Nata Marco, ora assume farmaci per bloccare la pubertà e si racconta in un libro. Sollevando più di una perplessità
di Francesco Borgonovo
«Io sono Greta e ho tredici anni, anzi ne ho molti meno perché fino all’anno scorso ero Marco». Greta, di Ravenna, è nata Marco, è minorenne e ha iniziato il percorso per cambiare sesso. Che non abbia paura di farlo sapere al mondo è poco ma sicuro.
È poco più di una bambina, ma negli ultimi tempi ha partecipato a vari programmi tv, ha rilasciato interviste, assieme ad altri ragazzi transgender è stata protagonista di un lungo servizio su Vanity Fair. I suoi genitori hanno fatto di tutto perché Greta diventasse un simbolo, una sorta di portavoce dei minorenni intenzionati a cambiare sesso.
Cinzia Messina, la madre, fa parte dell’Agedp (Associazione genitori, amici, parenti di persone Lgbt+) e gestisce la pagina Facebook «losonogretais», i cui contenuti riflettono perfettamente il pensiero delle associazioni arcobaleno. Qualche mese fa i «genitori di Greta» (così si sono firmati) hanno persino lanciato una petizione online per chiedere una nuova legge sulle persone transgender, che prevedesse anche «nelle scuole di ogni ordine e grado percorsi di formazione di contrasto al bullismo omo-trans-fobico obbligatori per la comunità educante». Insomma, la signora Messinaè un’attivista.
E ha trovato il tempo di dare alle stampe un libro, appena uscito, intitolato Io sono io (II Ponte Vecchio editrice), che viene presentato come un racconto d’avventura: «L’eroina si chiama Greta ed è una giovanissima ragazza transgender la cui storia è raccontata da Cinzia, sua madre, in minute ricostruzioni di giorni e sentimenti, emozioni e progetti». In effetti, il volume racconta la storia di Marco diventato Greta e contiene anche una robusta testimonianza autobiografica firmata dalla giovanissima trans.
Anche se, ovviamente, a prendersi la scena è quasi sempre la madre. Il rischio, infatti, è che le intemerate politiche sovrastino il racconto in prima persona della tredicenne che invece merita di essere letto con attenzione, perché fornisce informazioni importanti su un fenomeno che comincia a diventare piuttosto rilevante.Il racconto di Greta contiene passaggi che colpiscono allo stomaco.
Ad esempio quando illustra il suo rapporto con gli organi genitali maschili. «Pensavo che tutti fossero cattivi con me, soprattutto la mamma che mi comprava vestiti da maschio», scrive. «La mia nonna, che amo molto e che ora con tanto amore mi chiama Greta (sbagliando nove volte su dieci!!), mi diceva: “Se sei femmina, fammi vedere la passerotta!”. Io non capivo, ma aveva ragione. Io però non potevo farle vedere ciò che non avevo ed era terribile, perché dentro mi sentivo femmina … a dire il vero, non sapevo nemmeno cosa fosse la passerotta!! Cominciai così a odiare la mia codina: avevo capito che non andava bene per me».
La sofferenza che trasuda da questi passaggi non può passare inosservata. Greta dice tanto di sé, del rapporto con il fratello gemello, del legame con i genitori. «Avevo solo tre anni quando si sono separati per cui non ho ricordi di loro due assieme. In effetti, ogni volta che guardo i video in cui erano ancora sposati, mi chiedo perché si siano lasciati … in fondo li vedevo bene! Loro dicono che si sono lasciati perché litigavano sempre … Allora mi chiedo perché mai si siano messi assieme!» scrive.
«La mia mamma Cinzia mi fa sempre notare ogni imperfezione e mi dice: “Greta, hai i punti neri, ti è colato il trucco, hai i capelli sporchi e gli occhiali appannati!”. Il mio babbo Luigi invece mi dice: “Greta, sei bellissima. Ora che ti vedo come una ragazza devo ammettere che sei proprio molto bella!”».
A quanto sembra, la famiglia ha supportato la transizione di Greta. «A casa del suo papà teneva addirittura abiti femminili bellissimi, da principessa delle favole. Quella casa era diventata il suo rifugio», spiega la madre. «Ci aveva portato anche un paio di scarpe col tacco e qualche trucco che gli avevo regalato io, benché con me, forse leggendo nei miei occhi un senso quasi di disagio, faticasse a esprimersi liberamente.
Ogni volta che lo andavo a prendere dal babbo e lo trovavo vestito e truccato, mi saliva dentro un’angoscia che sono sicura intuisse, visto che il sorriso gli moriva sulle labbra. La neuropsichiatra ci aveva consigliato di assecondare le sue tendenze almeno all’interno delle pareti domestiche ma, oltre all’ansia e alla tristezza, io provavo un profondo senso di colpa per averlo partorito con un corpo biologicamente diverso rispetto a come si sentiva».
È in seconda media che Greta decide di mostrarsi al mondo come transgender: «Non potevo ancora immaginare che quel pugno di sillabe nascondesse un vissuto sofferto e un sentire profondo, come non ero a conoscenza del fatto che queste percezioni di genere potessero esistere già nell’infanzia e non solo in età adulta. Quanta ignoranza…», commenta la madre.
Il risultato è che, ora, la trans tredicenne assume farmaci per fermare la pubertà: «Finalmente ho cominciato i bloccanti e ora sono più serena per il fatto che la mia voce non cambierà e che non mi svilupperò nella direzione maschile», dice.Da fuori, giudicare è fin troppo facile e per questo, forse, anche ingiusto. Alcune affermazioni della madre di Greta sull’identità sessuale lasciano molto perplessi. Così come l’approccio affermativo (cioè confermativo dell’identità femminile) adottato nei confronti di un minorenne a cui, a un certo punto, viene anche diagnosticato un «ritardo emotivo».
Soprattutto, suscita qualche dubbio l’attivismo politico e «per i diritti» dei genitori di Greta che, in fin dei conti, ha appena 13 anni. Nel testo autobiografico si esprime come una bambina, ma sembra che venga trattata già come una donna: trucco, scarpe col tacco.
Viene da pensare che, su argomenti delicati come questo, sia necessario sgombrare il campo dall’ideologia e concentrarsi sulla singola persona. Ma è diventato impossibile farlo. Una vicenda privata -come testimoniano il libro di Greta e tutte le attività connesse- diventa immediatamente politica.
E se dovesse mai passare la legge bavaglio contro l’omotransfobia di cui a luglio ricomincerà a discutere il Parlamento, ogni approccio critico verrà di fatto bandito. Chi osasse avanzare dubbi sarebbe immediatamente identificato come «odiatore» dei trans. Diventerebbe impossibile porsi una domanda fondamentale: davvero un bambino di 11 o 13 anni è in grado di fare una scelta che determinerà la sua intera esistenza?
Una cosa è certa: una volta iniziata la terapia farmacologica, non si torna indietro.