Il Corriere del Sud 6 maggio 2014
Andrea Bartelloni
È il 1927 quando un pastore protestante tedesco, Fritz Jahr, pubblica uno scritto dove compare, per la prima volta, il termine bioetica. Ma i tempi non erano ancora maturi e questo termine scompare rapidamente per riaffiorare nel 1970 grazie all’oncologo statunitense Van Resselaer Potter al quale viene attribuita la paternità del neologismo.
Con questa notizia, che ribalta le conoscenze sull’origine del termine bioetica, si apre il volume di Fabrizio Turoldo,Breve storia della bioetica (ed. Lindau, 2014) che si affianca ad altre pubblicazioni sul tema ma con un taglio che lega la storia all’attualità e ne fanno un testo utile in un momento in cui le tematiche che vanno dalla fecondazione assistita all’eutanasia, dall’aborto chimico all’ingegneria genetica, arrivano tutti i giorni sui media.
Sono proprio gli avvenimenti più eclatanti della nostra storia che portano l’attenzione, all’inizio sull’etica medica, già alla fine degli anni ’40. Durante il Processo di Norimberga entra prepotentemente in campo il discorso sulla liceità di certe pratiche mediche e poi il tema dell’aborto e via via fino ad oggi. Gli anni ’60 risultano essere quelli decisivi per la nascita della bioetica che supera i confini dell’etica medica e si pone in parallelo con i movimenti per i diritti civili.
Infatti, sono proprio attivisti di questi movimenti che iniziano ad occuparsene attaccando il paternalismo medico e facendosi promotori della rivendicazione del principio di autonomia del paziente. Alcuni scandali (abusi nella ricerca farmacologica e in campo sperimentale) provocano una grave crisi di fiducia nei confronti della classe medica che porta alla nascita di commissioni ad hoc, la prima delle quali viene istituita dal presidente Nixon il 12 luglio 1974.
Il progresso tecnologico (dialisi, nuove tecniche rianimatorie, nuovi farmaci, trapianti) impone di rivedere e discutere tematiche quali la ridefinizione del concetto di morte e la nuova crisi economica degli anni settanta complica ulteriormente le cose. La scarsità di risorse riduce notevolmente l’intervento dello Stato anche nel campo medico portando a riflettere sul fatto che ci dovessero essere dei limiti alle richieste di cure. Sono gli anni nei quali arriva sul mercato la contraccezione chimica e si diffonde la liberalizzazione dell’aborto, sin arriva anche alla chiusura dei manicomi, tutte questioni che vedono i bioeticisti in campo con l’inizio di contrapposizioni interne.
Infatti non tutti vedono con favore queste novità e, in questo periodo si ha anche l’uscita dei teologi che vengono sostituiti dai filosofi con l’ingresso nel dibattito dei concetti di persona, di diritto alla vita, ecc. con categorie tipicamente filosofiche.
L’uscita dei teologi, che avevano riempito uno spazio lasciato vuoto accanto ai medici, e l’arrivo dei filosofi orienta il dibattito in una direzione laica e secolare fino ad una vera e propria politicizzazione della bioetica quando scoppiano delle vere e proprie «culture wars».
Arriviamo così all’attualità quando i casi Terry Schiavo negli Usa e Eluana Englaro in Italia portano a contrapposizioni politiche nette con interventi della magistratura in opposizione a leggi dello Stato.
A questo si aggiunge che, dopo la fine delle ideologie conseguenti al crollo del Muro di Berlino, lo scontro politico ed elettorale si gioca anche su questioni bioetiche (fintanto che era presente un partito cattolico al potere erano passate leggi come quella sul divorzio e l’aborto senza problemi a livello parlamentare ) e dagli anni 90 il dibattito si fa più libero e acceso. Culmina con la Legge 40 e il referendum successivo, vanificati entrambi dagli interventi della magistratura (è storia di questi giorni).
Sempre in questi anni si sono avute, fino alle recenti discussioni sul metodo Stamina, accese contrapposizioni su trattamenti discutibili (Siero Bonifacio, metodo Di Bella) e strumentalizzati dai partiti politici col pessimo risultato di una politicizzazione della ricerca a detrimento di quest’ultima.
Da ultimo il discorso sulle biotecnologie e la nuova eugenetica positiva. È qui che si gioca il futuro dell’umanità con la possibilità di modificare (qui sta la distinzione con l’eugenetica classica) le caratteristiche dell’uomo apportando miglioramenti, selezionando caratteristiche che modificano l’individuo scegliendo quella che sarà la “vita migliore”.
Qui i bioeticisti dovrebbero intervenire perché è in gioco molto di più della salute fisica è in campo la volontà dei genitori di modificare a loro piacere le caratteristiche dei figlio tenendo conto solamente delle loro aspettative: si perde così il senso dell’accoglienza di un dono, di una sorpresa, con la pretesa arrogante di programmare il futuro e il destino dei propri figli.
Il volume di Turoldo, docente di bioetica all’Università Ca’ Foscari di Venezia, non si dilinga in commenti, ma descrive con rigore scientifico la storia, il presente e il futuro della bioetica legata al presente e al futuro dell’umanità. Un volume indispensabile per capire dove stiamo andando e perché ci stiamo incamminando su questa pericolosa strada.