Gli ambientalisti negano la scienza. Il caso di Harvard

gli ambientalisti negano la scienzaAbstract: gli ambientalisti negano la scienza. Il caso di Harvard che ha interrotto una ricerca per ridurre il riscaldamento globale in seguito alle proteste di attivisti seguiti anche dai politici che sono saliti sul carro. Nel mirino il timore che gli esperimenti portassero a soluzioni che consentissero di proseguire con l’uso dei combustibili fossili, fortemente avversati dalle lobby ambientaliste. Eppure anche l’amministrazione Obama e anche l’amministrazione Biden ha espresso un moderato sostegno, perchè Come per qualsiasi altra ricerca, l’umanità ha bisogno di sapere cosa funziona e quali problemi potrebbero sorgere in futuro.

Tempi, 15 Maggio 2024

Sono gli attivisti climatici a negare la scienza. Il caso di Harvard

Per colpa di una «rumorosa minoranza» di fanatici il prestigioso ateneo ha interrotto la sua ricerca nel più promettente dei campi per la lotta al riscaldamento globale, la geoingegneria

di Bjørn Lomborg  

Gli studi sul clima sono sempre più politicizzati. Di recente la Harvard University ha chiuso un progetto di ricerca chiave di geoingegneria in seguito alle forti contestazioni che aveva suscitato, e questo nonostante l’ateneo dichiari di aspirare a diventare «un faro globale sul cambiamento climatico».

La geoingegneria è uno dei modi in cui l’umanità potrebbe davvero affrontare il problema del cambiamento climatico. L’approccio standard – quello su cui si concentra la maggior parte del mondo ricco – consiste nel cercare di ridurre le emissioni di carbonio e dirottare gli investimenti verso l’energia solare ed eolica.

Tuttavia questo approccio è estremamente arduo e costoso, perché i combustibili fossili continuano nei fatti ad alimentare la maggior parte del mondo. Nonostante decenni di campagne politiche a favore della riduzione dei combustibili fossili, le emissioni aumentano continuamente, e lo scorso anno sono state le più alte di sempre.

La geoingegneria, di contro, mira direttamente a ridurre la temperatura del pianeta. Un approccio consiste nell’emettere anidride solforosa nella stratosfera, cosa che potrebbe raffreddare il pianeta. Esiste ampia evidenza del fatto che funziona: le eruzioni vulcaniche tipicamente gettano particelle nella stratosfera, ognuna delle quali riflette un po’ di luce solare nello spazio. L’eruzione del monte Pinatubo nel 1991 raffreddò la Terra di circa 0,6 gradi centigradi per 18 mesi.

I ricercatori di Harvard non stavano tentando nulla di così eclatante. Volevano semplicemente lanciare un singolo pallone stratosferico che avrebbe rilasciato una minuscola quantità di particolato in quota sopra la Terra. Il loro esperimento avrebbe dovuto raccogliere dati che dimostrassero come le particelle si disperdono e quanta luce solare riflettono.

Poiché finora il mondo non è praticamente riuscito ad affrontare il cambiamento climatico riducendo la dipendenza dai combustibili fossili, non sembra insensato studiare anche altre misure potenzialmente in grado di risolvere parte del problema. Persino le Nazioni Unite nel 2019 hanno ammesso che «non c’è stato alcun vero cambiamento nel flusso delle emissioni globali nell’ultimo decennio», e questo nonostante gli Accordi di Parigi del 2015.

Da allora, le emissioni di gas serra hanno continuato a far registrare nuovi record e secondo un nuovo rapporto dell’Organizzazione meteorologica mondiale «non si intravede la fine della tendenza all’aumento». Non siamo nelle condizioni di permetterci di ignorare alcuna via per provare a risolvere il cambiamento climatico.

Purtroppo, come ha scoperto The Harvard Crimson, le pressioni degli attivisti climatici hanno reso impossibile agli scienziati esplorare questa via. Persino l’attivista più in vista, Greta Thunberg, ha criticato i primi test in programma nel Nord della Svezia.

Poi il Consiglio dei Saami locale – sopra le cui terre si sarebbero svolti i test – ha fatto notare che sparare un singolo pallone nel cielo avrebbe comportato «rischi di conseguenze catastrofiche». I politici sono saliti sul carro: tra loro l’ex ministro degli Esteri svedese che ha dichiarato che la geoingegneria è «folle», mentre i giovani attivisti spingevano i finanziatori dell’università a escludere quella ricerca.

Oltre che contro gli attivisti stessi, il ricercatore capo del progetto punta il dito contro una «minoranza rumorosa» di scienziati che concordano con i militanti sul fatto che la geoingegneria potrebbe offrire una scusa per non tagliare i combustibili fossili, dal momento che mette in luce un’altra soluzione possibile al cambiamento climatico.

Uno di questi scienziati, il climatologo Michael Mann, sostiene che la geoingegneria sia una soluzione perniciosa e falsa offerta dagli inquinatori per continuare a trarre profitto dai combustibili fossili. Il Consiglio dei Saami si è opposto all’esperimento di Harvard perché la ricerca «potrebbe compromettere i necessari sforzi del mondo per raggiungere società a zero emissioni».

Questa non è scienza, è dogma. L’idea che esista una sola linea politica corretta – azzerare le emissioni di carbonio in brevissimo tempo – è assurda, a maggior ragione nel momento in cui questa unica linea politica sta fallendo in tutto il mondo. La verità è che la geoingegneria potrebbe essere un’innovazione incredibilmente utile, anche se presenta dei rischi.

La geoingegneria è l’unica strada percorribile che l’umanità abbia mai individuato per abbassare rapidamente le temperature. Se dovessimo vedere la calotta glaciale dell’Antartide occidentale iniziare a scivolare nell’oceano – il che sarebbe un disastro globale – nessun provvedimento standard in materia di combustibili fossili potrebbe fare una qualche significativa differenza. Se anche tutte le nazioni dovessero riuscire nell’impossibile impresa di azzerare le proprie emissioni nel giro di pochi mesi, le temperature non scenderebbero ma si limiterebbero a smettere di salire.

Al contrario, la geoingegneria potrebbe, in linea di principio, mettere fine all’aumento della temperatura globale – e persino invertirlo – a costi ridotti. La geoingegneria ha un prezzo che varia da decine a poche centinaia di miliardi di dollari nel XXI secolo, a fronte di politiche standard che costano decine di migliaia di volte di più.

Naturalmente, non è che il mondo debba iniziare a immettere particolato nell’atmosfera in un prossimo futuro. Ma dobbiamo sapere se questa tecnologia funziona e dobbiamo anche conoscere il potenziale impatto negativo di un suo utilizzo.

Da una parte perché è probabile che alcuni paesi e persino il mondo vorranno un domani prendere in considerazione l’impiego di questo approccio, ma anche perché il costo della geoingegneria è così contenuto che c’è il rischio che una singola nazione, un furfante miliardario o persino un’organizzazione non governativa particolarmente esaltata possano dispiegare in autonomia questa tecnologia.

Dobbiamo assicurarci che il mondo ne conosca le implicazioni. E questo richiede ricerca.

Queste considerazioni sono il motivo per cui sia la rivista scientifica Nature che l’amministrazione Obama hanno appoggiato la ricerca sulla geoingegneria. Persino l’amministrazione Biden ha espresso un moderato sostegno.

Come per qualsiasi altra ricerca, l’umanità ha bisogno di sapere cosa funziona e quali problemi potrebbero sorgere in futuro. La politicizzazione della ricerca sul clima, motivata dalla paura che questa possa portare a risultati politicamente sgraditi, è un male per il mondo.

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