolazione è stato il 1992, allorchè il saldo fra nascite e morti è stato di 92 milioni di unità; ma già quest’anno l’incremento si fermerà a 80 milioni. Nei paesi in via di sviluppo le nascite sono passate dai 6 figli per donna dei primi anni Sessanta ai poco più di 3 di oggi. Andando di questo passo, la popolazione mondiale raggiungerà la crescita zero attorno al 2100 e stabilizzerà la sua taglia a poco meno di 11 miliardi di persone.
Come è stato possibile raggiungere questi risultati in dolcezza? Semplicemente attraverso i mezzi e i passaggi già storicamente sperimentati dai paesi oggi industrializzati: la crescita economica (nonostante tutto, negli ultimi 35 anni nei paesi a basso e medio reddito c’è stato un aumento del reddito pro capite del 2% all’anno), la diminuzione della mortalità infantile, (passata in 40 anni dal 150 per mille al 60 per mille nei paesi in via di sviluppo) l’aumento della scolarizzazione femminile e la diffusione dei metodi anticoncezionali
.Quest’ultima non è stata, come troppi continuano a pensare, la fonte prima della diminuzione delle nascite, ma una conseguenza degli altri progressi: quando c’è più benessere e le donne sono più istruite, i bambini che vengono al mondo sopravvivono più facilmente, quindi viene meno la necessità di generarne tantissimi, e le donne ricorrono ai mezzi di regolazione della fertilità.
Laddove invece si sono impostate politiche demografiche coercitive, come nella Cina comunista, si sono creati problemi enormi: la politica del figlio unico (chi ne generava di più veniva multato, o addirittura imprigionato o costretto all’aborto) ha condotto a una situazione di sbilanciamento fra i sessi e le classi di età.
Pur di avere un figlio maschio, molte famiglie cinesi hanno fatto ricorso all’aborto selettivo per eliminare le femmine prima della nascita, per cui oggi ci sono regioni, come lo Hainan, dove si trovano 175 maschi ogni 100 femmine. E la troppo rapida caduta della natalità dopo gli anni Settanta farà sì che fra pochi anni i cinesi si troveranno a fare fronte a un problema pensionistico (pensionati in sovrannumero rispetto agli attivi) molto, molto più grave di quello italiano.