La Croce quotidiano 4 giugno 2016
Le amministrative in Gran Bretagna aprono uno scenario in cui la possibilità dell’effettiva uscita del Regno Unito dall’Unione europea si profila come sempre meno remota. Gli indipendentisti dell’Ukip sono in trend positivo mentre i Tories e i Labour appaiono in caduta libera. Le comunità LGBT manifestano un dichiarato interesse a evitare la Brexit, e i motivi sono sotto gli occhi di tutti
di Giuseppe Brienza
Dopo le ultime elezioni comunali in Gran Bretagna il vento della Brexit (l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea) soffia sempre più forte. Dal test delle amministrative del 5 maggio 2016, infatti, è emersa una fetta crescente della popolazione propensa a dire addio all’Ue. Gli indipendentisti anti-Ue dell’Ukip (“Partito per l’indipendenza del Regno Unito”) hanno preso più consensi che alle ultime Europee e, il loro leader Nigel Farage, si è per questo autoproclamato segretario del «terzo maggiore partito nazionale».
Nel voto per il rinnovo di 124 consigli comunali, al di là del neo sindaco di Londra, musulmano e gayfriendly, nel complesso i Tories perdono moltissimi seggi. Ma anche i laburisti del Labour Party, guidati dal filo-comunista Jeremy Corbyn, sono in caduta libera. I risultati dell’Ukip, invece, sono molto incoraggianti nei Comuni e, tale affermazione, sta alimentando anche fra i Tories la fronda anti-Ue ed ostile al premier Cameron. Se Brexit sarà, potrebbe scattare l’effetto domino.
Anche la premier e leader dei nazionalisti scozzesi dello Snp Nicola Sturgeon, da tempo impegnata in una campagna per chiedere un secondo referendum per la “Scottix” (l’uscita della Scozia dal Regno Unito), reputa il risultato delle comunali del 2016 «storico» per il suo partito. Per un soffio, infatti, l’Snp ha perso la maggioranza assoluta nell’Assemblea scozzese: 63 seggi servendone 65.
Le Legislative del 2020 sono ancora lontane ma, se al referendum “Brexit” vincessero i favorevoli all’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, si prefigura un futuro politico per il Paese del tutto inedito, compreso per le rivendicazioni del mondo Lgbt. La Gran Bretagna, infatti, almeno dai tempi di Tony Blair (grande amico e “alleato” di Matteo Renzi), è stata il motore forte per un Occidente omosessualista che avanza con prepotenza sempre maggiore. L’acquisizione del “conservatore” David Cameron alla causa delle “nozze” gay, da questo punto di vista, è stato un grande successo per i fautori della “dittatura del relativismo”.
Cameron, promotore delle quote LGBT nella BBC e promulgatore delle unioni omosessuali, non a caso sta sostenendo una potente campagna contraria alla Brexit, assieme a tutto l’associazionismo omosessualista inglese. Con lui, per esempio, il deputato “conservatore” Ben Howlett, omosessuale dichiarato e grande sostenitore della politica “rainbow”.
Howlett ha scritto recentemente un editoriale nel quale invita tutti cittadini e le comunità gay a votare contro l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, in nome alla fedeltà ad «un partito [i Tories, appunto] che ha fatto tanto per promuovere l’uguaglianza per le persone LGBT. Ma c’è ancora molto da fare. Ecco perché è importante che la comunità LGBT voti per restare nell’Unione europea. La nostra adesione all’Unione europea è stata di vitale importanza per migliorare i diritti LGBT nel Regno Unito. È stata una direttiva comunitaria che ha portato il Regno Unito a vietare nel 2003 la discriminazione per motivi legati all’orientamento sessuale. Quando ad una donna trans è stato rifiutato il diritto alla rendita per una donna di andare in pensione a 60 anni, è stata la Corte di giustizia europea a stabilire che questa persona era stata trattata ingiustamente. E ci sono molti altri esempi. La nostra adesione all’UE ha portato ad un sostanziale miglioramento nello stato di cose per i diritti e la qualità della vita delle persone LGBT» (cit. in Cristiano Lugli, I deputati LGBT britannici invitano a votare contro la Brexit, in “Osservatorio Gender.it”, 28 maggio 2016).
Secondo il giovane deputato tory, quindi, sarebbe fondamentale rimanere ancorati alle politiche dell’UE, tutte sfacciatamente al servizio del diktat omosessualista: «è opportuno segnalare che la legislazione nazionale non è ancora abbastanza buona in molti paesi dell’UE – dichiara Howlett -. Sebbene siano stati compiuti grandi progressi sulla discriminazione nel mondo del lavoro, per esempio, gli altri paesi si differenziano ancora su questioni come il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Gruppi come ILGA-Europe sono enormemente attivi nella promozione della parità di diritti in tutti i paesi dell’UE. È a causa di queste forti voci unite che siamo in grado di convincere l’UE a mettere la lotta alla discriminazione al centro della sua agenda – il Parlamento europeo sta ora spingendo per estendere il riconoscimento legale delle unioni tra persone dello stesso sesso a tutti gli Stati membri dell’UE, cosa questa su cui sono convinto che siamo tutti d’accordo, visto che è attesa da molto tempo».
In preparazione del voto del 23 giugno, la disinformazione dei grandi media imperversa utilizzando anche lo strumento dei sondaggi. Tutta una serie di consultazioni – on line o “sul campo” (sebbene basate su campioni non sempre rappresentativi) – sono state finanziate da vari ambienti contrari al Brexit, proclamando a tutte le ore che gli “europeisti” britannici sarebbero in maggioranza e che, quindi, la Gran Bretagna rimarrebbe nella Ue senza problemi.
Eppure, secondo un recente sondaggio di YouGov, uno dei più autorevoli ed indipendenti centri statistici a livello europeo, pubblicato sul quotidiano britannico “The Times”, gli schieramenti per il “si’” e per il “no” all’appartenenza del Regno Unito all’Unione Europea sono appaiati al 41 per cento, mentre gli indecisi sono il tredici per cento e il quattro per cento dichiara che non voterà. Quindi, la partita è molto aperta ed, anzi, dagli esiti delle ultime elezioni comunali viene il sospetto che il pendolo sia piuttosto orientato verso l’uscita piuttosto che la permanenza del Paese nell’Ue.
Sul versante politico, poi, il sondaggio di YouGov mette in evidenza che la popolarità del primo ministro è in forte calo, tanto che solo il 18 per cento si fida di Cameron sull’Unione europea. Una catastrofe, per il leader dei Tories, che ha legato la sua permanenza alla guida del governo alla vittoria contro il Brexit. Mentre il leader dell’Ukip Nigel Farage, col 22 per cento, gode di crescente fiducia da parte dei cittadini britannici.
Effetto per nulla trascurabile della campagna pro-Brexit del politico liberal-conservatore che, nel passato, è stato l’unico ad opporsi alla proposta legislativa del governo “conservatore” di estendere la definizione di matrimonio fino a prevedere le “nozze gay”. Viene quindi il sospetto che l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue possa prefigurare tutt’altro futuro politico per il Paese (comprese le rivendicazioni Lgbt…).