da La Nuova Bussola quotidiana
28 maggio 2019
Altri quattro cristiani hanno perso la vita in Burkina Faso durante la messa. Oltre 400 vittime dal 2015. I musulmani sono maggioranza, ma i cristiani costituiscono una presenza insopportabile per gli estremisti islamici che uccidono anche gli imam considerati “morbidi”.
di Anna Bono
Altri quattro cristiani hanno perso la vita in Burkina Faso, uccisi la mattina di domenica 26 maggio in chiesa, durante la messa. È successo a Toulfe, un villaggio che si trova 240 chilometri a nord della capitale Ouagadougou. Gli aggressori, secondo le prime testimonianze tra cui quella di monsignor Justin Kientega, vescovo di Ouahigouya, hanno fatto irruzione nella chiesa e hanno sparato sui fedeli.
France Press ritiene che anche altre due persone siano state ferite gravemente. L’agenzia di stampa francese riporta inoltre, riferendo una conversazione telefonica con un testimone, che l’attacco ha gettato nel panico gli abitanti del villaggio. Molti si sono barricati in casa. Altri per mettersi al sicuro si sono nascosti nella vicina boscaglia.
Quello di Toulfe è il terzo attacco a una chiesa in meno di un mese. Il primo si è verificato il 28 aprile a Silgadji. Un gruppo di uomini armati hanno raggiunto un chiesa protestante a bordo di motociclette. Il culto domenicale era appena finito. Il pastore officiante e alcuni fedeli sostavano sul sagrato. Il commando ha sparato su di loro uccidendo il pastore, due suoi figli e tre fedeli.
Il secondo attacco è stato messo a segno la mattina del 12 maggio a Dablo. 20, forse 30 uomini armati sono entrati nella chiesa dedicata al Beato Isidore Bakanja mentre si stava celebrando la messa. I presenti hanno cercato di mettersi in salvo, ma gli aggressori hanno ucciso il sacerdote e cinque fedeli. Poi hanno dato fuoco alla chiesa e ad altri edifici, hanno saccheggiato una farmacia e altri negozi. Un portavoce governativo ha detto che hanno distrutto anche i locali in cui si vendevano bevande alcoliche.
A questi attacchi si deve aggiungere quello del 5 aprile, nella diocesi di Dori. Degli uomini armati sono entrati in una chiesa gremita di fedeli che stavano celebrando la Via Crucis. Il vescovo di Dori, Monsignor Laurent Dabiré, ha raccontato che, dopo aver separato gli uomini dalle donne e dai bambini, ne hanno uccisi quattro. Prima di andarsene, hanno saccheggiato il villaggio.
Inoltre il 13 maggio un gruppo di fedeli della parrocchia di Bam, diocesi di Ouahigouya, sono stati aggrediti mentre portavano in processione una statua della Madonna dal villaggio di Kayon a quello di Singa. Quattro sono stati uccisi.
Tutti gli attacchi si sono verificati nel nord. Nessuno finora è stato rivendicato, ma si ritiene che ad agire siano dei gruppi jihadisti attivi nella regione e nei vicini Niger e Mali. È soprattutto in quest’ultimo paese che si sono riorganizzati gruppi islamisti come il Gsim, Gruppo di sostegno per l’Islam e i musulmani, lo Stato islamico nel grande Sahara e Ansar ul Islam; e, dalle loro basi nei territori settentrionali e centrali, organizzano attentati e attacchi negli stati confinanti.
In Mali e Niger la quasi totalità della popolazione è musulmana. Anche in Burkina Faso i musulmani sono la maggioranza, ma i cristiani costituiscono circa un quarto della popolazione: una presenza insopportabile per gli estremisti islamici che combattono per conquistare ad Allah le terre “infestate” dagli infedeli. “È chiaro che si vuole eliminare la presenza cristiana” commentava, all’indomani dell’attacco alla chiesa di Dablo e ai pellegrini di Bam, monsignor Théophile Nare, vescovo di Kaya.
Oltre ai religiosi e ai fedeli cristiani, i jihadisti in Burkina Faso colpiscono anche gli imam e i centri di culto islamici che secondo loro non sono abbastanza rigorosi nel rispetto della legge coranica. Il jihad, la guerra santa, è anche questo: imporre a tutti i musulmani una fedeltà assoluta alle norme del Corano e della Sunna e punire severamente chi trasgredisce.
Cristiani e musulmani finora hanno convissuto in Burkina Fasosenza particolari tensioni che piuttosto insorgono tra le diverse etnie. Ma si teme che la situazione possa degenerare, come è successo in Repubblica Centrafricana dove la maggioranza cristiana, sotto attacco da parte di gruppi armati islamisti a partire dal 2013 e ritenendosi a ragione non abbastanza protetta dalle truppe governative e dai caschi blu della missione Onu di peacekeeping Minusca, hanno organizzato gruppi armati di autodifesa che presto hanno iniziato ad attaccare la popolazione musulmana. Da sette anni il paese è in guerra e il conflitto sembra insanabile.
Anche in Burkina Faso e negli stati vicini ci sono forze armateincaricate di contrastare i gruppi armati jihadisti. Le forze militari dispiegate sono addirittura tre, oltre a quelle nazionali: la missione francese Barkhane, con 4.500 militari operativi in Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad; i 10.000 soldati del G5 Sahel, un’alleanza regionale che comprende Burkina Faso, Mali, Niger, Ciad e Mauritania; e, in Mali dal 2013, la missione Onu di peacekeeping Minusma, che attualmente dispone di 12.644 militari e di un totale di oltre 16.000 addetti.
Tutto questo spiegamento di forze non basta a fermare la violenza, al contrario: dal 2015, da quando sono iniziati, gli attacchi jihadisti si sono moltiplicati, passando da 3 del 2015, a 12 nel 2016, 29 nel 2017 e 137 nel 2018. In tutto hanno causato quasi 400 vittime.